Non rivedrò più il mondo
Saggistica
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"Io faccio una magia. Passo attraverso i muri.”
Ahmet Altan è uno dei più grandi scrittori turchi contemporanei.
Ex direttore del quotidiano “Taraf, è stato processato molte volte per il contenuto politico dei suoi articoli e per il suo impegno a favore della democratizzazione in Turchia.
Numerosi i riconoscimenti internazionali, tra cui nel 2017 l’Instanbul Human Rights Association Freedom of Thought and Expression Prize, che non ha potuto ritirare perché in carcere.
È autore di saggi e romanzi tradotti in più di 10 lingue.
Condannato, insieme al fratello Mehmet, all’ergastolo senza condizionale, per complicità nel tentato golpe fallito contro Erdogan del 15 luglio 2016.
E’ rinchiuso nel carcere di Silivri dal 23 settembre 2016 per aver espresso le sue opinioni.
Questa breve testimonianza è un messaggio che l’autore lancia al mondo.
Ha inizio quando la polizia fa irruzione all’alba nella sua casa, fino alla notizia della condanna a vita in regime duro.
Ma è, oltre che un racconto della durissima vita in carcere, soprattutto un invito per ciascuno a non lasciarsi sopraffare dalle ingiustizie, a saper guardare oltre, per salvarsi e amarsi.
Altan, da dissidente nel suo paese, l’arrivo della polizia se lo aspetta ogni notte.
La stessa sorte, 45 anni prima, era toccata al padre.
E quando lo portano in carcere pensa che può farsi schiacciare dalla realtà oppure diventare lui più forte. Più forte anche di questo mondo sotterraneo di pietra puzzolente di sudore e umidità e morte e ferro. Così lontano da quello dei vivi. Eppure così affollato, tanto da non riuscire a vedere il pavimento.
“Sorrisi al poliziotto. Perché, questa, è solo la realtà in cui mi hanno rinchiuso.”
Superare il punto di non ritorno, quello in cui ti manca il respiro e vedi la follia così vicina, tanto che manca solo un passo per raggiungerla: ma Altan decide di voltarsi e tornare indietro.
Pensare alla morte è l’unica via di salvezza. Dalla paura sarebbe nato il coraggio perché la paura di impazzire supera tutto.
“Un giorno sarei morto, questo contava.”
Ci racconta dell’importanza di avere uno specchio, potersi guardare in volto. Non potere farlo e’un po’ come perdere se stessi, non riuscire più ad avere cognizione di esserci.
Ed io penso su quante cose non rifletto abbastanza, a quanto sono superficiale. Perché penso che tutto ci sia per esserci sempre.
Diamo tante cose per scontate.
“ Noi amiamo e ci abituiamo all’amore.
A volte è possibile capire com’è grande l’amore che sta sotto quella abitudine solo quando l’abitudine viene interrotta così violentemente.
Cominciai a sbracciarmi per farmi notare. Che mi vedessero in quel momento era la cosa più importante della mia vita…”
Quando ho letto che la lunghezza della cella è di 6 passi e la larghezza di 4, mi sono alzata e li ho fatti quei passi. E poi ho guardato lo spazio. E poi mi sono mancate le parole ed i pensieri. Poi ho letto che in questo spazio sono in tre “e ci scontriamo continuamente”. Due uomini profondamente religiosi e un non credente. Il più giovane ha 38 anni, la religione per lui è tutto ma è consapevole che ci sono anche i non credenti. L’altro ha 53 anni e poi c’è Altan che ne ha 68, non crede in Dio, ma trova l’idea di Dio interessante.
Gli sembra strano soprattutto vederli pregare così spesso ad alta voce il Corano.
Eppure quando una delle loro figlie, Meryem, verrà incarcerata e poi liberata, pregherà con loro in segno di ringraziamento.
Quando in tribunale il presidente legge loro la sentenza, gli torna in mente ciò che dice lo scrittore Elias Canetti: “Vivere tranquilli e sicuri in mezzo al benessere e sentire le preghiere di una persona avendo già deciso di non prestarvi ascolto… Che cosa potrebbe esserci di più vile?”
“Ergastolo senza condizionale”.
Non rivedrà più il mondo, non rivedrà più il cielo, non avrà mai la grazia, morirà nella cella di un carcere.
Quando tutto finisce e la speranza si spegne, sappiamo che nessuno è davvero pronto per la disperazione assoluta e sentiamo pienamente ciò che Saramago intendeva quando diceva “non esiste consolazione per gli umani”.
Altan capisce che deve lottare, non abbandonarsi alla tempesta. In quella cella lo hanno condannato a morire ma lui non è ancora morto.
Volersi bene è il comandamento, scrivere ne sarà la dimostrazione.
È il racconto di un dolore senza fine, di uno sprofondare nell'abisso, paura dell’ oblio di se stessi.
Racconta un dolore che la maggior parte di noi non proverà, perché non conosceremo la costrizione fisica, ma ciò che si legge tra le emozioni non nascoste è la paura ancestrale dell’aver paura, di quando arriverà quel momento, quel dolore che in forme diverse ci travolgerà e avvolgerà e trascinerà giù con lui nel buio più profondo della disperazione, dove non ci sono porte né finestre né luci né cielo, solo buio e angoscia che ci strozza.
Che fare?
Lasciarsi prendere perché solo così è poi possibile nuotare verso la luce?
In queste pagine terribili ci siamo anche noi,i nostri sentimenti di solidarietà verso quest’ uomo, la rabbia verso altri uomini così freddamente disinteressati eppur chiamati assurdamente a decidere. È talmente pazzesco che mi chiedo come si possa non impazzire. Per un uomo senza fede... Chissà se è più semplice.
Altan è coraggiosissimo; mi chiedo cosa abbia di così nobile nell’animo da riuscir a desiderare nuovamente. Con nuova forza. Come faccia a risalire.
Forse i ricordi di ciò che ha scritto e ciò che ha letto, e di quando era diventato Peter Pan, Sherlock Holmes, Arsenio Lupin…
La sua speranza e la sua salvezza: riavere tra le mani un libro. È di nuovo in viaggio. Lo stringe al petto prima di iniziare a leggerlo, per cercare di calmare le emozioni.
Non c’è nulla che non mi colpisca.
Il racconto delle manette che si stringono intorno ai polsi sempre più non appena muove le braccia.
La giovane donna radiologa indifferente e glaciale che non gli permette di toglierle neanche durante la radiografia.
Gli ex giudici ora incarcerati, che da giudicatori a giudicati ignoravano che il carcere fosse un posto del genere e anzi, in realtà non si erano mai fermati un attimo a rifletterci, tanto era una sciagura che avrebbe riguardato solo gli altri.
Ma come non si può ammirare e piangere di gioia e commozione per quest’uomo, Altan, che ormai ha imparato a erigerlo quel muro a sua difesa e quindi nulla può più ferirlo, e tutto ciò che lo circonda diventa oggetto di studio e di suo racconto per gli altri.
Che profonda ammirazione leggere queste parole…
Si, sono rinchiuso in carcere in mezzo al deserto.
Si…..
Si….
Si…..
Si….
Si….
Ma sono anche nella villa con giardino della mia infanzia, e anche sotto la furia dei venti settentrionali sulle rive del Danubio, e anche tra le isole della Thailandia, e anche negli hotel di Londra, e anche nelle strade di Amsterdam, e anche nei labirinti di Parigi, e anche nei parchi di New York, e anche nelle strade innevate.
….
Potete vedermi lungo i fiumi dell’Amazzonia, e sulle spiagge del Messico, e nelle savane africane. Converso in continuazione e vivo gli amori degli altri, le loro avventure e le loro preoccupazioni e le loro gioie. E rido quando origlio le loro conversazioni divertenti.
…..
“ Loro avranno anche il potere di mettermi in carcere, ma nessuno ha il potere di tenermi in carcere.
Finora non mi sono mai svegliato in carcere. Neanche una volta.
Sono uno scrittore.
Non mi trovo né dove sono, né dove non sono.
Dovunque mi rinchiudiate, io viaggerò per il mondo sulle ali infinite della mia mente.
Io faccio una magia. Passo attraverso i muri.”
Il 14 aprile 2021 è stato rilasciato dal carcere, dopo una sentenza della Corte di Cassazione turca che ha ribaltato la sua precedente condanna. Il giorno precedente una sentenza della Corte europea dei diritti umani aveva stabilito che la sua detenzione, durata oltre 4 anni, era illegittima e costituiva una violazione dei suoi diritti.
Buone prossime letture