Saggistica Arte e Spettacolo Brutti, fessi e cattivi
 

Brutti, fessi e cattivi Brutti, fessi e cattivi

Brutti, fessi e cattivi

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Strutturato in ordine alfabetico e ricco di sostantivi e aggettivi che in comune hanno lo scopo di designare qualità, comportamenti, atteggiamenti, difetti, tratti fisici e morali negativi di una persona, condizioni sociali o professioni degradanti, "Brutti, fessi e cattivi" rivela come la lingua italiana presenti una inaspettata varietà sia di termini sia di registri in tale ambito. In questo dizionario troviamo parole triviali insieme a parole colte, voci d'autore insieme a voci dell'uso quotidiano, voci dotte e voci di uso basso, termini gergali e regionali, epiteti coloriti o scherzosi, a dimostrazione di una ricchezza linguistica straordinaria che meritava di venire alla luce nella sua completezza.



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Brutti, fessi e cattivi 2008-08-15 04:51:05 galloway
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galloway Opinione inserita da galloway    15 Agosto, 2008
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L'arte del "vaffa"

Questo è un libro da non perdere assolutamente. Non è soltanto un libro di linguistica, è anche un testo di antropologia sociale, un manuale per la sopravvivenza, una guida al vivere, insomma un riferimento lessicale da tenere sulla scrivania, sul comodino, in tasca sempre pronto alla consultazione ed all'uso. Tante sono, infatti, le occasioni in cui ne possiamo avere bisogno per difenderci o attaccare negli assalti e nelle scorribande in territori abitualmente frequentati al giorno d'oggi. E questi ultimi sono tanti: la politica, il giornalismo, la televisione, lo sport, la religione, la cultura. E allora centinaia sono i lemmi, le parole, come migliaia sono le situazioni in cui gli stessi o le stesse si incontrano e ritrovano, si attraggono e si respingono, si accendono e si spengono. La condizione umana è una lotta continua, inarrestabile, inevitabile ed abbisogna di essere perennemente alimentata dalle parole che scorrono a fiumi dalla bocca degli uomini (e delle donne!) senza distinzione, appunto, di sesso, cultura, nazione, razza e religione.


Le voci del dizionario sono organizzate in ordine alfabetico, da abbaiatore a zuzzerellone. Ognuna è stata definita nel suo preciso significato, fornendo anche eventuali sinonimi e rimandi a voci affini. Si è inoltre fornita l'etimologia là dove si è ritenuto necessario: per spiegare l'origine formale della parole (quando non ovvia), oppure per chiarire il passaggio dal significato proprio a quello ingiurioso o nei non pochi casi in cui la parola presentava una storia curiosa. Talvolta la voce è strutturata in più paragrafi (segnalati dalla numerazione progressiva) o in sottoparagrafi (indicati da un trattino): nel caso in cui essa assume più significati, talvolta piuttosto differenziati.



Ogni accezione è seguita da esempi d'uso (per un totale di circa 8000), che ne documentano l'attestazione, il contesto di utilizzo e il registro. Le attestazioni provengono da fonti diverse: per lo più si tratta di testi letterari che coprono tutto l'arco cronologico della letteratura italiana (e l'ampio numero dei titoli citati è documentato nella bibliografia finale), ma sono presenti anche esempi tratti dal linguaggio giornalistico, da testi musicali e da Internet (in particolare dal linguaggio dei forum e dei blog, che si caratterizza per una spiccata informalità e per un'accentuato uso del linguaggio basso e del vituperio senza freni).



La forte presenza di esempi letterari è la dimostrazione di come l'insulto e la maldicenza siano atti linguistici appartenenti ad una tradizione forte e consolidata nella lingua e non soltanto espressioni della trivialità del parlato. Molti scrittori hanno utilizzato questo materiale linguistico per farlo diventare alta espressione artistica. In ambito europeo sono da citare almeno due virtuosi dell'ingiuria come Rabelais e Shakespeare. Ci sono molti luoghi del Gargantua e Pantagruele in cui fioccano insulti a raffica, secondo la consueta frenesia elencatoria dell'autore, ma almeno due sono da ricordare per la loro alta efficacia espressiva e per il gran numero di termini utilizzati.



Nel capitolo XXV del Gargantua c'è il famoso incontro tra i focacceri di Lerné e gli abitanti del paese di Gargantua. Questi ultimi chiedono di poter acquistare un po' dei loro gustosi prodotti, ma i focacceri rispondono con una sequela di insulti da antologia, "chiamandoli cafoni, senza-denti, pellirossa, ubriaconi, cagaletto, furfanti, lime sorde, fannulloni, buzzoni, mirabolani, buonianiente, zoticoni, rompipalle, scrocconi, accattabrighe, mugherini, buffoni, tangheri, bighelloni, allocchi, balordi, merendoni, gabbadei, sbruffoni, guardiani di stronzi, pastori di merda, e altri epiteti diffamatori."



Questo elenco che offre un'ampia casistica verbale allusiva a buona parte degli ambiti privilegiati dell'offesa fa il paio con l'iscrizione posta sulla porta principale dell'Abbazia di Thélème, il luogo dell'utopia fatto costruire da Gargantua, da cui erano escluse tutte le categorie umane che potessero contaminare quell'ambiente dedicato alla felicità, alla giustizia e alla serenità del vivere: "Qui non entrare, ipocriti e bigotti, / vecchie bertucce, tangheri, marpioni, / bachechi, collitorti, mangiamoccoli, / qui non entrate puttanieri in zoccoli, / straccioni incappucciati, schiodacristi, / bindoli, gabbasanti, spigolistri, / picchiapetti, scrocconi, / cattabrighe e stronfioni. / [...] / Qui non entrate, famelici curiali, / che i buoni parrocchiani / mettete alla catena come cani: / dottorelli, scrivani, / togati faccendieri, / succhiasangue del popolo, officiali, / [...] / pitocchi e avari, / usurai, leccapiatti, mangiagatti, / taccagni, lesinai..."



Un'altra sequela di ingiurie d'autore è quella rivolta, nel Re Lear, dal conte di Kent al siniscalco Oswald: "Ti conosco per un furfante, una canaglia, un leccapiatti; per un volgare, orgoglioso, stupido, miserabile ribaldo, con tre mute di panni, cento sterline e sudicissime calze di lana; per uno dal fegato sbiancato, e che ricorre al tribunale per un nonnulla, evitando così di battersi, per un figlio di malafemmina, che passa le ore davanti allo specchio a rimirar se stesso, servile e ruffianesco; ti conosco per un manigoldo schizzinoso, per l'erede d'un baule di stracci, per uno che al fin d'aversi il benservito non esiterebbe a farsi ruffiano, e che non è altro se non un composto d'una canaglia, d'uno straccione, d'un vigliacco, d'un tenutario di lupanare e d'un figlio ed erede d'una cagna bastarda."

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