Variazioni enigmatiche
Saggistica
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LA VERITA', VI PREGO, SULL'AMORE
ATTENZIONE, LA RECENSIONE CONTIENE SPOILER
Di Carl-Emmanuel Schmitt avevo visto qualche anno fa “Il visitatore”, un’opera a due voci nella quale – attraverso il pretesto di un misterioso personaggio (in realtà lo stesso Dio) che si introduceva nottetempo nella casa di Freud – venivano posti e affrontati affascinanti interrogativi etici. Il substrato filosofico-esistenziale e la formula a due personaggi ricorrono anche in “Variazioni enigmatiche”, una commedia ottimamente congegnata, che procede di sorpresa in sorpresa, spiazzando continuamente lo spettatore e consentendogli, oltre che di entrare progressivamente nella natura dei personaggi, di mettere gradualmente a fuoco, al di là della lettera del testo, le reali intenzioni dell’autore.
Ma andiamo con ordine. Un famoso scrittore, che si è ritirato a vivere in un’isola sperduta del Nord Europa, accetta di essere intervistato dall’inviato di un piccolo giornale di provincia. Lo scrittore ha appena dato alle stampe un libro basato sulla corrispondenza tra un uomo (alter ego dello stesso autore) e una donna, i quali, un tempo amanti, hanno deciso di continuare a vivere il loro amore in forma esclusivamente epistolare. Il giornalista cerca di indagare se dietro al personaggio femminile si nasconda una persona in carne e ossa. Lo scrittore dapprima nega, ma poi – prima sorpresa – è costretto ad ammettere che, sì, la figura del suo romanzo è una certa Hanne, la quale abita nel medesimo paese del giornalista. E’ proprio per consegnargli una lettera da recapitare alla fantomatica donna che lo scrittore ha in realtà convocato il giornalista, il quale però non è colui che credevamo ma – seconda sorpresa – si rivela essere nientemeno che il marito. Lo scrittore, che in tutti questi anni non aveva subodorato nulla, apprende la notizia con sgomento, ma ancora più costernato rimane quando il suo ospite lo informa – terza sorpresa – che la donna è morta, non solo, ma che è morta – quarta sorpresa – da ben dieci anni. A questo punto l’ultima sorpresa è facilmente intuibile. Il marito, scoperta la platonica tresca, si è sostituito per tutto questo tempo alla moglie, continuando a scrivere le lettere al suo posto nell’illusione di farla sopravvivere. In un finale paradossale, anche lo scrittore si convincerà a proseguire la sua relazione epistolare, chiudendo gli occhi sul fatto che il destinatario delle sue lettere d’amore non sarà più (ma del resto non lo era stato, a sua insaputa, già da dieci anni) l’oggetto del suo desiderio bensì il fedele consorte.
“Variazioni enigmatiche” ha, come si può notare, un andamento in crescendo, nel corso del quale i rapporti reciproci tra i due protagonisti mutano in continuazione, fino a giungere ad una inaspettata situazione di uguaglianza. Il lento e inesorabile svelamento della verità ultima mette implacabilmente a nudo le loro anime, ma soprattutto, come si accennava all’inizio, rivela la natura essenzialmente illusoria dei sentimenti. L’amore (come dimostra la scelta dello scrittore di viverlo a distanza, platonicamente) è, più che un fatto fisico, una costruzione mentale, una idealizzazione della persona amata, anche quando c’è la chiara consapevolezza (come nell’esperienza paradossale vissuta dai personaggi della commedia) della finzione e dell’autoinganno. Questa considerazione suggerisce altresì una seconda lettura, per così dire metaforica, in quanto, posto in tal guisa, l’amore è del tutto simile all’arte, i cui mezzi, pur innegabilmente artificiosi e frutto dell'invenzione umana, si pongono l’ambizioso traguardo di rappresentare la realtà in una versione più vera del vero, nei casi limite addirittura di sostituirla. Ciò che la commedia arriva a dire non è solo che l’uomo sublima la realtà e l’amore attraverso l’invenzione fantastica, ma che addirittura li ricrea per supplire alla loro inadeguatezza ontologica. Quando lo scrittore afferma che il suo libro è un’opera di pura fantasia, egli crede di mentire (sapendo che la corrispondenza epistolare che il libro contiene è autentica), e invece a sua insaputa dice la verità: l’arte e l’amore sono infatti una finzione, una mistificazione, che però l’uomo, in un incessante gioco di autoconvincimento, continua a prendere per veri. Non si tratta più – è ovvio - dell’errore dei prigionieri della caverna di Platone (che subiscono l’inganno dalla nascita), ma il risultato, ossia la sostituzione dell’ombra delle cose alle cose stesse, è in fondo il medesimo. Anche un premio Nobel misantropo e solitario («Non si annoia tutto il tempo da solo?» «In mia compagnia? No di certo!») ha un disperato bisogno dell’illusione, e la pena che alla fine proviamo per la sua sofferenza e la sua vulnerabilità lo trasforma nel simbolo stesso di una più universale condizione umana, illuminando in tal modo l’intera commedia di una inattesa luce di laica compassione e di solidaristica fratellanza.