Il dio del massacro
Saggistica
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Quando le maschere cadono
La Reza scrive questo breve, brevissimo libro di neanche 100 pagine sottoforma di dialogo tra due coniugi appartenenti alla borghesia francese. Si tratta chiaramente di una pièce pensata per una messa in scena teatrale ma che ha avuto anche una trasposizione cinematografica da parte del regista R. Polanski (Carnage, del 2011). Fin dall’incipit infatti l’autrice ci introduce nella location appositamente pensata, la casa di una delle due coppie:
“Le due coppie hanno appena fatto conoscenza. Al centro, un tavolino basso con molti libri d’arte. Nei vasi due grandi mazzi di tulipani. Regna un’atmosfera compunta, cordiale e tollerante”.
Partendo da questo antefatto la vicenda si dipana attraverso (presunti) chiarimenti e ammissioni di colpa per il disdicevole comportante del figlio di una coppia accusato di avere colpito, munito di bastone, il viso del figlio dell’altra coppia causando lesioni a due denti incisivi.
Per la Reza si tratta di un pretesto per arrivare al nocciolo della questione: nonostante millenni di evoluzione umana, nonostante la facciata di perbenismo di due tranquille e agiate famiglie borghesi, l’essere umana è in grado di fare cadere qualsiasi sovrastruttura, qualsiasi maschera mostrando così il vero volto, che porta alla ricerca dello scontro, al conflitto. Inevitabile quindi la propensione ad inveire verso l’altro per affermare il proprio status, per fare emergere le proprie ragioni e difendere il “clan”. L’autrice è abile nel descrivere il crescendo, come progressivamente la discussione si animi, girando intorno alla questione principale (la richiesta di scuse da parte del figlio in torto nei confronti del figlio colpito). Ma in maniera furba, esattamente come è furbo l’essere umano civilizzato che per non affrontare la situazione di petto cerca di girarci intorno, intervallando con digressioni sulla cucina, con domande reciproche sulle professioni (rispettabilissime) di tutti gli adulti coinvolti, fino a prendere una piega inattesa quando emergeranno evidenti disagi di coppia tanto da una parte quanto dall’altra, visti più come differenza di comportamenti tra universo maschile e femminile.
La conclusione, messa in bocca al distaccato padre avvocato (senza scrupoli) del bambino reo è che alla fine la violenza, anche se parliamo di un atto irresponsabile di un bambino viziato e eccessivamente vivace, è in qualche modo giustificata, fa parte della natura umana, perchè evidente conseguenza di azioni della controparte che l’hanno in qualche modo stimolata: “Io credo nel dio del massacro. E’ il solo che governa, in modo assoluto, fin dalla notte dei tempi”.
Sicuramente affermazioni e parole che fanno riflettere tanto più ai giorni nostri in cui stiamo assistendo allo svolgimento di una terribile aggressione bellica in cui sembrano valere questi principi. In definitiva lettura consigliabile, che riesce a rendere perfettamente come rappresentazione teatrale e che lascia forse qualche dubbio su un’idea interessante che poteva essere ulteriormente sviluppata.
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Il volto che ci viene imposto
Parlare di un'opera teatrale è molto diverso dal parlare di un romanzo. La bravura dell'autore di un testo teatrale si evince soprattutto dalla sua capacità di far parlare e interagire i personaggi in scena, in modo da metterne bene in risalto i caratteri, i pensieri e le contraddizioni. Nel caso de "Il dio del massacro" questo discorso è valido più che mai, essendo palese l'obiettivo di" montare e smontare" gli stessi protagonisti; affibbiargli una maschera e poi farla decadere miseramente, facendo venire fuori i lati più gretti della natura umana.
Le maschere che la società ci costringe a indossare sono tante e diverse per ogni occasione, ed è proprio questo il tema trattato da Yasmine Reza che, devo dire, lo fa in maniera molto efficace. Vedere il graduale (ma veloce) mutare dell'atteggiamento dei protagonisti è difatti la cosa più interessante: prima affabili e accomodanti, poi furiosi al punto da sembrare posseduti da un vero e proprio "dio del massacro”.
Le maschere sociali vengono giù e altro non resta che l'essere umano (im)puro e semplice. Risolvere la controversia tra i due ragazzini non è mai stato il vero obiettivo; l'obiettivo era imporre il proprio ego, mettere in risalto il proprio valore in quanto genitori, e quindi in parte in quanto individui. Il litigio tra i due ragazzini passa in secondo piano, lasciando il posto alla personalità delle quattro figure che, in un modo o nell'altro, vogliono prevalere e imporre i propri pensieri e ideologie. È interessante anche vedere come, nonostante i litigi, vengano fuori naturalmente delle complicità di genere (marito-marito, moglie-moglie), che risultano essere la cosa più genuina e spontanea. A parte l'ira incontrollata, ovviamente.
Due coppie sposate si trovano nel salotto di una delle due, per risolvere una controversia nata tra i loro due figli: uno dei due infatti ha fatto saltare gli incisivi all'altro, in seguito (pare) a una provocazione. Inizialmente guidati (almeno in apparenza) da ogni buona intenzione, presto lasceranno fuoriuscire le prime divergenze d'opinione, inizialmente generate dal proprio "istinto di protezione genitoriale", ma in seguito inasprite da tutte le insoddisfazioni continuamente represse, sia personali che di coppia. Un dipinto brutale del nostro reale aspetto interiore, quello senza filtri. La sensazione che si prova durante e alla fine della lettura è quella che darebbe l’atto di mettersi avanti allo specchio e togliersi una maschera col proprio volto, scoprendo che aveva sempre celato un mostro.
Vi consiglio di guardare anche la trasposizione cinematografica di Roman Polanski, che offre qualcosa in più all'esperienza trasmessaci da quest'opera, oltre che a dare un ulteriore spunto di riflessione che il testo scritto non ci offre. Tranquilli, non è una libera interpretazione del regista, essendo stato affiancato nella sceneggiatura dalla stessa Yasmina Reza.
Buona lettura (e visione).
"Vèronique, io credo nel dio del massacro. È il solo che governa, in modo assoluto, fin dalla notte dei tempi."
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Strepitosa commedia coniugale
Un piccolo libro (una pièce teatrale), grandioso nella sua semplicità e profondità.
Siamo nel borghese salotto dei coniugi Houlliè, di fronte a loro, seduti sul divano ci sono i coniugi Reille.
Non sono amici...ma hanno deciso di incontrarsi per discutere civilmente della lite avvenuta fra i loro figli undicenni ai giardinetti: il figlio dei Reille ha picchiato con un bastone il figlio degli Houlliè, rompendogli due denti incisivi, dopo essere stato tacciato di essere una spia.
Ed ecco che ha inizio la pantomima della buona educazione, della falsa cortesia, del politicamente corretto...del "ma certo, avete ragione", "è consapevole di quello che ha fatto", "vi deve delle scuse"...
Ma dura poco, molto poco...il tempo di una fetta di torta, di un caffè, di una serie di telefonate di lavoro altamente disturbanti, di un violento conato di vomito su un tavolino stracolmo di (costosi e introvabili) libri d'arte...ed ecco che viene fuori la vera natura dell'uomo, quell'aggressività verbale (e non solo) tenuta a bada e repressa dalle convenzioni sociali, dalle sovrastrutture che ci impongono determinati comportamenti.
Inizia una guerra vera e propria, una carneficina dialettica, dove le parole sono pallottole, dove la voglia di colpire l'altro nei suoi punti deboli diventa insopprimibile...non soltanto tra le due coppie, ma anche all'interno delle coppie stesse, mettendo a nudo la fragilità delle relazioni, del matrimonio, e facendo creare sodalizi e complicità inimmaginabili (tanto quanto labili), pur di sfogare antiche frustrazioni represse.
Un carnevale dell'ipocrisia, dove si passa dai complimenti per un dolce allo schiaffeggiare i tulipani nel vaso...
Dialoghi folgoranti al servizio di una commedia coniugale strepitosa.
Non è un caso che Roman Polanski abbia tratto da questo scritto un film bellissimo "Carnage", con un'interpretazione attoriale veramente sublime.
Non è facile mantenete viva l'attenzione del lettore e dello spettatore quando tutto si svolge in un unico ambiente, con soli quattro protagonisti, dove non c'è movimento, non c'è azione...ma il potere delle "parole", quando sono scritte bene, quando sono portatrici di grandi significati, non conosce rivali.
Li consiglio, entrambi, libro e film.
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Mangerà [...] è onnivoro, come noi.
Un testo teatrale, c'è poco da fare, può essere pienamente apprezzato solo nell'atto della sua rappresentazione. La lettura trasmette molto e ciò che non trasmette lo supplisce l'immaginazione, ma gli attori sono elementi essenziali, cosi come il sottile gioco di equilibri tra urla e sussurri, esitazioni ed esclamazioni, silenzi e parole. Nulla di più vero si può dire per Il dio del massacro di Yasmina Reza, visto per la prima volta al Teatro Eliseo di Roma nel 2009 e mai più dimenticato. Oggi, sei anni dopo circa, mi sono convinta a leggerlo e di seguito a recensirlo.
Nel testo nulla è superfluo; lo afferma l'autrice stessa descrivendo la scena, "Un salotto. Nessun realismo. Nessun elemento inutile." e il dramma viene introdotto ancor prima di cominciare. Le due coppie infatti, i Reille e gli Houllié ci vengono presentati in "un'atmosfera computa, cordiale e tollerante", tre aggettivi che già preannunciano quello che sarà il fulcro di tutta l'opera, ossia la dicotomia tra realtà esteriore, fatta di regole, confini e morale, e la realtà interiore, che cela gli istinti più bassi della natura umana. La causa apparente che dà il via alla vicenda è un episodio di violenza fisica subita dal figlio degli Houllié ad opera del figlio dei Reille. I quattro genitori si riuniscono per discutere civilmente dell'accaduto con lo scopo di raggiungere un accordo sul da farsi, ma la situazione si complica rapidamente sino a trasformarsi in tragedia quando la maschera della civiltà cade e la vera indole dei protagonisti si fa spazio pian piano sulla scena. Non c'è nessun reale desiderio da parte delle due coppie di raggiungere un compromesso, solo di imporre la propria supremazia sull'altro, di distruggerlo minando le sue convinzioni, perché "mors tua, vita mea", se ti uccido, sopravvivo.
Lo scontro tra le due famiglie diventa così una delle più bieche dimostrazioni della filosofia di Hobbes dell'uomo che è lupo per gli altri uomini, "homo homini lupus", secondo la quale è solo la realtà sociale, la necessità e il bisogno opportunistici di una rete di relazioni tra le persone, ad impedire un massacro. Massacro che in questo caso si snoda nella sua crudeltà più totale, perché l'evento scatenante, amplificato dal desiderio delle due coppie di difendere ad ogni costo il rispettivo bambino, sovverte le regole sociali, infrangendo il miraggio dell'ordine e della tolleranza e scatenando gli impulsi più bestiali. Di conseguenza, le parole tagliano come lame e non risparmiano nessuno, scoppiano le coppie, distruggendo qualsiasi legame di solidarietà in un crescendo sempre più serrato di meschinità, accuse e volgarità che non può far altro se non trovare la propria fine in un anticlimax di silenzi imbarazzati e imbarazzanti, come quelli di un bambino che preso dalla foga sbaglia, ma se ne rende conto solo quando è ormai troppo tardi.
L'idea che l'autrice ha della natura umana e che permea il testo può essere anche brevemente riassunta con un semplice scambio di battute presente nello stesso,
MICHEL: Senta, ne ho fin sopra i capelli di tutte queste discussioni alla cazzo di cane. Abbiamo fatto i simpatici, abbiamo comprato i tulipani, mia moglie mi ha camuffato da uomo politicamente corretto, ma la verità è che sono del tutto privo di auto controllo, sono uno che va fuori di testa.
ALAN: Lo siamo tutti.
Anche se poi alla fine sta a noi lettori/spettatori/vittime? decidere quanto ci sia di vero in questo.
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Il diavolo in corpo
Siamo in una stanza: due coppie di coniugi. I Reille e gli Houillè. Stanno seduti gli uni di fronte agli altri a discutere tranquillamente e civilmente riguardo una rissa avvenuta tra i rispettivi figli. Ma ben presto quello che sembrava un semplice incontro formale si trasforma in una vera e propria guerra, fisica e verbale, volta a ferire le scelte di vita e le personalità di ognuno dei presenti.
La casa diventa così un campo di battaglia, le parole le pistole: la maschera di perbenismo e buona educazione che copriva i loro volti si sgretola, tirando fuori e rivelando quel “dio del massacro” che si cela in ognuno di noi, quell’Es freudiano che qui si libera dalle catene dell’Io, quel male che mira a uccidere il modo di agire e pensare altrui e mette in discussione un’esistenza intera, costretta a difendersi con le unghie e con i denti per non crollare a terra in fin di vita.
Menefreghismo, malessere, pianti, nausee, urla, botte, vendette… Tutto ciò che è perverso è pronto a scatenarsi quando si tratta di avere l’ultima parola e difendere se stessi da accuse che sembrano ingiuste e minano la nostra integrità morale, la nostra filosofia di vita che ci è sempre sembrata giusta e ineccepibile.
E’incredibile quanta devastazione e distruzione emotiva ci siano in appena novanta pagine di questo libretto, scritto a mo’di sceneggiatura teatrale non a caso: perché è proprio il logos la vera arma che, è risaputo, ferisce più della spada. Un logos semplicissimo e non ricercato, un piccolo sasso che, se lanciato, è perfettamente in grado di distruggere una muraglia intera, un malefico soffio di vento che fa crollare un castello di carte, una brezza marina che disgrega una costruzione di sabbia, mischiandola al suo male e trasportando questi granelli contaminati negli occhi e nel cuore della gente, costruendo pian piano la scultura di quel “dio del massacro” che, spinto dall’estremità delle circostanze esterne e dalla paura di sentire minacciata la propria ontologia, prende vita e comincia a uccidere le persone. A parole o a gesti.
Un libro spiazzante in tutta la sua piccola grandiosa semplicità, poche pagine che sconvolgono e sorprendono facendone un piccolo capolavoro.
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Spregiudicato
ALAN Lei non immagina, signora…
MICHEL Véronique.
ALAN Lei non immagina, Véronique, quanto mi sento coinvolto. Mio figlio ferisce un altro bambino…
VERONIQUE Volontariamente.
ALAN Ecco, questo è il genere di osservazioni che mi manda in bestia. Volontariamente, lo sappiamo.
VERONIQUE Ma la differenza è tutta qui!
La differenza è che loro sono degli attori. Mentre il lettore la vittima della sceneggiatura della francese Yasmina Reza. Vittima, nel migliore dei sensi possibili. Esilarante, sagace, ma allo stesso tempo molto profonda, la sceneggiatura d’oltralpe del 2006 ha l’effetto dell’elio inalato coscenzionsamente: una massiccia dose di risa. Spumoso nella stesura e idem nella realizzazione della traduzione di L. Frausin Guarino e E. Marchi, “Il Dio del Massacro” mostra inesorabile lo sgretolarsi del mondo civilizzato, che si piega inevitabilmente all’approquinquarsi della bruta forza del, appunto, dio della carneficina, ovverosia il sempiterno spettro della più antica delle nostre anime: l’istinto animale. O meglio sia, l’istinto animale di protezione nei confronti dei propri cuccioli. Le due coppie vedono scomparire, poco a poco, quelle maschere di benevolenza e dignità che fin dall’inizio hanno indossato l’una per l’altra, composte, attente a non tradire il minimo rigurgito di quell’antica bile che in ogni caso è pilastro stesso della loro esistenza. Come bestie obbligate al comportamento umano che presto rendono vive le avvisaglie di una nuova trasformazione, di un ritorno alle origini, così per le due coppie forti si fanno presenti i luccichii di una rapida virata verso quelle sirene che sentono e che non vorrebbero ascoltare. Ma il dio della carneficina attende dietro le quinte di entrare in scena, di prendere piede nel minuto salotto borghese che, triste, si erge a baluardo finale di una società che ostenta valori che in realtà non possiede neanche negli angoli più reconditi della propria mente. Quando infine la commedia sarà finita, tutti si renderanno conto che è troppo tardi per cercare di incollare nuovamente al loro posto le facce teatrali che hanno ormai perso ogni credibilità e con duro rammarico potranno solo uscire di scena in silenzio.
“Il dio del massacro” mette a nudo la debolezza dell’uomo che non ha disposizione mezzi reali per affermare le proprie convinzioni. Le due coppie sono entrambe chiuse nelle torri delle loro convinzioni e non s’accorgono, impegnate come sono a fingere di essere delle persone civili, che la frana provocata dalle loro emozioni (e dall’alcool) travolgerà infine tutte le loro impostazioni, se non loro stessi. L’alterco che i due marmocchi hanno creato nei giardinetti diventa velocemente un pretesto per imporsi reciprocamente una dominazione borghese, fatta di etichette e di comportamenti, più che d’umanità o sensazioni. Non riescono, forse, le due coppie ad accettare che almeno i loro figli hanno avuto il coraggio di reagire d’impulso, di affrontare i loro istinti nel modo che ogni genitore conosce: la lite. La coscienza che i loro pargoli non sono poi così borghesi come loro dicono di essere, smuove gli adulti dal loro piedistallo, pericolosamente li fa tremare nelle loro nicchie dorate e questi, automaticamente, si aggrappano agli ultimi rimasugli del loro Io, fino ad implodere, provocando un’onda d’urto letale, ma reale.
VERONIQUE Non si sono torti da entrambe le parti! Non si confondono vittime e carnefici!
ANNETTE Carnefici!
MICHEL Oh Veronique quanto rompi, ne abbiamo le scatole piene di questi sproloqui infarciti di banalità!
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Le maschere
Le pièce di Yasmina Reza sono famose in tutto il mondo ma sinceramente non sapevo che era l'autrice de “Il dio del massacro” forse ai più è conosciuta come rappresentazione cinematografica dal titolo “Carnage” diretto da Roman Polanski. Sono andata a vedere, qualche tempo fa il film ma intuii quasi subito che si doveva trattare, per il tema, di un qualcosa con una base molto più solida, anche se Polanski come regista ha fatto un lavoro preciso e del tutto lodevole, bisogna precisarlo. Non è facile snocciolare un argomento così ampio e spigoloso in poche pagine, sono solo novantuno, in merito alle maschere che ognuno di noi si porta dietro ormai senza rendersene conto e senza peso alcuno.
La trama è semplicissima ed è resa a pretesto dall'autrice per sviscerare l'argomento del libro: due coppie (marito e moglie) si incontrano perché il bambino di uno di loro ha malmenato con un bastone il figlio dell'altra coppia sfregiandolo e facendogli cadere i denti. Le famiglie appartengono alla borghesia francese, come tale, in maniera civile, vorrebbero concludere la faccenda con scuse e ammende. Tutto sembra filare liscio fino a quando, con una parola dietro l'altra, in maniera sapientemente descritta, viene fuori il dio del massacro che alberga in ognuno di noi. Sono scene raccapriccianti e sconcertanti, ma non perché scorre il sangue a fiumi, tutt'altro, durante i litigi fra le coppie e anche tra di loro, caduta la maschera del perbenismo bieco, esce fuori di tutto, tutto quello che realmente pensano dei loro mariti e delle loro mogli, quello che per anni non si erano detti ed ora è uscito dalle loro labbra come un fiume in piena che non si può in alcun modo fermare. Tutti ne rimangono feriti, ma realmente che cosa sia accaduto, non lo capiscono neanche loro che rimangono ben avvinti alle loro bassezze, credendo che il loro modo di vita sia il migliore. La tolleranza, il buonismo, la buona creanza, la politically correct vengono tutte a sgretolarsi, parola dopo parola, frase dopo frase, atteggiamento dopo atteggiamento, riuscendo a far uscire il dominatore di noi stessi che da sempre vive nel nostro corpo.
Fatemela dire proprio tutta, ognuno di noi, per quanto si professi sincero, leale, altruista e quant'altro, se viene messo sotto pressione o alle corde, reagisce come il topo messo all'angolo, non si sa mai la reazione che può avere, ci può saltare addosso, salire sui muri o svicolare a destra e sinistra. In realtà non amiamo essere messi con le spalle al muro soprattutto in presenza di estranei, ci sentiamo sviliti, canzonati, sbeffeggiati, reagiamo in maniera istintiva e così la maschera che opportunamente avevamo indossato per l'occasione cade e si rompe. Ho provato questa sensazione, vi assicuro che è poco piacevole per se stessi e per tutti i presenti, ma sapete come si chiama questo? Si chiama “Sopravvivenza”, facciamo male agli altri affinché loro smettano di farlo a noi. Non la condivido ma purtroppo noi esseri umani siamo fatti così, che ci piaccia o che non ci piaccia il dio del massacro ci governa ed è pronto ad uscire ad una forte sollecitazione. Non sono in grado di accettare come repliche bigottismi di facciata.
La verità è questa, è cruda, ma è la verità!
Consiglio: ascoltate e guardate il video di Frankie HI-NRG MC “Quelli che benpensano” su Youtube e poi mentre ascoltate leggete il testo. Rivelazione!