L'affaire Moro L'affaire Moro

L'affaire Moro

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Pubblicato nell'autunno del 1978, mentre ribollivano le polemiche sul caso Moro, e altre suscitandone, a distanza di cinque anni questo libro potrebbe anche esser letto come "opera letteraria". Ma l'autore - come membro della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla "affaire" - ha continuato a viverlo come "opera di verità" e perciò lo si ripubblica (non più col rischio delle polemiche, ma del silenzio) con l'aggiunta della relazione di minoranza (di assoluta minoranza) presentata in Commissione e al Parlamento. Una relazione che l'autore ha voluto al possibile stringare, nella speranza che abbia la sorte di esser largamente letta: qual di solito non hanno le voluminose relazioni che vengono fuori dalle inchieste parlamentari.



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L'affaire Moro 2023-01-01 09:28:41 siti
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siti Opinione inserita da siti    01 Gennaio, 2023
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A ciascuno il suo

Affare, caso politico, pasticciaccio avrebbe detto qualcuno, difficile comunque essere così lucidi dopo appena tre mesi dagli eventi. Sarà stato il ritorno delle lucciole a illuminare Sciascia in quel di Racalmuto nell'agosto del '78? Far riaffiorare alla memoria il labirintico Borges e lo spietato analista Pasolini ha concorso sicuramente a creare la giusta cornice per questa altrettanto lucida analisi: degli eventi, dei comportamenti ma soprattutto delle parole dette nel non detto di questo lurido affaraccio. Analizzare le parole delle lettere di Moro, soprattutto, permette a Sciascia di capirne il significato più profondo, l'unico possibile, quello che rimanda alla famiglia traditrice, alla famiglia silente, alla famiglia che disconosce Beccaria, la Costituzione, il valore della lealtà. Laddove famiglia significa solo DC. Emerge la tragicità della figura di un uomo, elevato dal rango di studioso a quello di politico per giungere all'apoteosi sacrificale del grande statista consegnato all'opinione pubblica dai mass media che altro non fanno che riflettere senza alcun filtro l'idea di un uomo che l'assenza di potere ha immolato all'altare del potere. Il problema di fondo rimane: chi esercita il potere in Italia? Politici, brigatisti, mafia? A voi la scelta.

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L'affaire Moro 2020-01-03 19:45:05 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    03 Gennaio, 2020
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55 GIORNI

“Nel farsi di ogni avvenimento che poi grandemente si configura, c’è un concorso di minuti avvenimenti, tanto minuti da essere a volte impercettibili, che in un moto di attrazione e di aggregazione corrono verso un centro oscuro, verso un vuoto campo magnetico in cui prendono forma: e sono, insieme, il grande avvenimento appunto.”

Che il sequestro del presidente della DC Aldo Moro e il suo successivo assassinio ad opera delle Brigate Rosse – insieme il “grande avvenimento” – costituiscano psicologicamente uno choc per il Paese (politicamente uno spartiacque tra le vicende precedenti e quelle successive), è testimoniato da diversi elementi.
Uno, tra questi, è il fatto che Leonardo Sciascia senta il bisogno di pubblicare un’analisi sulla vicenda neanche quattro mesi dopo la sua tragica conclusione (a caldo, dunque; scegliendo volutamente di non riflettere sui fatti, e cercarvi riscontri, più di quanto sia sufficiente): “L’affaire Moro” è pubblicato nell’agosto 1978, e costituisce un’acutissima analisi di quanto accaduto, e principalmente delle lettere che ad Aldo Moro, prigioniero nel covo delle BR, è stato permesso di trasmettere all’esterno.
Tramite l’uomo Moro, il suo stile, il suo linguaggio, le parole usate e (quasi più) quelle non usate, Sciascia ricava un lucido quadro di quanto è andato dipanandosi quell’anno: improvvisa fermezza (che poco si confà alla “elasticità” italica), rediviva statolatria da parte dei politici, e, nel contempo, inefficiente conduzione delle indagini da parte delle Forze dell’ordine (forze maiuscole per un ordine minuscolo) e degli investigatori.
Lo scrittore siciliano è d’accordo con Moro su un punto in particolare, molto delicato: con la strategia della fermezza lo Stato italiano – in fermo contrasto con la maggiore conquista della Costituzione Italiana – ha reintrodotto la pena di morte. Moro, difatti, morirà; e sarà dalla famiglia celebrato con esequie private, per sua volontà in assenza di politici; e sarà ricordato in pubblica cerimonia da quel gruppone fatto dagli Andreotti, dai Taviani, dai Fanfani, dai Cossiga, dagli Zaccagnini, etc., etc., etc. etc., che poco e nulla hanno mosso di sostanziale nel corso della vicenda.
Al resoconto dell’avvenimento che ha cambiato la percezione dello Stato e della politica italiana, l’edizione Adelphi dell’opera di Sciascia aggiunge la relazione di minoranza del 1982, licenziata dallo stesso scrittore (all’epoca membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani e sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro).

L’impressione finale non è soltanto che Moro fosse un obiettivo reale e che sapesse molto sulla vita italiana, ma, del pari, il fatto che non abbia mai visto nelle Brigate Rosse un reale interlocutore per le cose che pure avrebbe potuto raccontare del sistema politico in quel momento imperante (di quel sistema e di quella DC che gli sopravviveranno per altri quindici anni soltanto, morendo nei tentativi di spiegazione posticcia di un Arnaldo Forlani in irrimediabile difficoltà davanti ai p.m. del pool milanese di “Mani Pulite”).

“Nulla è più difficile da capire, più indecifrabile, dell’ironia. E se si può impiccare un uomo muovendogli come accusa una sola sua frase avulsa da un contesto, a maggior ragione, più facilmente, lo si può impiccare muovendogli contro una sua frase ironica.”

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"La scomparsa di Majorana" ed altro di Sciascia su avvenimenti italiani del secolo scorso.
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L'affaire Moro 2017-04-21 16:43:35 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    21 Aprile, 2017
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La vicenda umana e la “ragion di stato”

Scritto da Sciascia nei mesi immediatamente successivi al delitto Moro, L’affaire Moro è un lungo saggio che può essere letto come opera letteraria, come lo stesso autore auspicava. Egli infatti ricostruisce lo scenario del rapimento di Aldo Moro, ne descrive i giorni della prigionia, così come ha potuto desumere siano stati dalla lettura e dall’esame attento delle numerose lettere che il Presidente della DC aveva indirizzato a colleghi di partito, autorità dello stato, familiari. E’ l’uomo che sta a cuore a Sciascia, è il dramma umano che gli interessa porre in primo piano, il dramma di un leader che aveva avversato politicamente e di cui ora, per onestà intellettuale, sente l’esigenza di farsi interprete delle ore angosciose della prigionia. Ciò soprattutto nel tentativo di respingere il falso e ipocrita rigore del potere. Ed è infatti sulla pretesa duplice personalità di Aldo Moro che insiste l’autore, rivendicando all’uomo la libertà di esprimere il proprio pensiero e i propri sentimenti in quella singolare e atroce condizione di individuo privato della libertà e condannato a morte dalle Brigate Rosse. Respinge, Sciascia, la farisaica convinzione del partito di trovarsi di fronte a un uomo costretto con la forza a scrivere parole dure, in molti casi di condanna, per i colleghi di partito, respinge l’idea che la personalità del politico e quella del prigioniero non coincidano. Egli anzi afferma che colui che si era voluto definire un grande statista diviene grande solo nel momento in cui riesce a sopportare il supplizio della prigionia e della condanna, egli non è grande quando parla di stato e di ragion di stato, ma lo è quando identifica lo stato con la famiglia. “Lo Stato di cui si preoccupa, lo Stato che occupa i suoi pensieri fino all’ossessione, io credo, l’abbia adombrato nella parola famiglia.”
Il rifiuto da parte delle forze politiche a procedere a uno scambio di prigionieri sarà determinante per la condanna a morte di Moro. Il rigore non sarebbe mai stato applicato così scrupolosamente in passato, è l’accusa del Presidente DC.
Procede dunque Sciascia a un’analisi del testo di ogni singola lettera che sia giunta o pubblicata, un’analisi così approfondita utile a offrire spunti e indizi che possano portare al suo ritrovamento. L’esempio più significativo lo abbiamo nell’affermazione di Moro di trovarsi in un “ dominio pieno e incontrollato”. In queste parole si potrebbe leggere un suggerimento che aiuti a ritrovare il luogo della sua detenzione, un condominio, fino ad allora incontrollato dalla polizia. Sciascia dunque riconosce a Moro una dignità umana che supera di gran lunga le qualità del politico. Egli giunge ad affermare che l’uomo diviene veramente onorevole solo nel momento del massimo isolamento e della più grande solitudine. Ed è la pietà, quel sacro concetto di pietas, che suscita la figura sofferente del recluso ormai rassegnato alla morte. Non sono poche le pagine di critica che Sciascia dedica ai partiti, alla Democrazia Cristiana, al Partito Comunista e a tutto l’arco costituzionale, che aveva subito lo scomodo affronto del rapimento Moro. Con coraggio egli evidenzia tutto ciò che si sarebbe potuto fare e non fu fatto, spiegandone anche quelli che egli individuò come i motivi. Né tralascia alcune analisi di tipo sociologico, come quando esamina le affinità tra BR e mafia. Un libro assai interessante che illumina su molti aspetti oscuri di una delle vicende più tragiche e vergognose della nostra storia, pur non potendo ovviamente offrire interpretazioni assolutamente certe e definitive.

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L'affaire Moro 2009-11-18 10:09:04 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    18 Novembre, 2009
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Un po' di luce

Fra il 12 dicembre 1969 (strage di piazza Fontana a Milano) e il 2 agosto 1980 (strage della Stazione di Bologna) si sono consumati in Italia i cosiddetti anni di piombo, secondo una strategia della tensione che vedeva da un lato movimenti extraparlamentari di destra e dall’altro analoghi di sinistra.

Fu un periodo tragico, purtroppo indimenticabile e di cui ancora si ignorano, più che le origini degli eversori, le menti segrete che li manovravano.

In un contesto di stragi senza vittime predestinate, di gambizzazioni, di rapimenti, di omicidi mirati, si inserisce anche la famosa vicenda di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La mattina del 16 marzo 1978, lo stesso giorno il cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti e costituito con l’appoggio del Partito Comunista Italiano si apprestava a presentarsi al Parlamento per il voto di fiducia, l’automobile che trasportava Aldo Moro dalla sua residenza alla Camera dei Deputati fu intercettata da un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse. Gli uomini della scorta, 5, furono tutti uccisi, mentre il presidente della Democrazia Cristiana venne sequestrato. Tenuto in prigionia per 55 giorni, processato e condannato a morte, il suo corpo fu fatto ritrovare il 9 maggio nel baule di una Renault 4 parcheggiata a Roma in via Caetani, ubicazione non scelta a caso perché a poca distanza da Piazza del Gesù, dove c’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana, e da via delle Botteghe Oscure, dove invece si trovava la sede nazionale del Partito Comunista.

Leonardo Sciascia, all’epoca parlamentare del Partito Radicale e poi membro della commissione d’inchiesta sul delitto Moro, ha scritto un libro che ripercorre con spirito critico quei quasi due mesi di prigionia dell’uomo politico democristiano.

Sulla base dei comportamenti dei politici, soprattutto dello scudo crociato, e delle lettere che Moro faceva pervenire ai compagni di partito e ad altri, assistiamo al tentativo di dare una risposta ai tanti interrogativi della vicenda.

Scritto a caldo, in quell’anno rovente, pubblicato prima in Francia e solo successivamente in Italia, L’affaire Moro suscitò, come del resto aveva già previsto Sciascia, un’ondata di incomprensioni e di polemiche, e questo costituì anche la riprova che il lucido percorso intellettuale seguito dall’autore per arrivare ad avere un po’ di chiarezza in effetti aveva raggiunto il suo scopo.

Uno scrittore attento a svelare ciò che si cela sempre sotto l’evidenza non poteva, sulla base dei pochi elementi certi, non praticare un’analisi fredda, razionale, che lo portasse a formare un’idea sì personale, ma suffragata dalla bontà del metodo, consistente nell’interpretazione delle lettere inviate dal politico rapito dal suo luogo di prigionia. Moro, che era stato un maestro nel dire in un modo per far intendere in un altro, viene così svelato grazie a quelle frasi, a quei periodi mai sicuramente dettati dai suoi carcerieri, come invece molti dei suo colleghi di partito sostenevano.

L’analisi logica di un testo di un letterato della qualità di Sciascia, capace di discernere fra apparente inutile forma e reale velata sostanza, finisce con il coinvolgere il lettore che cerca di pervenire a una sua personale interpretazione, tuttavia quasi sempre coincidente con quella dell’autore siciliano.

Emerge così la certezza che un partito che non aveva mai avuto il concetto di stato improvvisamente trovò nei suoi massimi esponenti uomini ampiamente permeati da questo principio e così, opponendosi a uno scambio di prigionieri, come richiesto dalle Brigate Rosse, Andreotti, Cossiga, Piccoli, insomma gli alti nomi della Democrazia Cristina, di fatto consentirono l’esecuzione di Aldo Moro, un atto crudele tuttavia all’apparenza inutile.

Sciascia accenna appena – e del resto costituisce solo un’ipotesi non suffragata da riscontri certi - che certamente l’aver Moro favorito un governo con l’appoggio del Partito Comunista non risultò cosa gradita agli Stati Uniti, e nemmeno all’ala marxista estrema, più propensa alla lotta di classe che agli accordi politici.

L’impressione che si ricava è che la morte del presidente della Democrazia Cristiana fosse stata decisa a priori, indipendentemente dall’esito di un processo politico in cui Moro non disse nulla di più di quel che già non si sapesse.

L’affaire Moro, che riporta alla fine la cronaca storica di quei 55 giorni, nonché la relazione di minoranza presentata dallo stesso Sciascia al termine dei lavori della Commissione Parlamentare d’inchiesta costituita per far luce sull’intera vicenda (e la relazione di maggioranza più che far luce amplia le zone d’ombra), è un libro assolutamente da leggere, per il suo elevato valore storico e politico, unito all’elevata qualità letteraria che ha sempre contraddistinto le opere del grande scrittore siciliano.

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