Saggistica Arte e Spettacolo Medea. Fedra. Tieste
 

Medea. Fedra. Tieste Medea. Fedra. Tieste

Medea. Fedra. Tieste

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La presentazione e le recensioni di "Medea. Fedra. Tieste", opera di Seneca edita da Garzanti. La tendenza di Seneca a una scrittura mossa, anticlassica, se già caratterizza le sue pagine di prosa, raggiunge il culmine nelle tragedie: in esse lo stile drammatico «dell'anima umana che è in guerra con se stessa» si plasma a esprimere le passioni dei personaggi, le loro intime lacerazioni, l'urto violento degli istinti contro la ragione.



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Medea. Fedra. Tieste 2014-08-01 03:14:09 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    01 Agosto, 2014
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“Maestra di delitti”

Nella tragedia in cinque atti Lucio Anneo Seneca dipinge la sua versione di Medea che risente del personale punto di vista dell’umanista e filosofo latino: quello dello stoico (“Le grandi ferite, chi può restituirle? Chi le sopporta in silenzio, con animo fermo”) che condanna senza appello chi agisce lasciandosi dominare dalle passioni (“Frena la tua furia. Come una Menade…. Con gesti selvaggi, mostrando in volto i segni di un furore delirante. Il suo viso è in fiamme, il respiro affannoso… Il suo furore trabocca…”).
La tragedia si svolge tra Medea e il coro, nei dialoghi in successione con la nutrice, Creonte e Giasone. Nell’atto finale Seneca utilizza la rappresentazione scenica dell’infanticidio, mentre nella tragedia greca classica questo evento viene narrato in modo indiretto.

Già nel prologo Medea viene raffigurata non come vittima tradita e abbandonata, bensì come maga evocatrice di forze maligne (“Ora dovete venire, dee vendicatrici dei delitti, Furie…”), sospinta dal desiderio di compiere una tremenda vendetta (“La morte, date la morte”) nella scia di morte della quale è dispensatrice (“La casa che hai avuto col delitto, col delitto devi abbandonarla”) fin dalla sua fuga dalla Colchide (“Lui che mi ha strappato al padre, alla patria, al trono, ora mi abbandona in terra straniera? Ciò che ho fatto per lui, quel crimine che gli consentì di vincere il mare e le fiamme, l’ha dunque dimenticato quel crudele?”).

Il profilo della strega (“La sua perfidia, le sue arti, chi non le conosce”) si delinea anche nel colloquio con il re Creonte, che oppone a lei una nuova declinazione di Giasone (“Il sangue non ha contaminato la sua innocenza… è rimasto puro lui… Tu macchinatrice dei peggiori crimini… vattene, purifica il mio regno…”).

La realizzazione del progetto di vendetta (“Rovescerò tutto, io, distruggerò”) è ormai inevitabile (“Avrò pace, io, soltanto se vedrò ogni cosa travolta insieme a me. Crolli tutto con me!”) e Seneca dimentica la tragedia di Euripide, nella quale Giasone è convinto delle sue azioni e disprezza Medea supplice, per contrapporre alla perversione della donna un eroe angosciato, preoccupato per la sorte dei figli (“Tanto li ama i suoi figli? Bene, lo tengo in pugno, ho trovato il punto vulnerabile”) e interprete della filosofia del tragediografo (“Frena il tuo cuore ardente, cerca di dominarlo. La calma addolcisce le sventure”).

La scena più potente è forse quella nella quale Medea trasforma i figli in strumento di morte (“Portino i miei figli questi doni alla sposa, ma bagnati, prima e impregnati di crudeli veleni”), ricorrendo alle arti malefiche (“Ogni mostro è invocato da Medea…. Evocati tutti i serpenti si dà a raccogliere in un mucchio i veleni delle piante letali…”), memore di mitologie di veleni (Nesso, il sangue dell’Idra e il fiele di Medusa) e di fuoco (Prometeo e Vulcano).

Il finale è crudelissimo: ormai Medea si aggira “come tigre del Gange”. Indemoniata (“Anche se li uccido tutti e due, è poco per il mio odio”), sceglie un supplizio lento e progressivo per esasperare la pena di Giasone, che anche di fronte alla magia (“Io sarò trasportata per l’aria da questo carro alato”) cerca di conservare la sua razionalità (“Sarai la prova vivente, dovunque arriverai, che gli dei non esistono”).

Bruno Elpis

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Medea. Fedra. Tieste 2014-05-06 14:10:32 maria68
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maria68 Opinione inserita da maria68    06 Mag, 2014
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l'amore infelice rende crudeli

Condotti tra le vie più recondite dell'animo umano, osserveremo da vicino la sofferenza più intima della protagonista, presenzieremo al duello tra due concetti contrapposti: Ragione e passione, conosceremo l'inarrestabile sete di vendetta: "Crede davvero che la catena del male sia spezzata? Sconvolta, folle, il furore mi trascina...se un delitto esiste che greci e barbari hanno conosciuto e le tue mani ignorano, ebbene, è tempo di prepararlo". Medea che per Giasone si è macchiata con i più atroci delitti e tanti sono i  "crimini che gli consentì di vincere il mare e le fiamme" non può rassegnarsi all'esilio. La sua malvagità sarà un crescendo; la sua fama di donna dal carattere demoniaco verrà spesso enfatizzato dal coro: "dove ti porta, dove, Menade sanguinosa, il tuo amore crudele? Nel tuo rabbioso impeto quale delitto mediti?". È una donna che non piace la Medea di Seneca, in poche pagine verrà demolito l'archetipo di 'donna' noto a chiunque. Nessuna peculiarità emotiva dell'essere donna si delinea nella protagonista, unica eccezione l'amore 'malato' che nutre per Giasone. L'insufficiente istinto materno, qualità indiscussa dell'essere donna, la condurrà a maturare e a commettere il delitto dei delitti: l'uccisione dei propri figli; sovvertendo quello stereotipo materno cui pone la donna sul gradino più alto del trono, prerogativa che curiosamente scoveremo in Giasone "...non ho altra ragione di vita, non ho altro conforto per il mio cuore provato dalla sventura. Piuttosto farei a meno del respiro, degli arti, della vista".
Con la sua Medea, l'autore riesce a dimostrare che il raziocinio non sempre riesce a scongiurare gli effetti devastanti prodotti dall'animo umano se questo è sopraffatto dalla collera. Una tragedia intensa e bellissima che per l'argomento trattato risulta ahimè al quanto attuale.

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