La protesta è tutta un rap
Saggistica
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La ribellione corre sul filo della musica
Marco Picco con La protesta è tutta un rap firma un saggio socio-politico profondo, documentato e molto preciso anche da un punto di vista della ricerca delle fonti. La tesi del saggio è che il rap, genere musicale particolare, è visto come mezzo espressivo preponderante per esprimere un disagio sociale. E’ considerato un tramite per esprimere dissenso e disapprovazione, per ovviare ad una ingiustizia o iniquità perpetrate all’interno della società. Tale considerazione è estremamente innovativa nel suo genere.
Ma che cosa è il rap? E’ una musica fortemente sincopata su base ritmica, uniforme, nella quale il monologo, spesso di contenuto politico, prevale sul canto. E’
“una tecnica vocale di canto dalle origini più disparate, soprattutto di black music, che consiste nella esecuzione di allitterazioni, assonanze e rime senza note su basi ritmiche uniformi, cadenzate e spesso già assemblate e registrate, con frequenti accompagnamenti strumentali o più spesso elettronici, in alcuni casi con suoni emessi con dischi girati manualmente. Esso fa parte delle quattro arti della cultura “Hip-Hop” nata negli Stati Uniti d’America. Questa tecnica vocale è eseguita da un Mc, mentre il DJ accompagna l’MC. I quattro elementi della cultura hip hop sono il writing, la break dance, il Rapping o Mcing e il DJing. Questa cultura è nata presso la comunità afraamericana e latinoamericana di New York nei primi anni settanta, come un riadattamento americano del DJ style, uno stile di reggae giamaicano ritenuto il principale precursore di questo genere.”
Dopo questa specificazione parliamo nel dettaglio della struttura del saggio, strutturato in cinque capitoli:
“Il primo sarà dedicato alla storia e alle origini della musica rap negli Stati Uniti, evidenziando il contesto sociale ed economico in cui è sorto. Il secondo riguarderà l’evoluzione sociale della musica rap in America negli anni Ottanta e Novanta. Il terzo sarà dedicato al contesto italiano, dalle origini del rap fino alla fine degli anni Novanta. Il quarto capitolo sarà invece caratterizzato da un confronto sociologico tra il rap americano e quello italiano del nuovo millennio. Completa questo studio una breve monografia dei Club Dogo, uno dei gruppi italiani maggiormente significativi nel panorama musicale rap, una sintesi conclusiva e un’appendice in cui vengono riportati i testi di alcuni brani dei Club Dogo.”
Bisogna dire che la musica rap nasce come esigenza di ribellione perché dava voce al popolo. Fu utilizzata anche come strumento contro il razzismo tra bianchi e neri in America soprattutto negli ambienti dove la tensione tra le due “razze” era alle stelle, ossia negli anni Novanta. A partire dagli anni Novanta l’hip hop è diventato parte di molte classifiche musicali ed oggi è diffuso in tutto il mondo influenzando vari generi. Sebbene questo genere musicale abbia varcato i confini delle produzioni underground per acquisire un forte successo commerciale, negli Stati Uniti rimane vasta e fortissima la presenza di produzioni indipendenti. Ciò dimostra come il rap sia sì un fenomeno musicale, ma soprattutto una componente di una cultura ormai radicata all’interno del territorio statunitense. Questo genere si divide in più sottogeneri, tra cui il gangsta rap, l’hardcore ra, il G-funk, l’alternative rap e altri sottogeneri. Le principali ere storiche dell’hip hop/rap sono la cosidetta Old school hip hop (1970-1985), dagli esordi al debutto in mainstream, e la Golden age hip hop (1985-1993), in cui iniziarono a riscuotere successi sia il movimento East Coast che quello West Coast. Allora cominciò anche la storia moderna del genere, con la nascita di Gangsta rap e G-funk, di derivazione West Coast. Gli anni dal 1993 ad oggi riguardano l’hardcore hip hop, il “Bling-bling”, gli stili underground e i successi in ambito mainstream, che definiscono in larga parte l’hip moderno. Al successivo confronto tra il rap americano e quello italiano il saggio si propone di fornire una risposta precisa in riferimento ai contesti socio-culturali delle metropoli americane e quelle italiane. Ma non solo la riflessione conduce, inevitabilmente, ad una attualità tutt’ora presente nella sua intima valenza politica, domandandosi se è oppure no. La conclusione non può che essere una:
“Il rap ha uno scopo sociologico: quello di raccontare situazioni critiche di persone in difficoltà, cercando di smuovere le coscienze di tutta la popolazione americana a prescindere dalle origini di razza e dall’estrazione sociale.”
Dunque il rap come il più alto e profondo strumento per comunicare con tutta la società e i suoi problemi. Un saggio ottimamente scritto, con una prosa precisa e frizzante, ma particolarmente consapevole e ricercata anche nella raccolta delle fonti e a sostegno delle proprie tesi. Un saggio giovane e completo di elevata caratura saggistica, che vede la musica come tramite per urlare e per esporre gli stati più profondi dell’insofferenza sociale e politica di tutto il mondo in una visione totalitarista ed infinita dell’essere umano, e della sua peculiarità di uomo sociale.