Alberto Moravia e La ciociara
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Personaggi e struttura del romanzo
Questo commento fa parte di una rassegna che organizza gli interventi dei relatori del convegno per argomenti. Nella prima parte, disponibile nella sezione “recensioni” di www.brunoelpis.it, sono stati esaminati gli “elementi autobiografici del romanzo sulla guerra".
I PERSONAGGI DE “LA CIOCIARA”
Possiamo delineare i tre personaggi principali del romanzo grazie ad altrettanti interventi del convegno.
La protagonista Cesira viene fotografata da Andrea Gareffi ne “Il sogno finale della Ciociara”.
Per riconoscimento attribuito anche dall’opinione di altri intervenuti, “Cesira… rispecchia il suo autore”, pur nella peculiarità di personaggio popolare che affida alla propria semplicità e all’istinto alcune riflessioni icastiche ed elementari (“la guerra degrada gli uomini in maniera definitiva”) lungo la triste parabola di vita che le farà elaborare una consapevolezza (“una ladra e una prostituta”) che nel sogno trova un compimento tronco (“un sogno… senza lambiccamenti intellettualistici né presunzione psicoanalitica”) per via della “inespugnabilità dell’inconscio”.
Un sogno del quale risulta impossibile l’interpretazione: “Non avrei saputo mai perché la vita è preferibile alla morte”.
Mark Epstein delinea la figura di “Michele, tra critica, speranza e martirio”: “Michele è caratterizzato da isolamento, diversità, negazione, inesperienza e verginità/purezza (in questo si pone come figura parallela a Rosetta)”.
Il personaggio di Michele incarna l’“intellettuale come chierico”, nella “inazione”, nel “martirio”, nella difficile interpretazione della “componente resistenziale” implicita.
Giulio Ferroni si occupa di “Rosetta e l’impurità del sesso”. La figlia di Cesira mantiene per gran parte dell’opera il ruolo di propaggine della madre (“… sentendo la sua Rosetta come una parte di sé”), è una “figura angelica… asessuata” sino al “celebre episodio dello stupro”, che fa “entrare bruscamente il sesso nel romanzo” e ne fa “esplodere l’ossessione”. In una “dimensione sacrificale” ove domina il “singolare paragone tra il pube e la testina di un capretto” e in un processo di maturazione violenta e dolorosa che riecheggia il “pathos-mathos” dell’Agamennone di Eschilo.
LA STRUTTURA DEL ROMANZO
Alexander von Keyserlingk indaga su “L’ideologia nel romanzo”, intendendo per tale “l’ossatura intorno alla quale prende forma la carne della narrazione”, necessaria al romanzo laddove “Il racconto… non ha bisogno di un’ideologia”. L’ideologia, tipica di molte opere di Moravia (“il fascismo ne Il conformista, del 1951, e il comunismo ne I due amici, del 1952”), ne “La ciociara” è ravvisabile nei riferimenti a “fascismo, antifascismo e resistenza”. Con una complicazione strutturale, in quanto la declinazione dell’ideologia deve affrontare la dura prova di “mettere Cesira in contatto reale… con il mondo rappresentato da Michele”.
Carlo Mazzoni affronta il rapporto tra “L’invenzione dei personaggi, l’esistenza delle persone. La contraddizione Moravia”, a partire dalla constatazione del lasso temporale intercorso tra genesi e pubblicazione (“Iniziato a scriverlo già nel ’46… darlo alle stampe nel ’57… il bisogno di un debito distacco emotivo dagli avvenimenti…”). In tale periodo, ovviamente, il tempo non scorre neutro (“Il miracolo italiano deve averlo infastidito…”) ed è adulterato dal mito della “falsa liberazione data del capitale”. Anche Mazzoni esplora l’identità contradditoria (“Mettersi sullo stesso piano del suo personaggio, della sua invenzione: ecco cosa a Moravia non riesce troppo bene, perché la sua persona è preponderante”) tra Cesira e Moravia (“Si corre questo rischio quando si prende la decisione di narrare in prima persona”) e quella dialettica tra Michele e lo scrittore (“Michele. L’idealista. L’antifascista… Come si fa a non considerarlo l’alter ego di Moravia?”).
Simone Casini riflette su “Le conclusioni della Ciociara. A proposito di un epilogo inedito”, asserendo che “la conclusione di un romanzo per Moravia non è mai indolore, perché non è mai prestabilita. Essa è anzi il momento di verità dei personaggi, la verifica della loro coerenza e quindi della loro autonoma vitalità”. E, come dimostra “Il conformista”, “al significato ultimo di un romanzo Moravia è disposto a sacrificare la sua verosimiglianza”.
Ecco che allora “il capitolo ritrovato della Conclusione… documentando l’alternativa di un esito profondamente diverso apre un nuovo spiraglio sulla riflessione di Moravia”, per affermare che “la vita… sembra riprendere come prima, ma niente è più come prima”.
2 – continua
Bruno Elpis
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