Orestea Orestea

Orestea

Saggistica

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La presentazione e le recensioni di Orestea (Agamennone - Coefore - Eumenidi), opera di Eschilo. Unica trilogia tragica a esserci pervenuta per intero, l'Orestea mette in scena la maledizione che pesa sulla famiglia degli Atridi: l'assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitemestra, la vendetta del loro figlio Oreste, che uccide la madre, la persecuzione del matricida a opera delle Erinni e la sua assoluzione finale. Il motivo tragico della passione e della paura che permea la sequenza di delitti si innesta in un discorso etico di radicale ripensamento del concetto di giustizia, di coscienza personale e di Stato.



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Orestea 2015-01-04 18:16:07 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    04 Gennaio, 2015
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Vendetta e giustizia

La trilogia dell’Orestea fu portata in scena da Eschilo, ottenendo il primo premio, alle Grandi Dionisie del 458, momento di maturità del tragediografo che morirà di lì a pochi anni. Si tratta, nell'ambito della letteratura greca, dell’unica trilogia tragica conservata per intero.
La trilogia, dalla trama scarna per via della funzione simbolica del mito, che deve indurre alla riflessione in rapporto alla contemporaneità politico-sociale, tratta della funesta storia della famiglia degli Atridi. In estrema sintesi, Agamennone, reduce dalla guerra di Troia, torna ad Argo accolto trionfalmente dalla moglie Clitennestra, la quale tuttavia ucciderà lui e la sua concubina Cassandra insieme al suo nuovo compagno Egisto: la donna vendica così il sacrificio della loro figlia Ifigenia in Aulide, immolata da Agamennone per propiziarsi Artemide durante la spedizione verso Troia, mentre l'uomo vendica l'offesa subita da suo fratello Tieste, cui Atreo, padre di Agamennone, aveva dato in pasto i suoi figli. Nel secondo dramma dunque, si ha il ritorno di Oreste, figlio dei sovrani argivi esiliato da piccolo, che tornato e riconosciuto dalla sorella Elettra, uccide Egisto e Clitennestra per ordine del dio Apollo. Inseguito dalle Erinni, dee vendicatrici dei delitti tra consanguinei, la questione troverà risoluzione solo grazie ad Athena che istituirà il tribunale dell'Areopago, deputato ai reati di sangue, che assolverà Oreste; le Erinni diventeranno dee benigne e protettrici della famiglia.

Patenti sono in tutta la trilogia gli strettissimi legami con l’attualità e la finalità politica. Obiettivo di Eschilo è quello di legittimare e dare il suo sostegno al recente provvedimento del democratico Efialte, che aveva drasticamente ridimensionato i poteri dell’Areopago, riportandolo alla sua originaria funzione di tribunale deputati alla giurisdizione sui delitti di sangue, in quanto il consesso aveva assunto un potere tutorio non appartenentegli. D’altro canto, viene fortemente messa in luce l’importanza e la necessità delle istituzioni, in quanto unico strumento per dirimere le controversie della vita quotidiana secondo la legge divina: la storia del ghenos degli Atridi assurge dunque a paradigma con funzione apotropaica ponendo in evidenza gli ingenti danni derivanti dalla vendetta privata, elemento tipico dell’ormai superata civiltà della vergogna, a cui si oppone nella contemporaneità una società civile in grado di organizzarsi sotto l’egida di Dike, la giustizia. La giustizia umana, che sarebbe evidentemente contingente e inadeguata, deve però necessariamente essere assolutizzata e legittimata dal volere divino; conseguentemente nella trilogia un ruolo di primo piano assumono le divinità, presenti anche fisicamente sulla scena a indicare il loro volere come modello di giustizia.
Non si può inoltre negare la valenza di alcuni riferimenti all’attualità: la pace e l’alleanza tra Argo e Atene pochi anni prima sancita dopo decenni di alterni rapporti trova una sua giustificazione mitica nelle parole di Oreste dopo l’assoluzione, cosicché Atene e Argo assurgono a paradigmi della rinnovata democrazia e del suo potere, in contrapposizione con l’aristocratica Sparta, con cui è nell’aria il conflitto che si concretizzerà nella trentennale guerra del Peloponneso sul finire del secolo.
Rilevanti sono delle informazioni di civiltà che la trilogia eschilea ci fornisce sull’Atene del V secolo. In primo luogo, l’importanza nella comunità cittadina del ghenos, valore da tutti riconosciuto e rispettato a tal punto da essere un potente strumento per spaventare gli spettatori, secondo il principio del "pathei mathos" (imparare soffrendo) di fronte agli effetti nefasti della giustizia ottenuta con la vendetta. L’importante considerazione del legame familiare si manifesta al massimo livello nell’esistenza di divinità atte a punire i delitti tra consanguinei, che secondo la mentalità dell’ateniese d’età classica sconvolgono l’ordine dagli dei conferito al mondo, un ordine da ricomporre ora grazie alle istituzioni democratiche di cui Eschilo si fa promotore. Inoltre, la costante presenza degli dei evidenzia il forte rispetto di una legge dal valore universale che il tragediografo vuol proporre di conservare a scopo morale: l’etica eschilea conserva i valori della giustizia e del rispetto delle divinità propri della civiltà arcaica dell’epica, rinnovandoli e migliorandoli nel contesto del nuovo ordine politico di Atene. Significativa è in tal senso la scena di Agamennone, eroe omerico protagonista dell’Iliade, che accolto trionfalmente da Clitennestra ha un certo timore reverenziale nel calcare i tappeti purpurei, ritenendo che tali onori non si confacciano a un sovrano ma solo a una divinità. In questo inoltre è possibile cogliere anche una non così velata critica al lusso che dominava le corti delle monarchie teocratiche ed assolute di stampo orientale, che tuttavia si imporranno in Grecia nell’ellenismo.
La trilogia ci fornisce inoltre una rilevante testimonianza del maschilismo e, di riflesso, della misoginia tristemente tipiche del mondo ellenico antico. Due in particolare i momenti in cui esso emerge: nella scena del matricidio nelle Coefore, Oreste, di fronte alle suppliche della madre che parla della solitudine di una donna senza il marito, difende suo padre Agamennone, che fatica per la casa e per chi, come lei e le altre donne, se ne sta tutto il giorno in casa seduto e inoltre appare evidente che la reverenza tributata da Oreste nei confronti di suo padre non troverebbe riscontro se l’uccisa fosse stata Clitennestra; nelle Eumenidi, invece, durante il processo le stesse divinità Apollo e Athena sembrano confermare la priorità dell’uomo sulla donna: Apollo afferma, infatti, che la donna è solo portatrice del seme impiantato dall’uomo, l’unico degno dell’appellativo di genitore e di questo è riprova la stessa Athena, nata dalla testa di Zeus, la quale non contraddice tali affermazioni, anzi le suffraga.

Il teatro nella Grecia antica, soprattutto ai tempi di Eschilo, era un momento educativo dello Stato e in particolare la tragedia si serviva del mito adattandolo e rielaborandolo con funzione paideutica, cosicché in una rappresentazione composta oltre due millenni fa possiamo ritrovare elementi di riflessione che caratterizzano l'uomo comune di ogni luogo e di ogni tempo, a ulteriore testimonianza dell'universalità di una letteratura, quale quella greca antica, che costituisce ancor oggi un patrimonio storico e culturale imprescindibile.

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Orestea 2013-08-01 21:05:06 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    01 Agosto, 2013
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Soffrendo conoscere

Due sono i poli da cui la trilogia di Eschilo è generata: la tensione costruttiva tra Dike (la Giustizia) del sangue, matriarcale, e Dike apollinea, entrambe rappresentate da Clitemestra ed Oreste, tensione che scioglie il dubbio atroce, la scelta tra i due poli, nel riconoscimento di una Dike cosmica, superiore, che la legge del “soffrendo conoscere”.

Così Oreste, figlio di una madre (Clitemnestra) che ha assassinato il marito (Agamennone), e di un padre che ha ucciso la figlia(Ifigenia), perseguitato dalle Erinni, furiose divinità ctonie vendicatrici dei delitti di sangue, riesce a raggiungere la salvezza, proprio nella consapevolezza di una norma ben più sentita del “chi agisce, subisce” (cfr. occhio per occhio, dente per dente) che aveva guidato le sue precedenti azioni, e quella della madre. Soltanto l’Areopago, tribunale d’Atene, garante della civiltà della polis potrà redimerlo.
Nel pantano ora delirante ora sublime del pantheon eschileo, tra le vertigini delle divinità olimpiche e i brutali abissi dei demoni, in questo scontro in cui l’uomo precipita nell’animalesco per poi risorgere a nuova vita, stringente pare l’interrogazione di Eschilo sulla giustizia, la quale, nella sua dimensione umana, è condannata ad un’eterna imperfezione, che soltanto la rettitudine divina può trasformare in equità assoluta.

Tuttala poetica eschilea è basata su una fiducia incondizionata in Zeus, trasfigurato in legge cosmica infallibile: Zeus/Dike agisce in virtù di un piano d’ascesi conoscitiva cui tutti, malgrado la resistenza, sono sottoposti. L’Orestea si muove proprio in questa direzione: a saldare l’oscurità dell’animo umano nel conoscenza superiore che proviene dall’olimpico, al fine di sfuggire alla contrapposizione stringente di due elementi (ctonio - solare in tutte le loro manifestazioni) che condannerebbe ad una filosofia ancora cosmica e mediterranea: sangue in cambio di sangue. Non è d’altra parte un caso che alcuni abbiano voluto vedere l’Orestea come uno dei primi segnali di una filosofia antropocentrica come sarà in Socrate Oreste è l’emblema di un uomo che, pur soggetto alle influenze divine, può liberamente scegliere: quella di Apollo (che lo ispira a vendicare il padre uccidendo la madre) è appunto un’ispirazione, non una costrizione. Lo spazio della ragione umana rivendica autonomia, in parte ne è atterrita, ed è in questo dissidio che le divinità non si annichiliscono, ma anzi si unificano, scevre dalle loro passioni umane, in una legge universale che vuole reintrodurre il kosmos nel caos del quotidiano. Il libero arbitrio si salda al destino in un gioco pericoloso il cui esito è determinato da una sorte ben precisa, una legge a cui si è sottomessi. È in questa dicotomia radicale e capitale che si innesta la conclusione della tragedia, in questa incertezza sta la seduta dell’Areopago a condannare anche Eschilo all’irraggiungibile comprensione del mistero dell’esistenza (il giudizio umano non sa infatti decidere o meno sulla colpevolezza d’Oreste).

Eppure rimane Cassandra, profetessa invasata e tremenda, sacrificio del fato, personaggio dall’inesausta complessità, a testimoniare la ferita del mondo, a sottolineare l’effimera vacuità di una vagheggiata saggezza. E dallo scontro irrisolvibile i cui tutti i personaggi sono immersi, emerge la fiducia di Eschilo in un sentimento di phobos, paura, ritenuto ultimo baluardo contro il dissolvimento dei legami civili, ultimo espediente attraverso cui far rispettare le leggi e garantire la giustizia.
(Purtroppo la tragedia risente, per lo stile, della distanza del tempo: troppo maestoso, troppo pedante, troppo solenne per essere piacevole, considerando anche che la pagina scritta annulla magari l'effetto artistico che certamente una rappresentazione dal vivo avrebbe comportato).

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