Edipo a Colono
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Il ritorno alla luce
Seguito meno celebre del famoso Edipo Re, tragedia osannata in tutte le epoche come cristallino e perfetto esempio di tragedia classica, nell’unità di tempo, luogo e azione del canone aristotelico, l’Edipo a Colono è una tragedia atipica, scritta da Sofolce in tarda età, ambientata nella città natale del tragediografo, oramai al termine della propria vita. Questa “senilità” dell’opera invera, in realtà, la luminosa esperienza che trasmette, la placidità inaspettatamente non tragica con cui si chiude. Edipo, oramai in esilio e cieco, accompagnato dalla figlia Antigone, stirpe che nega se stessa, si prepara alla morte. Il miracolo di questa opera, tutta galleggiante nella sua misteriosa trasparenza, è proprio la staticità che l’accompagna: davvero non accade nulla, ma in questa placidità i personaggi scoprono davvero se stessi, secondo il precetto dell’oracolo di Delfi. Una conoscenza che l’uomo raggiunge solo dopo essersi accecato: se nell’Edipo Re l’accecamento è il prezzo della verità, una verità atroce, qui quello stesso evento è la molla per scendere sempre più in profondità, alla radice di se stessi. Questa apparente pace con l'anima è turbata solo dalle questioni della politica, da Creonte, Eteocle e Polinice, prossimi alla guerra e dai vecchi di Colono, demo di Atene. Se Edipo è già oltre la politica, non è oltre la famiglia, perché, si ricordi, la famiglia è l’humus da cui tutta la tragedia germina. Oltre tutti i turbamenti, Edipo può alla fine morire e lo fa nel mistero luminoso e roboante di un lampo di luce e di un tuono, in un’ascesi mistica che ricorda i misteri Eleusini, una gravità di peso che miracolosamente scompare nella leggerezza più eterea.
La metamorfosi di Edipo, da fantasma di se stesso a iniziatore di misteri, passa per la trasformazione tra dòxa (l’opinione) e alétheia (la verità): in lui dolore e speranza si saldano, e la disperazione deificata dalla grazia è scalinata che conduce alla conoscenza. La consapevolezza della verità, non è però vittoria della morte ma serenità nell’affrontarla nonostante tutto, anzi, la sofferenza è chiave privilegiata per accedere alla conoscenza. L’uomo, in Sofocle, non annichilisce la propria ombra, non purifica il peccato con la confessione cristiana, ma nella propria ombra si crogiola e anzi, la vive senza esserne atterrito. Pur consapevole della propria sorte, Edipo, uomo in rivolta contro il fato, si trasforma in un Sisifo felice chetrova la felicità nella sua condanna a morte. Edipo sa infatti quando morirà: dopo una folgore. Conoscenza e morte: questo tutto quello che l’uomo deve sapere e che Edipo ha appreso così da poter morire felice. Ed ecco che agli occhi del lettore questo uomo tragico si trasforma, seppure impercettibilmente, in un qualcosa di sovrumano, proprio perché è ormai abbastanza saggio da riconoscere i limiti e da accettarli.
Con questa tragedia Sofocle ci regala una mistica difficile, una tragedia che non è tragedia e che chiude un cerchio con la saggezza di chi ha visto la fine e non ne ha paura.