Alcesti Alcesti

Alcesti

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La presentazione e le recensioni di Alcesti, opera di Euripide edita da BUR Rizzoli. Rappresentata nel 438 a.C., Alcesti è la più antica fra le tragedie di Euripide a noi pervenute. Ispirata a un mito di cui si narra anche nel Simposio di Platone, essa mette in scena una storia d'amore, che ha per protagonisti il re di Tessaglia Admeto e la sua sposa Alcesti. Admeto ottiene da Apollo la possibilità di sfuggire alla morte, a patto che un altro si sacrifichi in sua vece. E a dare la vita per lui non sono i vecchi genitori, né gli amici fidati, ma la giovane moglie. La tragedia, poi conclusa dall'intervento benefico di Eracle che strappa la donna alle divinità infernali, dà la misura del talento creativo di Euripide, capace di penetrare zone inesplorate dell'emotività umana.



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Alcesti 2013-02-25 20:00:15 Lady Libro
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Lady Libro Opinione inserita da Lady Libro    25 Febbraio, 2013
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Eros e Thanatos

Può una bellezza così immensa essere racchiusa in un libro così piccolo? Possono la dolcezza, lo struggimento, la rabbia, la tristezza, la felicità e l’indignazione danzare a braccetto e in armonia in una tragedia di poche pagine, talmente arcaica da sembrare lontanissima dal nostro sentire comune? Per me sì.
L’ “Alcesti” è una delle opere più belle che io abbia mai letto; l’ho amato a tal punto da averlo divorato in poche ore, e di certo non solo per la sua brevità.
Ho perfino pianto, mi ha veramente commosso, lasciandomi un dolce peso sul cuore e che ancora adesso me lo schiaccia nella sua tenera morsa, per cui faccio non poca fatica ad esprimere tutto quello che ho provato e che il libro mi ha lasciato.
Innanzitutto si nota subito che il vero protagonista della tragedia è il sentimento. I sentimenti, per essere precisi. Perché Alcesti, sebbene dia il titolo all’opera, scompare dopo le prime pagine. Muore dopo aver dato un lungo e struggente addio ai figli e all’amato marito Admeto per cui ha accettato di morire, sostituendolo nel suo triste fato. Sarà solo la sua memoria a rivivere durante la narrazione. Alcesti verrà ricordata da tutti (servi, popolo, famigliari…) per la sua immensa bontà d’animo, per essere stata un’ottima e virtuosa moglie, madre, padrona e regina, ma soprattutto per il suo estremo sacrificio. Il titolo, quindi, esprime una rievocazione spirituale ormai passata, più che indicare un personaggio vero e proprio.
Ma è sicuramente Admeto la figura più enigmatica, multiforme e tormentata di tutti. Colui che Thanatos, la morte, voleva portare nell’Ade e che ottenne da Apollo la possibilità di salvarsi da tale sorte, a patto che qualcuno prendesse il suo posto. Né gli amici, né gli anziani genitori avevano intenzione di farlo. Solo l’adorata moglie.
Admeto è il dolore che piange senza fine la donna morta che tanto amava e che a sua volta ha dato prova di grande amore. E’la disperazione per un destino così crudele e irreversibile, è la rabbia e l’odio nei confronti del padre e della madre che, in tutto il loro egoismo, hanno mostrato un forte attaccamento alla vita, seppur ormai anziani, permettendo che morisse una giovane fanciulla nel fiore dell’età. Non una semplice donna, ma la sposa della carne della loro carne.
Anche Admeto, però, sembra che pecchi di egoismo: può indubbiamente sembrare ignobile che egli accetti senza tanti complimenti che qualcuno lo sostituisca nell’oscuro abbraccio di Thanatos ma, nell’ottica ellenica, è ancora più ignobile rifiutare un dono degli dei.
Inoltre, sebbene si evinca chiaramente la forte intensità del rapporto fra Alcesti e Admeto (nonché cardine stesso dell’opera e una delle sue componenti più belle), egli stesso, durante il triste e dolcissimo addio alla moglie, dice che non sposerà mai un’ altra donna perché, testuali parole, “nessuna è altrettanto nobile e bella come lei”.
In parole povere: “Ti ho sposato perché sei ricca e gnocca”. Non posso fare a meno di rattristarmi a questo pensiero, ma mi consolo pensando che ciò è solo una microscopica macchiolina se confrontata all’immacolata e immensa bellezza della tragedia.
Ma quello che più ho amato in assoluto nell’ “Alcesti” è senza ombra di dubbio Eracle. Il grande, possente e invincibile Eracle che qui mostra tutta la sua umanità e grandezza d’animo. Di passaggio nel regno di Admeto, mentre sta ancora compiendo le sue celebri fatiche, il semidio sarà ospitato da quest’ultimo nella sua reggia, in tutta la sua gentilezza, nonostante il grave lutto che l’ha appena colpito. Commosso da questo gesto e vergognandosi di essersi ubriacato in questo delicato momento, soprattutto dopo aver scoperto che la defunta è nientemeno che la moglie del suo ospite (e non una lontana e sconosciuta parente come Admeto gli aveva detto), il buon Eracle sconfiggerà Thanatos, riportando Alcesti al suo adorato sposo e creando così un lieto fine.
Potrà sembrare assurdo, ma è stato proprio il gesto di Eracle a commuovermi: per un torto pressoché piccolo, almeno secondo la nostra ottica occidentale e moderna, egli per rimediare fa un favore così grande, se non addirittura impossibile.
Non so, questa azione mi ha toccato profondamente. Forse perché non succedono più fatti del genere e sarebbe bello che accadessero ancora.
Oltre ad essere l’unico elemento comico della vicenda, questo semidio mi ha suscitato una forte tenerezza, come se mi trovassi davanti un gigante apparentemente cattivo che piange come un bambino. Insomma, qui siamo lontani dalle sue imprese che lo disegnano come un uomo distruttivo e pericoloso, preferendo evidenziarne la sua sensibilità. E io ho a dir poco adorato questa scelta.
Concludo chiedendo venia per l’eccessiva lunghezza della recensione e per le varie ripetizioni presenti, ma quando un libro mi è piaciuto così tanto non riesco a trattenermi e ad articolare qualcosa di sensato e ordinato. Devo buttare tutto fuori così come viene.

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