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Blu. Storia di un colore Blu. Storia di un colore

Blu. Storia di un colore

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Ormai è il colore preferito dalla maggior parte delle persone, eppure la storia ci insegna che non è sempre stato così: presso gli antichi Greci e Romani, per esempio, il blu aveva una connotazione fortemente negativa, tanto da essere associato agli spregevoli Barbari. A documentare la lenta ma progressiva inversione di tendenza che lo riguarda è un grande esperto in materia come Michel Pastoureau, che ripercorre le principali tappe di questo significativo rovesciamento e dà vita a un articolato excursus storico che mette in luce l’uso quotidiano, la «rivalità» con gli altri colori, il valore simbolico, il ruolo economico, artistico e letterario che il blu ha avuto dal Neolitico sino ai giorni nostri. Considerato un fatto sociale in piena regola, il blu e le sue alterne fortune rappresentano pertanto il ritratto in continuo divenire di una società, quella umana, costantemente impegnata a fissare e ridefinire la propria scala di valori.



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Blu. Storia di un colore 2019-07-14 09:29:15 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    14 Luglio, 2019
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Il colore più democratico di tutti

Amanti della saggistica all’appello!
Vi invito a leggere e a conoscere il più grande esperto di storia del colore, il francese Michel Pastoureau. Potete cominciare sia da “Il piccolo libro dei colori” (Ponte alle Grazie, 2006) o dalla storia di un singolo colore come questo che mi accingo a recensire e continuare con gli altri.
C’è un libro molto interessante che vorrei consigliarvi, vincitore anche del Premio letterario Prix Medicis : “I colori dei nostri ricordi. Diario cromatico lungo più di mezzo secolo” (Ponte alle Grazie, 2011) molto più denso e di ampio respiro, in cui la rigorosità della ricerca storica nei secoli passati si intreccia con la necessità di riconoscere l’importanza del colore nella società in cui viviamo, in quanto elemento vivo e una chiave di lettura della realtà in cui siamo immersi.

Torniamo all’interessante saggio sul blu che ho letto a sorsi in pochi giorni, che mi ha entusiasmata ed arricchita.
Si tratta di un’opera rigorosa, ricca di note -la sola bibliografia occupa il 20% del libro (la precisione è matematica perché l’ho letto in versione digitale) e di rimandi ad opere scientifiche e puntuali, niente di esoterico o psicologico. Si parte dalla Preistoria e passando attraverso i vari secoli si giunge ai giorni nostri, al trionfo del jeans, che

“All’origine è un indumento maschile da lavoro, divenuto a poco a poco un capo per il tempo libero e il cui uso si è esteso alle donne e poi all’insieme delle classi e categorie sociali. In nessun momento, nemmeno nei decenni più recenti, la gioventù ne ha detenuto il monopolio. Quando si esaminano le cose con attenzione, cioè quando ci si prende la briga di considerare l’uso dei jeans nell’America del nord e in Europa fra la fine del XIX secolo e la fine del XX, ci si accorge che i jeans sono un indumento usuale, indossato da gente comune, che non cercava affatto di valorizzarsi, di ribellarsi né di trasgredire, ma aveva semplicemente bisogno di un capo robusto, sobrio e confortevole, che si potesse quasi dimenticare di avere addosso. Al massimo, si potrebbe dire che è un indumento protestante–anche se il suo creatore è ebreo–tanto corrisponde all’ideale di abbigliamento diffuso dai valori protestanti citati in precedenza: semplicità delle forme, austerità dei colori, uniformità”.

Curioso notare che nella tavolozza, alquanto misera in verità, della preistoria e dell’antichità, il blu nelle cosiddette società occidentali fosse praticamente assente. Sia poiché aveva un potere simbolico meno forte rispetto al triade bianco/rosso/nero sia perché produrlo non era tanto semplice, in quanto il principio colorante, l’indigotina, presente nel guado usato dai Germani e dai Celti o nelle foglie più alte dell’indigofera usata dalle popolazioni del Medio Oriente, richiedeva un lungo processo di lavorazione che comprendeva anche un momento alquanto delicato di fissaggio sulle stoffe e sui tessuti.
Per gli antichi il blu non era presente nell’arcobaleno e il loro lessico era troppo impreciso e vago per indicarlo.
Interessante scoprire le tecniche con cui si ottenevano i colori naturali, prima dell’avvento della sintesi chimica, i termini che venivano usati per indicare le varie sfumature di blu, di quanto la traduzione e l’interpretazione dei testi antichi, tra cui la Bibbia, ha reso praticamente impossibile individuare il colore che io ho definito qui, alla luce della lettura del saggio, il colore più democratico di tutti, quello che nei secoli dell’età moderna e contemporanea ha messo d’accordo tutti, fino a diventare il colore preferito per eccellenza. È un colore che evoca calma, non scandalo. È quasi neutro.
Molto intrigante scoprire come è nata la parola “pastello”, le parole “jeans, denim”, come sono nate la coccarda e la bandiera francese cui l’autore dedica tre paragrafi, omaggiando la sua patria, in cui il colore blu ha avuto forse più che negli altri Stati europei, una pregnanza maggiore, un simbolismo ben definito.
Pastoureau affronta secolo per secolo, senza mai appesantire stile, contenuto e piacevolezza, la storia del blu in Occidente nelle varie vicende delle corporazioni e dei mestieri, nel simbolismo cattolico e protestante, nella storia della pittura (scoprirete un saggista amante di’ Vermeer) .

Ho voluto proprio cominciare la lettura dei colori dal blu, perché, lo ammetto, è anche il mio preferito.

“La musica della parola è dolce, gradevole, liquida; il suo campo semantico evoca il cielo, il mare, il riposo, l’amore, il viaggio, le vacanze, l’infinito. Succede lo stesso in parecchie altre lingue: blue, bleu, blau sono parole rassicuranti e poetiche, che associano sempre il colore, il ricordo, il desiderio e il sogno. Esse sono presenti in un gran numero di titoli di libri ai quali bastano a conferire un fascino particolare, che nessun altro termine di colore potrebbe offrire”.

Un saggio breve e interessante.


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“Il piccolo libro dei colori” di Pastoureau
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