La toga sbiadita
Saggistica
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Lacune e rimedi
In questo quadro si inserisce poi il desiderio di liberarsi di un potere autonomo quale quello giudiziario, per eroderne le basi, sottometterlo e infine asservirlo alle proprie volontà, svilendone funzioni e sistemi; ed ecco allora sorgere i progetti di legge per il processo breve, per la riforma dell’ordinamento giudiziario con la separazione delle carriere, affinché in un futuro abbastanza prossimo campeggi nell’aula dei tribunali la classica scritta, così modificata: “La giustizia è uguale solo per tutti i sudditi”.
Uno stato in cui si applica la giustizia con imparzialità, equità e in tempi abbastanza brevi è uno stato civile, ma purtroppo da noi non c’è più civiltà e, a breve, forse non ci sarà più nemmeno uno stato.
Questo libro, per la chiarezza con cui viene illustrata l’attività del magistrato, per la lucidità e imparzialità con le quali vengono affrontati i problemi strutturali della giustizia, suggerendo anche le possibili e concretamente realizzabili soluzioni non solo merita di essere letto, ma sarà sicuramente condivisibile da chi ha ancora occhi per vedere e cervello per capire.
(Dalla prefazione)
Ci si potrà chiedere come mai io torni in argomento dopo aver scritto la prefazione di questo libro ed è la domanda che mi sono posto e la cui risposta mi ha indotto a stilare la presente.
I motivi sono essenzialmente due:
1) l’intervista successivamente da me fatta all’autore e dalla quale sono emersi ulteriori elementi di giudizio;
2) la possibilità di meglio puntualizzare alcune opinioni che nella prefazione, anche per ragioni di spazio, possono apparire forse incomplete.
Che la giustizia italiana sia malata e non funzioni come dovrebbe in uno stato moderno e democratico mi sembra del tutto inconfutabile. Ricorrere alle decisioni di un giudice è quasi sempre un percorso lungo, tortuoso, incerto nei risultati come nei costi, sempre elevati. E parlo di giudizio civile, di una normale lite, e non certo di un processo penale, pure esso caratterizzato da insostenibili lungaggini e da pene che sovente non danno soddisfazione alla parte lesa.
Chi ha più danno da queste storture è sempre il cittadino meno abbiente, non di rado vittima prima per la sua condizione economica, e non poche volte ancor di più dopo, stroncato nelle sue ragioni dagli avvocati di controparte, spesso veri principi del foro, che lui, povero diavolo, non può permettersi.
In ogni caso proprio la lunghezza dei procedimenti finisce per il favorire chi ha recato offesa, e non è infrequente che liti si trascinino per così tanto tempo da vedere l’intervento degli eredi, in caso di premorienza dell’attore o del convenuto, o addirittura di entrambi.
Ad di fuori del sistema giudiziario i cittadini brancolano nella nebbia, hanno un’idea indotta del procedimento e dei magistrati, o per sentito dire, oppure per intrusioni politiche non di certo disinteressate.
Com’è quindi che funziona, cos’è che non va, come è possibile rimediare: di questo si parla in questo libro, dove, partendo dagli inizi di carriera di un giudice si arriva alla sua fine, attraverso una serie di episodi chiave di cui, per ovvi motivi, sono riportati nomi fittizi delle parti in causa e delle località delle stesse. Non sono fatti inventati, sono fatti veri e proprio per questo riescono a dare un’idea dei concreti problemi di questa importantissima struttura che ogni giorno che passa sembra vacillare sempre di più.
E per dare un’idea esatta di come appaia in tutta la sua crudezza il malanno è necessario precisare che Alessandro Mariotti non è stato né un magistrato eroe, né un magistrato lavativo, è stato semplicemente “il magistrato”, quella figura che in silenzio assolve al proprio dovere perché si sente servitore dello stato, e quindi di tutti i cittadini. Certamente non si è comportato da burocrate ottuso, pur nel rispetto delle regole, né ha mai avuto manie di protagonismo, insomma quello che un imprenditore, se la giustizia fosse l’attività di un’azienda privata, potrebbe definire un elemento valido su cui fare affidamento.
Come lui, per fortuna, ce ne sono tanti altri, anche se non mancano quelli che vivacchiano aspettando lo stipendio o altri, pochi per fortuna, che cercano di trarre un profitto personale dalla loro attività.
La magistratura, come sancito dalla Costituzione, è autonoma, e questo a vantaggio di tutti; ciò non toglie che in un paese come il nostro, in cui il corporativismo sembra innato, si delinei una casta dei magistrati, pur tuttavia lontana da situazioni, da arroganze e anche da aspirazioni di potere da altre ben più agguerrite, come quella dei politici.
Dopo aver fornito esempi reali dei problemi della giustizia e dopo averli individuati, l’autore procede a stilare un ventaglio di possibili provvedimenti per risolverli, soluzioni in verità condivise e propugnate da molti suoi colleghi, con la differenza che le proposizioni non solo vengono avanzate in termini accessibili ai più, ma appaiono convincenti, realizzabili anche in tempi brevi, senza essere punitive per i cittadini, che anzi ne trarrebbero benefici, e per le casse dello stato.
Nell’insieme quest’opera costituisce quindi più di un motivo d’interesse, perché fa luce, e in modo chiaro, su problemi che tutti avvertiamo, ma la cui portata e la cui soluzione sono sovente mistificati da politici che più che avere a cuore la soluzione per il bene comune perseguono invece solo vantaggi particolari.
Non mi resta, quindi, che raccomandare la lettura de La toga sbiadita.