Elena
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Realtà VS Apparenza
La scena è in Egitto dove Elena, moglie di Menelao, si trova ormai da 17 anni, poiché, come narrato dalla stessa protagonista, il suo ratto non è stato che un mero inganno ordito da Era. Adirata per l’oltraggio subito nel momento in cui Paride ha preferito a lei e ad Athena Afrodite, che l’aveva allettato promettendogli la bellissima "Elena dalla bella chiom"a in cambio, nel mitico giudizio delle tre dee, la moglie di Zeus aveva infatti forgiato un’illusoria immagine della donna fatta di nuvole cosicché mentre Greci e Troiani sono a combattersi per un simulacro vivente, la vera Elena è rifugiata in terra d’Egitto alla corte del nobile re Proteo. Quest’ultimo è però morto e ora la donna è entrata nelle mire del suo spregevole figlio Teoclimeno, a cui non vuole concedersi in ossequio alla sua fedeltà per suo marito Menelao. Quando giunge Teucro a informarla della fine della decennale guerra di Troia, del mancato ritorno a Sparta di Menelao, di cui non si hanno notizie, e della morte di sua madre e dei suoi fratelli, Elena è fortemente disperata. Viene tuttavia a sapere dall’indovina Teonoe, figlia di Proteo, che Menelao è vivo e molto vicino. Di lì a poco infatti il re spartano sbarca in Egitto in abiti cenciosi, tanto che Elena sulle prime non lo riconosce; Menelao, invece, che portava con sé la falsa Elena e l’aveva fatta chiudere in una grotta perché non scappasse, rimane sconcertato dall’incredibile somiglianza della donna a sua moglie. Elena cerca di convincere il marito della sua identità raccontando la vicenda del fantasma, ma il ricongiungimento avviene realmente solo grazie all’intervento di un compagno di Menelao, che gli comunica la sparizione dell’eterea immagine della falsa Elena, ricomponendo i pezzi del puzzle. La coppia è dunque di nuovo insieme ma bisogna escogitare un modo per scappare, poiché Teoclimeno vuol fare della donna sua moglie. Scartate le idee combattive del marito e portata dalla loro parte Teonoe, dopo aver giurato di scappare insieme o uccidersi insieme, Elena e Menelao attuano il piano escogitato dalla scaltra donna: fingendo di aver ricevuto da un vecchio (Menelao) la notizia della morte di suo marito, questa chiede e ottiene da Teoclimeno una nave per celebrare, secondo il presunto uso greco, il rito funebre per Menelao morto in mare, promettendo maliziosamente di sposarlo subito dopo; i due dunque si allontanano dalle coste egizie andando verso il loro lieto esito del ritorno a Sparta. Teoclimeno, informato dell’accaduto da un messaggero che era riuscito a scappare dalla nave dei due, si scaglia irato contro la sorella Teonoe loro complice silenziosa, ma intervengono i Dioscuri, fratelli di Elena e da poco divinizzati, i quali lo fermano, affermando che tutto è accaduto secondo il volere divino e preannunciando la futura divinizzazione della stessa Elena.
Pur rientrando certamente agli occhi del pubblico ateniese nel genere della tragedia, per via della materia mitica di cui tratta, l’Elena è un dramma che sfugge ad ogni classificazione per via dei diversificati elementi che concorrono a formarne la struttura. L’happy ending, meno preferibile e meno frequente seppur consentito, l’ambientazione esotica, lo stravolgimento formale delle tradizionali strutture della tragedia e alcune caratteristiche dell’intreccio che sembrano preludere alla commedia nuova hanno fatto sì che essa fosse variamente definita ilarotragedia, tragicommedia, dramma borghese, tragedia romanzesca. Tra le varie etichette affibbiate all’opera particolarmente significativa è quella di dramma filosofico: innegabile è infatti la presenza in sottofondo di una vena filosofica che serpeggia nell’Elena come nella gran parte della produzione euripidea, strettamente legata alla sofistica del periodo in cui si inserisce. Centrale nella tragedia in analisi è un tema particolarmente caro ai sofisti: il doppio. La dicotomia della realtà si esprime in ultima analisi nel rapporto-scontro tra realtà e apparenza. L’esempio più evidente di ciò è la scomposizione dell’io della protagonista che viene totalmente rivisitata da Euripide: Elena, storicamente paradigma di seduzione e adulterio, assurge al rango di nobile donna fedele e innamorata di suo marito e soffre della cattiva fama procurata al suo nome dalla sua falsa immagine fatta di nuvole. Ciò che di lei dice Teucro è ciò che tutti i Greci dai tempi di Omero pensavano di lei; Euripide segna in questo modo una spiazzante innovazione destinata certamente a catturare l’attenzione dei suoi spettatori per evidenziare quanto ingannevole può essere l’apparenza. Di ciò è esempio anche il nuovo Menelao portato in scena: vedere un eroico re del mito ridotto in stracci doveva certamente fare un certo effetto al pubblico teatrale. Il dramma si gioca dunque su un radicale capovolgimento del mito tramandato dalla tradizione, in un intreccio giustamente definito romanzesco che si concluderà col lieto fine ai danni di un antagonista. Il contrasto sofistico tra due diversi è inoltre ben espresso anche dal confronto tra la donna, che punta sull’astuzia, e il marito, che fa leva sulla forza fisica. In quella che potrebbe essere vista come una parodia tragica dell’epica, l’eroismo di Menelao viene rifiutato e forse velatamente schernito (si è parlato a proposito di lui di miles gloriosus) a favore di una risoluzione lontana dall’epos e dai valori della superata civiltà della vergogna e più vicina ai gusti che si imporranno con la commedia nuova. Anche in questo saper conciliare la tradizione epico-tragica e i gusti in mutamento del pubblico risiede l’abilità del tragediografo innovatore.
Il complesso rapporto tra apparenza e realtà, che tanti danni ha causato, mostra chiaramente la vanità e il mistero che avvolgono la vita dell’uomo. E la guerra di Troia, sempre viva nel ricordo e nelle parole dei personaggi che l’hanno vissuta, Menelao su tutti, potrebbe dunque esser considerata l’emblema della vanità e della pericolosità dell’agire umano basato sull’apparenza, in contrasto con la serenità di un ambiente esotico come quello egizio in cui risiede la verità (Fin troppo facile è scorgere, negli infausti ricordi del sanguinoso conflitto a Ilio, un riferimento alla nefasta guerra del Peloponneso, che all’epoca della rappresentazione vede Atene in netto svantaggio). Di nulla l'uomo può esser certo nella vita se non dell’impossibilità di una conoscenza salda della realtà e della sua impotenza di fronte alla sorte prestabilita dalle divinità: "Le forme del divino sono molteplici, e molte le azioni degli dei contro le nostre attese. Quel che si credeva possibile non si realizza, mentre un dio fa accadere l’impossibile. Così termina questa storia."