La governante
Saggistica
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Censura!
Era da lungo tempo che la mia curiosità desiderava leggere quest’opera teatrale di Vitaliano Brancati. Ne avevo sentito parlare come di un testo scandaloso per gli anni in cui fu scritto; in realtà, più che il testo scandaloso, erano i tempi a non essere ancora maturi per un lavoro di questo genere dal momento che, a leggerlo con la mentalità del nostro tempo, non vi si trova niente che sia stato riportato in modo sconveniente o indecente.
Correva l’anno 1952 quando Brancati diede alle stampe questa sua opera in tre atti che ebbe la prima rappresentazione soltanto nel 1966. Il tema trattato è uno di quelli che l’Italietta del dopoguerra, ufficialmente postfascista, ma ancora ostaggio in buona parte delle idee del ventennio, per giunta bigotta e in mano ai preti, non riusciva nemmeno a far finta di tollerare: l’omosessualità femminile. La censura non perdonò all’autore tanto ardire e così “La governante” non andò in scena se non quasi tre lustri dopo la sua stesura.
La vicenda, che si svolge a Roma presso una famiglia di origine siciliana, è semplice ma ben orchestrata; buoni i dialoghi, così come tutt’altro che mal riusciti risultano i personaggi, in particolare quello del vecchio Leopoldo, il padrone di casa, che alla fin fine mi è piaciuto molto di più di quello di Caterina, la governante: sarà proprio lui a dimostrare, malgrado la morale provinciale e le rigide convinzioni in fatto di onore e decoro familiare, che è possibile non solo compatire, ma anche accettare chi è diverso perché, in definitiva, quel che conta è ciò che le persone hanno nel cuore. Un finale tragico e inaspettato mostra tutta la maturità di un testo che fin dall’inizio avrebbe meritato un trattamento migliore.
Ma all’epoca, per quanto riguardava la censura, “La governante” si trovava in buona compagnia, se persino autori come Shakespeare ne uscivano con le ossa rotte. Come infatti racconta l’interessantissimo saggio “Ritorno alla censura”, scritto dalla penna avvelenata dello stesso Brancati e inserito in questa edizione, erano tante le opere bloccate o pesantemente menomate dai burocrati dell’apposito ufficio censorio. Si scoprono episodi assurdi che non pensavo accadessero, almeno non in questi termini, come la presenza costante della polizia a teatro, pronta a interrompere lo spettacolo e ad arrestare regista, sceneggiatori e attori in caso di qualche battuta giudicata azzardata e fuori posto! Ma – mi domando – non si era forse in democrazia e la libertà di espressione non aveva già trovato posto tra i diritti garantiti dall’allora giovane carta costituzionale?
In realtà, si era soltanto passati da un regime a un altro: “dopo il nero fascista il nero prete” scrisse un poeta di cui Brancati non riporta il nome. Paradossalmente, erano gli anni in cui le direttive democristiane facevano sì che di sesso si sentisse parlare più all’interno delle chiese, visti gli “interrogatori” che i preti erano soliti rivolgere alle penitenti in ginocchio nei confessionali, che non a teatro o al cinema. Insomma, questo breve saggio merita di per sé una lettura per comprendere ancora meglio come la nostra Repubblica sia nata male e abbia ribadito nel contempo un’arretratezza culturale di cui la società italiana paga ancora oggi le conseguenze.