Saggistica Politica e attualità Quello che non si doveva dire
 

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Quello che non si doveva dire

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Quello che non si doveva dire è quello che Enzo Biagi non ha potuto dire in televisione negli ultimi cinque anni, da quando è stato bandito dagli schermi dopo l'"editto bulgaro" di Berlusconi. Questo libro è dunque una sorta di rivincita: un viaggio attraverso i temi dell'attualità che Biagi e Loris Mazzetti avrebbero trattato nella fortunata (e imitatissima) rubrica Il fatto. Un incontro con i ragazzi di Locri il giorno dopo l'omicidio di Francesco Fortugno. Un'inchiesta sulla criminalità organizzata che dal Sud ha portato i suoi affari al Nord. E la politica, con la sconfitta elettorale di Berlusconi e l'arrivo di Prodi a Palazzo Chigi, con un'eredità molto pesante e un Paese spaccato in due.



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Quello che non si doveva dire 2012-09-02 20:51:01 mariaangela
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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    02 Settembre, 2012
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per sempre Il Giornalista.

Sono innamorata di questo grande uomo e grande giornalista. Riesce a raccontarti fatti storici e di cronaca accaduti e sepolti nella tua mente, con un linguaggio diretto ed essenziale. E appena apro il suo libro non lo leggo semplicemente, ma lui si siede accanto a me, e con quei suoi rassicuranti capelli bianchi e occhi puliti me li racconta direttamente guardandomi in volto. E io sento la sua compagnia, ed è un grande onore.

"Quello che non si doveva dire” è il libro che Enzo Biagi ha scritto con Loris Mazzetti per raccontare ciò che Biagi avrebbe voluto poter dire se la sua trasmissione “Il fatto” non fosse stata sospesa.

I temi toccati sono molteplici.
Interviste ai ragazzi di Locri e alla battaglia che conducono contro la mafia. E un pensiero ai tanti uomini caduti sotto i colpi di Cosa Nostra: Piersanti Mattarella, Giovanni Falcone, Libero Grasso, Peppino Impastato, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Pio La Torre... E si indigna Biagi al pensiero che la nostra società non cambierà mai. Ricorda le parole del padre del pool Antimafia, Antonino Caponnetto, che all'indomani della morte dei giudici Falcone e Borsellino commenta “E' tutto finito”.

Il 25 aprile, tema sempre a lui molto caro.
“Il periodo della mia vita di cui vado fiero non è stato quando facevo il direttore e neanche quando mi premiavano per il lavoro, ma sono stati i 14 mesi in cui ho fatto il partigiano. ”
“Ho scritto spesso della guerra partigiana, della Liberazione e ho raccontato storie di donne con un coraggio da leone che hanno sfidato nazisti e fascisti, anzi una di loro l'ho amata molto, ma conosciuta solo attraverso una fotografia, si chiamava Irma Bandiera, nome da partigiana Mimma, ed è morta per la nostra libertà. Fu catturata il 7 agosto 1944 dalle SS tedesche. Era cresciuta coltivando ideali democratici, studiava all'università. Quando l'Italia entrò in guerra poteva sfollare come fecero in tanti in attesa della fine del conflitto. Lei no, rimase e cominciò a frequentare gli ambienti antifascisti e dopo l'8 settembre 1943, quando bisognava decidere da che parte stare, lei scelse quella della libertà, della giustizia sociale, di lottare contro i nazisti che occupavano l'Italia e contro i fascisti che li aiutavano a tenerla occupata. Fu staffetta e combattente con i partigiani di Bologna. Le avevano ordinato, in caso di cattura di non parlare e non rivelare i nomi dei compagni. E lei non parlò per sette giorni, nonostante le sevizie e le violenze dei nazifascisti.”

La Cina, sempre più vicina e il Tibet sempre più oppresso, guidato da Tenzin Gyatso, quattordicesimo Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989, che nonostante le indicibili sofferenze inflitte al suo popolo lotta per la liberazione del Tibet attraverso la non violenza.

La fine degli anni di piombo, merito di un generale dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, partigiano nel 1943. Riuscì a catturare i capi storici delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini. Fu nominato prefetto di Palermo, dopo che la mafia aveva assassinato Pio La torre, il deputato comunista, che aveva lottato contro la mafia. Dalla Chiesa era stato mandato in Sicilia per combattere Cosa Nostra senza poteri e senza uomini. Il 3 settembre 1982, dopo cento giorni, fu assassinato, in pieno centro, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente della scorta. Poche settimane prima aveva detto a Giorgio Bocca durante una intervista: “Da quando sono qui nessuno mi telefona. Tutti mi scantonano. Mi hanno lasciato solo. Lo scriva Bocca, e lo faccia sapere.”

Un intero capitolo è dedicato all'era berlusconiana, e qui non mi va di dire nulla.

Per concludere, Enzo Biagi:
“Io ricordo che diventai balilla perchè mia nonna faceva la maestra e ricevette la disposizione per cui bisognava iscrivere i ragazzi, allora lei, poveretta, non trovò niente di meglio che iscrivere i suoi nipoti: me e mia cugina Pina.”
“Non sapevo niente dell'antifascismo, non sapevo che c'erano i giornali clandestini, l'unico nome di antifascista, che avesse un grande significato e che conoscevo era quello di Giacomo Matteotti: mi ricordo ancora una vecchia Domenica del Corriere con la copertina che riproduceva il suo omicidio.

Arrivederci Biagi, al suo prossimo racconto.

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