Pascoli e gli animali da cortile
Saggistica
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
L’innocenza innata
Che Giovanni Pascoli e la sua poesia rappresentino per me un’autentica passione è fuor di dubbio, tanti sono anche i commenti critici che ho scritto alle sue opere, e che poi meritino un’analisi approfondita le connessioni fra l’autore e i suoi testi è comprovato dai numerosi studi in materia. Fra questi ultimi, anche in ordine di tempo, c’è questo saggio, scritto dalla giovane Maria Cristina Solfanelli, che ha inteso discernere delle relazioni fra il poeta e gli animali da cortile, quelli cioè della campagna da cui lui proveniva e a cui è sempre stato affettuosamente legato. Illuminante il tal senso è un passo dell’opera, laddove l’autrice scrive: “Giovanni Pascoli si avvede assai presto che il suo amore per la natura gli permette di vivere le esperienze più appaganti, se non fondamentali, della sua vita. Lui vede negli animali delle creature perfette da rispettare, da mare e da accudire al pari degli esseri umani; infatti, si relaziona con essi, ci parla di loro e, spesso, prega affinché possano avere un’anima per poterli rivedere un giorno.” Pascoli non ebbe degli ottimi rapporti con gli uomini, troppo egoisti e soprattutto mancanti di quell’innocenza riscontrabile negli animali, sempre sinceramente se stessi. E nelle sue poesie questi innocenti amici sono ricorrenti: L’uccellino del freddo, La capinera, L’usignolo e i suoi rivali, tanto per citarne alcune. Ma pure nella vita del poeta le bestie sono presenti e appunto c’è uno specifico capitolo del saggio intitolato Gli animali di casa Pascoli. Quando il poeta avrà una casa con giardino, gli ospiti saranno molteplici e le cure a loro dedicate particolari e attente. Quando poi ne muore uno, è un lutto familiare. Certo che potrebbe venir da pensare che Pascoli esagerasse un po’, che la sua psiche complessa, segnata dal fatto di aver dovuto diventare improvvisamente adulto alla morte del padre, presentasse delle stranezze e ciò è vero, ma con ogni probabilità si trattava di eccessi nel rapportarsi con il mondo esterno e non che la visione di come avrebbe dovuto essere questo fosse sbagliata. Forse il problema è che il poeta, catapultato in un mondo di adulti, quando ancora era adolescente, non riuscì a maturare quell’esperienza di tutti i ragazzi che li porta a entusiasmi e a delusioni, fortificandone il carattere per giungere alla consapevolezza che il mondo degli uomini è il palcoscenico di un teatro in cui tutti gli attori cercano spesso invano di interpretare se stessi. Ma i veri attori che riescono in questo sono solo gli animali, perché in loro resta sempre l’innocenza originaria. Vi è da dire, inoltre, che l’innocenza innata negli uomini si va perdendo con la crescita, così che già passata la pubertà essa è ormai perduta, ma la visione cosmica di Pascoli di un mondo in perfetto equilibrio fra esseri umani e animali, per quanto chimerica alla luce dell’esperienza, è orientata al raggiungimento di una serenità che ci è sconosciuta, ma che senz’altro porterebbe a una società in cui la felicità è sostanzialmente di casa. Quindi il poeta romagnolo era sì pessimista, ma non credeva a una irrimediabilità dell’egoistico comportamento degli uomini, secondo un pensiero che in fin dei conti possiamo definire cristiano.
Forse mi sono lasciato prendere la mano e magari sono andato un po’ fuori tema, ma questo saggio ha avuto anche il pregio di farmi riflettere sul mio poeta preferito, di tentare un quadro d’insieme che senza gli approfondimenti di Maria Cristina Solfanelli probabilmente non avrei nemmeno provato ad avviare. Per conoscere qualcosa di più su questo grande autore questo saggio è quindi in un certo senso indispensabile ed è per questo che ne consiglio vivamente la lettura.