Tre sorelle
Saggistica
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“Bisogna vivere… Bisogna vivere…”
Con “Tre sorelle” sono approdata poco tempo fa al teatro di Anton Cechov (1860-1904), che da tempo suscitava la mia curiosità.
Composta nel 1900 e portata in scena per la prima volta, a Mosca, l’anno immediatamente successivo, l’opera si compone di quattro atti, nel corso dei quali si succedono altrettanti periodi della vita familiare dei Prozorov: Andrèj Sergèevic e le sue tre sorelle (Olga, Irina e Maša), figli di un generale venuto a mancare – quando si apre il primo atto – proprio l’anno prima.
La loro casa viene abitualmente frequentata da un gruppo di ufficiali alquanto variegato al suo interno, mentre l’ambientazione è quella della provincia russa, in un capoluogo di governatorato, come si rende noto all’inizio sotto la lista dei personaggi.
Questo lavoro di Cechov non è propriamente un dramma, ma un vaudeville, secondo quanto precisato nella prefazione da Gerardo Guerrieri, traduttore del testo per l’edizione Einaudi che ho avuto modo di leggere. Il termine vaudeville indica una commedia dai toni leggeri, ma a ben guardare “Tre sorelle” non dà l’impressione di esserlo, non pienamente per lo meno. Al di là di alcuni passaggi che possono suscitare qualche sorriso, la rappresentazione nel suo insieme, per quanto ben lontana dalle atmosfere del teatro del più anziano Ibsen, tocca temi esistenziali che non invitano certo alla spensieratezza. Il tema del tempo che, inesorabile e indifferente, scorre troppo velocemente portandosi via aspirazioni, sogni e illusioni dei personaggi si lega a quelli del lavoro e delle trasformazioni della società che da militare tende a farsi sempre più civile e borghese, come sottintende non solo il trasferimento della brigata cui appartengono gli ufficiali frequentatori di casa Prozorov, ma anche il fatto che una delle sorelle, Maša, sia stata data in moglie a un insegnante di ginnasio e che lo stesso Andrèj, invece che seguire le orme paterne, insegua la carriera da accademico per poi perdersi nel gioco d’azzardo.
“[…] Una volta l’umanità non si occupava che di guerre; la sua esistenza era un seguito d’invasioni, di spedizioni, vittorie. Tutte queste cose adesso sono sparite, e hanno lasciato un vuoto enorme che non è ancora stato colmato; l’umanità è alla ricerca, alla ricerca, e finirà col trovare! Per forza! Chissà quando però: speriamo in tempo! […]”
La penna dell’autore fotografa una società in pieno disfacimento, dove si ritrovano insieme, non senza contraddizioni, nuove istanze e vecchie tradizioni, coesistenza che culmina nel duello finale che si porterà banalmente via il barone Tuzenbach o nello sprezzo arrogante di Nataša nei confronti della servitù. Le tre sorelle Prozorov sono testimoni di tutti i cambiamenti, piegandosi a un destino di infelicità e insoddisfazione che non condurrà nessuna di loro nella tanto agognata capitale Mosca.
Particolarmente filosofici suonano alcuni scambi di battute e considerazioni sul futuro, la felicità e il progresso dell’umanità, nonché a tratti utopistici. Presumo che il ferreo senso del dovere incarnato da certi personaggi dell’opera in questione sia stato rivalutato e apprezzato in un secondo momento dal successivo regime sovietico, dinanzi al quale il teatro di Cechov non godette all’inizio di grande favore.
Nel complesso, una lettura abbastanza scorrevole che, tuttavia, non mi ha coinvolta pienamente.