La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto
Saggistica
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La cultura del piagnisteo
Un saggio dotato di un grondante buon senso che può aiutare chiunque a ridere anche delle proprie ideologie “radical chic” che in realtà di radical hanno ben poco e di chic ancora meno; il mio approccio è stato il più onesto possibile e le cose che questo scrittore australiano, famoso per il saggio sulla nascita dell’Australia, “la riva fatale”, racconta della società americana nel 94, sono lo specchio di quando stiamo anche attualmente vivendo, una visione lucida e estrema, dove l’au non nega nulla e valuta gli estremisti sociali in cui si è arrivati.
L’incipit è spiazzante e parte da un lavoro di W.H. Auden degli anni 40 intitolato “For the Time Being: a Christmas Oratorio” parole che si possono banalmente definire profetiche.
Suddiviso in tre temi fondamentali: l’istruzione scolastica, il multiculturalismo e l’arte, ne descrive le dinamiche moderne e l’allontanamento dalle idee classiche, soprattutto questo “politicamente corretto” diventa una scusante estrema per non permettere più discussioni argomentate nel puro piacere della ricerca della conoscenza perché “coltivare il bambino che è in noi” va a discapito dell’adulto che non può trovare collocazione in una società dove si cambiano i nomi per sentirsi “sensibili e partecipi”... perciò il nano diventa il “diversamente alto” come se questa cosa possa in qualche modo modificare la sua statura.
Piccolo stralcio di un saggio che ha solo cose interessanti da dire: LEGGETELO
Per non stressare i ragazzi con troppe letture e troppi sforzi cerebrali (cosa che, al contatto con richieste di livello universitario, poteva far crollare le loro fragili personalità), le scuole hanno ridotto la quantità di letture, riducendo così, automaticamente, anche la padronanza della lingua.
Non esercitati all’analisi logica, male attrezzati per sviluppare e capire un’argomentazione, non avvezzi a consultare testi per documentarsi, gli studenti hanno ripiegato sulla sola posizione che potevano rivendicare come propria: le loro sensazioni su questo o quello.
Quando gli stati d’animo sono i principali referenti di una argomentazione, attaccare una tesi diventa automaticamente un insulto a chi la sostiene, o addirittura un attentato ai suoi “diritti” o supposti tali; ogni argumentum diventa ad hominem e rasenta la molestia, se non la violenza vera e propria. “Mi sento molto minacciato dal tuo rifiuto delle mie opinioni su: (barrare una casella)/il fallocentrismo/ la dea madre/ il congresso di Vienna/ il modulo di Young”. Provate a tramandare questa soggettivizzazione del discorso per due o tre generazioni di studenti che poi diventano insegnanti, con progressivo accumulo di diossine sessantottesche, e avrete il background entropico della nostra cultura del piagnisteo.