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La presentazione e le recensioni di Si crede Picasso, saggio di Francesco Bonami edito da Mondadori. Chi è il vero artista? Quale misterioso fattore fa sì che, nella sterminata produzione artistica di oggi, un'opera si imponga all'attenzione di tutti? E la popolarità è garanzia di vera arte? Sono domande che tutti ci siamo posti almeno una volta davanti all'emozione - o alla perplessità - che un famoso capolavoro ha suscitato in noi. La risposta di Francesco Bonami, tutto sommato, è semplice. L'artista di razza, che secondo il celebre critico trova la sua più alta espressione contemporanea in Picasso, "produrrà opere d'arte, brutte o belle che siano, con una loro anima", mentre il finto artista "sarà capace di mettere al mondo solo cose con la forma e l'aspetto di un'opera d'arte ma prive di anima". Non è quindi l'abilità tecnica a fare l'artista. A volte, precisa Bonami, "esistono anche falsi artisti bravi. Così come esistono anche veri artisti che sono dei cani". L'opera del vero artista, però, "suscita dentro di noi una sensazione completamente diversa da quella prodotta da un'opera uscita dalla testa di un millantatore", apparendoci già al primo sguardo come "inevitabile". Il mondo dell'arte, tuttavia, è popolato da tanti falsi artisti che, essendo "estremamente sfacciati", non di rado hanno maggior fortuna e successo di quelli veri: si muovono con abilità nel circuito delle mostre e degli eventi, e a volte, con i buoni uffici degli assessori, occupano in pianta stabile spazi pubblici con le loro opere. Bonami svela impietosamente questi bluff e sottopone al suo insindacabile giudizio alcune delle figure più rappresentative dell'arte del Novecento e dei nostri giorni. La "patente" di vero artista viene riconosciuta a personalità molto diverse fra loro, dall'americano Bruce Nauman, con la sua arte "fatta con poco, a volte quasi nulla", ma che rende ogni sua opera, dai video alle scritte al neon, "un pezzo dell'essere umano e del mondo", a Frida Kahlo, che trasse dalla sua fragilità fisica e dai drammi della sua vita l'ispirazione per una pittura di straordinaria intensità, a Doug Aitken, autore di video visionari che raccontano la solitudine dell'uomo di oggi. Insieme a loro, sfilano tanti altri celebri nomi: Jackson Pollock, Alberto Burri, Edward Hopper, Bill Viola, Marina Abramovic, Julian Schnabel, Fabrizio Plessi, l'iraniana Shirin Neshat. Fra promossi, bocciati e rimandati, a pochi viene risparmiata una battuta al vetriolo. Anche in questo libro, infatti, i lettori potranno ritrovare lo stile inconfondibile di Bonami, la sua ironia tagliente e scanzonata, capace di trattare con leggerezza anche l'arte più pensosa.

Francesco Bonami (Firenze 1955) è curatore della Biennale del Whitney Museum of American Art e direttore artistico delle fondazioni Sandretto Re Rebaudengo e Pitti Immagine Discovery. Curatore della mostra Italics a Palazzo Grassi e co-curatore della mostra di apertura del museo di arte contemporanea di Punta della Dogana a Venezia, Francesco Bonami è editorialista per "Il Riformista". Collabora anche con "Vanity Fair", "La Gazzetta dello Sport", "Panorama", "First", "Grazia Casa". Nel 2004 ha pubblicato il romanzo Lezioni di fumo. Per Mondadori ha pubblicato Lo potevo fare anch'io (2007), Dopo tutto non è brutto (2007). Vive negli Stati Uniti.



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Si crede Picasso 2011-07-10 12:18:26 Cesare Oliva
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Opinione inserita da Cesare Oliva    10 Luglio, 2011

si sente, si sente..........

Si come artista sono d’accordo con Bonami, il problema c’è ma già da tempo…
Veramente il problema reale dell’arte non rilevante viene creato dal commerciante e dall’ideologia, il curatore serve il commerciante e il consenso pubblico quindi si è creato un consenso sbagliato di cosa è arte rilevante, con il quale stanno facendo adesso i conti loro stessi già che non trovano la via di uscita dal ramo nel quale si sono imboccati per avidità economica, vedete nell’arte come nella scienza non si può prescindere della ricerca della verità ossia a quello che allude Bonami “vero” viene da verità quindi non si può andare a base di consensi, per che se no vengono scambiati scienziati per tecnologi e artisti per intrattenitori, ed è quello che vuole il sistema economico già che non importa, basta vendere e creare un valore per arricchire i grandi investitori. Vedete non è difficile cadere in questo labirinto già che esso ha una grande seduttività, basterebbe ricordare che un artista non e tale perché va a impararlo e un curatore o critico non e tale perché ha una laurea in storia dell’arte per tutte due cose ci vuole il talento e quello non si studia si ha o non si ha, vedete secondo la mia modesta oppinione d’artista tutta questa “dottorizzazione” che si è creata dopo SOHO (new york) per giustificare degli investimenti, ci ha fatto ricadere un un nuovo tipo di accademismo che solo la continua ribellione e integrità degli artisti ci potrà cacciare ancora una volta, sempre pero con l’aiuto di curatori e critici onesti e non servili ai grandi interessi economici e ideologici, in quanto riconoscere un opera d’arte da una buona trovata o sensazionalismo, bene si sente, si sente come dice Bonami, pero peccato che le università non sanno insegnarlo a sentirlo, in tanto noi continueremo a presenziare inevitabilmente con le lacrime agli occhi la strage dei Picasso come grande apoteosi storica e performance creata dagli unici veri artisti della “post-duchampian-era” i curatori e critici d’arte.

Cesare Oliva

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