Filosofie dell'arte
Saggistica
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Ma è arte questa?
Nel 1927 l'artista rumeno Costantin Brâncuşi, in procinto di allestire una mostra presso la Galleria Brummer, viene costretto dalla dogana degli Stati Uniti a pagare per intero le tasse d'importazione relative all'opera "oiseau dans l'espace" anziché, come la legge stabilisce, la tariffa ridotta cui le opere d'arte potevano usufruire. Il fatto è che il doganiere non ha riconosciuto come tale la scultura in questione, ritenendola un semplice oggetto e, per questo, non soggetto all'esenzione fiscale. Certo, ora ci riferiamo all'opera di Brâncuşi come ad un sublime esempio di scultura del Novecento, ma siamo sicuri che il doganiere abbia davvero compiuto un errore così grossolano? In fondo non ci è mai capitato, magari passeggiando all'interno di una galleria di arte contemporanea, di chiederci: "ma questo è arte?". La domanda è tutt'altro che ovvia e acquista una rilevanza ancora maggiore una volta che ci si confronti con oggetti dalla dubbia identità come le scatole Brillo di Warhol o le luci al neon di Flavin; tutti oggetti, tra l'altro, che alla dogana hanno subito la stessa sorte dell'oiseau di Brâncuşi.
Si potrebbe obiettare che un certo tipo di "arte" del Novecento costituisca un caso limite o, se vogliamo, una degenerazione dell'idea tipica di opera che, invece, si è mantenuta pressoché costante e pienamente definita nel corso della storia, dai Greci sino almeno a Cezanne. Ma le cose stanno realmente così? Davvero una Brillo Box e una statua di Canova sono oggetti del tutto eterogenei catalogati erroneamente sotto l'etichetta di "opere d'arte"? Se si vuole mantenere un approccio descrittivo, la risposta è no. In fondo, il fatto che ora il mondo dell'arte consideri come opere legittime degli oggetti così strani è frutto di un percorso storico progressivo, consapevole e continuo che da Giotto arriva fino a Beuys senza apparente soluzione di continuità. Bisogna però rispondere ad una domanda fondamentale rimasta inevasa: perché la ruota di una comune bicicletta è una semplice ruota e quella di Duchamp è un'opera d'arte? Non sono, in fondo, due oggetti identici?
Il libro di Tiziana Andina ci fornisce una completa panoramica sulle risposte che la filosofia dell'arte ha dato a questo interrogativo. Di fronte a certe opere novecentesche, infatti, la veneranda teoria imitativa secondo cui l'arte è imitazione della realtà, teoria che vanta sostenitori nobili come Platone e Aristotele, è risultata non più sostenibile. Vi è stato chi ha affermato l'impossibilità di una definizione univoca, ritenendo che non ci sia una proprietà universalmente condivisa ma che, tra le diverse opere, sussista piuttosto una somiglianza di famiglia, oppure che si tratti semplicemente di oggetti per i quali è stata fornita un'adeguata "narrazione". Altri, invece, hanno comunque cercato un denominatore comune rintracciandolo rispettivamente nella volontà istituzionalizzata del "mondo dell'arte", nell'essere un oggetto veicolo di emozioni o di proprietà estetiche o nell'essere un artefatto di genere particolare. Infine, vi è chi ritiene che il modo migliore per affacciarsi ad un'opera consiste nel considerarla come un complicato oggetto sociale che si fa portatore di un qualche significato rappresentazionale, di una particolare visione delle cose.
Ogni teoria dell'arte offre vantaggi e svantaggi ma, in fin dei conti, l'arte è una questione complessa e intrecciata a più riprese con ogni altro ambito dell'esistenza umana. E' per questo motivo che si fatica a trovare una definizione che sia del tutto soddisfacente, che copra ogni possibile caso. Di arte se ne è prodotta un'infinità e, soprattutto nel Novecento dove essa è stata spesso sinonimo di "riflessione sull'arte stessa", non è difficile trovare una qualche opera che possieda caratteristiche così eccentriche da demolire una teoria, per quanto solida e intuitivamente valida possa apparire a prima vista. D'altra parte, anche quando una teoria riesce a non essere falsificata, il rischio che corre è quello di essere troppo inclusiva e perciò insoddisfacente, addirittura banale. Una considerazione nel merito (non nel metodo del libro, che è ottimo) potrebbe essere questa: non è che la filosofia dell'arte, per essere significativa, deve abbandonare il descrittivismo e darsi un più robusto approccio normativo?