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L'antieroe
E' uno dei romanzi più dolci e malinconici di King, caratterizzato dall'uso del flash-back. Blaze il protagonista è un truffatore, un sequestratore di bambini, viola le leggi e le convenzioni stabilite, ha tutte le caritteristiche per essere l'antieroe. Nonostante tutto questo però, non si può fare a meno di provare per lui affetto e simpatia e sperare in un finale non troppo amaro. Buona lettura :)
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Voli pindarici
La forza del libro sta nella narrazione, si parla di camorra e di rapporti umani con una leggerezza ed un humor irresistibili. Si finisce per appassionarsi alle vicende del protagonista (Vincenzo Malinconico...il nome è già tutto un programma), la cui umiltà ne giustifica i continui errori. Interessanti sono anche i "voli pindarici" del protagonista che spaziano fra i "massimi sistemi" e le banalità della vita quotidiana.
Uniche pecche del libro un bestemmia inserita a pag.249 e un'abbreviazione linguistica (per es.) ripetuta più volte nel testo. Buona lettura:)
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felicità
Questo è un libro che rende felici, la scrittura è raffinata, lo stile intenso e particolare. Protagoniste del romanzo sono due donne, Paloma un'adolescente complessa e complessata ed una portinaia che sconvolge tutti i luoghi comuni a cui siamo abituati sull'argomento. Cosa hanno in comune questi due personaggi apparentemente agli antipodi? Beh, sono personaggi ''nascosti'', che al di là dell'esistenza ''ufficiale'', mantengono una vita segreta ed intima. L'occasione per conoscersi sarà rappresentata dall'arrivo del signor Ozu, un ricco giapponese che saprà smascherare il segreto ben custodito di Renée e riuscirà ad instaurare un rapporto fatto di sguardi, silenzi, parole e lacrime con la giovane Paloma. Buona lettura:)
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Per non dimenticare...
Per decenni l'autore ha preferito mantenere il silenzio, ma il riaffiorare di simboli, parole ed idee che avevano generato il mostro del periodo più buio della nostra storia, ha fatto sì che dal 1992 abbia incominciato a parlare, e quei racconti sono all'origine di questo libro. Questa testimonianza è l'antidoto a ogni follia negazionista è la forma più nobile di omaggio alle vittime di ieri: la memoria. Un grazie a Shlomo Venezia, che con la sua vicenda umana ci aiuta a non dimenticare. Buona lettura:)
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Onirico
La storia è surreale: passa per i pensieri onirici di Ignazio Rando, dell’ambizioso e subdolo collega Gargioni e del Regio Conservatore, preoccupato solo di mantenere, a scapito di tutto e di tutti, i privilegi acquisiti. Un romanzo che si fonda sui pensieri surreali e sui sogni, più che sulle azioni del protagonista. Quando realtà e sogni si scontrano il finale non può che essere tragico. Buona lettura:)
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Giallo dell'anima
E un ottimo romanzo di esordio, la scrittura è asciutta e priva di fronzoli. Forte è il senso di solitudine che attanaglia i personaggi, in particolare Sergio, che scava dentro di se per far riaffiorare i ricordi...ricordi senza i quali non riesce ad andare avanti. La chiusa è un vero e proprio colpo di scena, il perchè dovete scoprirlo leggendo il libro....buona lettura:)
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Il vero "Trauma"
Il vero "Trauma" sta nel leggere il libro:)
Nel romanzo sono presenti tutti i temi cari a Patrick McGrath: uno psichiatra, una madre fagocitante, rapporti familiari sgretolati. La storia però, a mio avviso non decolla, ed il finale è degno dei più banali romanzi d'appendice. Questa volta ometto il mio solito "buona lettura":)
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Fiera dell'ovvio
Il romanzo è il connubio fra il genere ottocentesco e il noir contemporaneo. Cerami mescola sapientemente, piacere e dolore, tormento ed estasi. Le premesse erano ottime, ma nel complesso il libro mi ha delusa, senza contare nel finale sembra di assistere alla fiera dell'ovvio e della banilità.
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Letteratura
Lo stile narrativo è privo di fronzoli e ci regala un sofferto spaccato di storia, quella dei russi messi in fuga dalla Rivoluzione Bolscevica. Protagonista è la vecchia nutrice Tat'jana Ivanovna e l'amore incondizionato che nutre per la famiglia Karin. Un piccolo capolavoro letterario da leggere assaporandone le pagine. Buona lettura:)
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Esperimento
Protagonista e voce narrante del libro è un professore in pensione che viene contattato da una sua ex allieva arrestata per "partecipazione a banda armata". L'io narrante spesso viene sostituito da Starnone che si domanda continuamente come sviluppare l'interazione di questi personaggi e come tracciarne la personalità. Dal punto di vista stilistico l'esperimento è interessante, di contro però il libro ne esce appesantito e a tratti farraginoso.
Buona lettura:)
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Noir atipico
Definirei questo libro un noir atipico,
che affronta sia il tema sempre attuale del bullismo, sia la critica quasi metafisica dello spirito di prevaricazione che è in ognuno di noi, anche nell’uomo all’apparenza più inoffensivo. Geniali e pieni di umorismo sofisticato sono i sogni del protagonista, nei quali dialoga con Dylan Dog e il suo assistente Groucho. Buona lettura:)
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Moderno e classico
In questo romanzo non ci sono effetti speciali, non c'è voglia di stupire, o di scioccare con scene esasperate. C'è tensione narrativa "classica", interesse umano per i personaggi e realismo dei caratteri e degli scenari sociali. E' un libro moderno e classico al tempo stesso. Buona lettura:)
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Slum e mondo dorato
Romanzo storico, dove emergono i contrasti tra gli slum, la povertà diffusa e il mondo dorato di chi poteva permettersi le raffinate edizioni stampate dalla protagonista. La rilegatrice dei libri proibiti ci offre, con Dora Damage, un’eroina moderna che non esita a infrangere le regole e i tabù della Londra vittoriana del XIX secolo. Buona lettura:)
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"Città delle donne morte"
"La cosa che hanno in comune queste donne è la povertà." Ad affermarlo sono gli autori dell'inchiesta sulla città messicana di Ciudad Juàrez, ostaggio di assassini senza volto che hanno violentato e brutalmente ucciso centinaia di donne a partire dal 1993. E' il reportage giornalistico più completo e attendibile sull'intricato mistero di Ciudad Juárez, Fernandez e Rampal conducono la loro inchiesta seguendo piste diverse, dalle meno verosimili a quelle più scientifiche, mettendo a repentaglio la loro stessa vita pur di avvicinarsi alla verità. Buona lettura:)
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Oriente e Occidente
Il libro si lascia leggere e tratta con una certa ironia le differenze fra Oriente e Occidente. Le avventure di Tami, che finalmente può prendere una caffè da sola, portare i capelli sciolti senza doverli nascondere sotto l'hijab, vi conquisteranno. Unica pecca, una certa superficilità con la quale sono stati affrontati i temi delle diversità. Buona lettura:)
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Racconti deliziosi
Sono otto racconti, ognuno con una protagonista femminile. Schmitt ha il dono di conoscere a fondo la psicologia delle donne e immedesimarsi in ciascuna delle sue creature.
Stile semplice e accattivante, storie divertenti e commoventi.
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Solito grande Ammaniti
Ti prende per le orecchie e ti trascina nel gorgo paradossale, tremendo, grottesco, modernamente gotico degli Zena e del loro mondo periferico e cattivo. Il linguaggio ruvido e lo svolgimento non lineare trama, tipici di Ammaniti, riescono come sempre a sottolineare i caratteri dei protagonisti e della società dove (soprav)vivono
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Un libro da non perdere
Tra lo spassoso e l’educativo, aderente alla formula del saggio romanzato, Non temerai alcun male colora di ironia una malattia così diffusa da sembrare naturale, l’artrosi. Ispirandosi alla sua lunga esperienza, (è professore associato di Reumatologia presso l’Università di Genova e direttore del Centro Reumatologico Bruzzone), Rovetta si addentra nei meandri del dolore artrosico raccontandoli con le parole, ora serissime ora bizzarre, dei Pazienti, rigorosamente con la p maiuscola. «Siamo così di razza. Mia madre e mia zia avevano la stessa stazza e sono morte a 88 e 92 anni. Ma io prima avevo la gambe benne dritte, e ora vede come sono diventate storte?». E ancora, la tentata comunicazione del dolore, il nemico invisibile, nei mille «Dottore, vede come mi fa male?». Fra lezioni, aneddoti, episodi di vita quotidiana, ricerche, sperimentazioni e cure più o meno ortodosse, i capitoli si susseguono come l’andirivieni dei Pazienti, e ogni volta il dottore ascolta, spiega, illustra, talvolta affiancato dagli studenti (se tutti i testi fossero così, che piacere sarebbe studiare!)(da IL Giornale domenica 08 luglio 2007)
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La solitudine dei numeri primi
Considerando la giovane età dell’autore e la sua opera prima pensavo non ne valesse la pena, poi grazie ad un articolo sulla Stampa ed al consiglio di un’amica l’ho affrontato divorandolo in quattro sere non consecutive.
Bellissimi i due primi capitoli che segnano la vita, come spesso succede anche nella realtà, dei due protagonisti. E poi via, via il dipanarsi della vita e delle vicissitudini dei personaggi fino ad arrivare ad un finale assolutamente non scontato, molto piacevole anche se non condivisibile, a causa di un speranza inconscia del lettore di vedere chiudere la storia in maniera edulcorata.
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e Roth (di Pastorale Americana)
E' bellissimo!
Un libro molto bello e ricco di significati importanti ... non solo per chi corre ...
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Tormento ed estasi
Libro scritto benissimo, con stile, grazia, si legge tutto d'un fiato anche se si parla spesso di disagio psichico, sofferenza, tradimenti. Infatti c'è sempre un buon livello d'ironia, c'è leggerezza nonostante tutto. Sicuramente la prova migliore della scrittrice trentenne nota per il suo programma "Trovati un bravo ragazzo" di Radio 24.
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uomini che odiano le donne
Un lungo romanzo attorno ad un giornalista svedese che scopre una serie tragica di orrori all'interno di una famiglia ricchissima. Personaggi molto interessanti e lettura , nonostante le dimensioni del libro molto scorrevole e piacevole.
Qualche pausa di stanca e situazione poco credibile.
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RITORNO ALL'INFERNO
RITORNO ALL’INFERNO
Finalmente la versione italiana di “Necropoli”, capolavoro di Boris Pahor
Un signore di mezza età che, in una domenica di luglio della metà degli anni ’60, viaggia a bordo della sua 600 sui tornanti di una strada nei Vosgi, incolonnato con una quantità di altre vetture di turisti. Non si può immaginare un incipit più quietamente piccolo-borghese per questo Necropoli, ma poche righe dopo quel signore, uno sloveno triestino minuto e dall’aria distinta di nome Boris Pahor, entra assieme a un gruppo di turisti più o meno consapevoli in quello che era stato il lager nazista di Natzweiler-Struthof. Tenendosi appartato dalla comitiva accompagnata dalla guida, il signore percorre da solo l’itinerario che conosce bene, scendendo dall’ingresso collocato in alto sul pendio, attraverso i terrazzamenti digradanti che conducono in basso, al margine inferiore del campo, dove oltre il filo spinato si vede un folto bosco. Qui, nel fondo, due baracche, una delle quali ospitava la prigione (la prigione? Cos’era allora il resto?), l’altra il forno nel quale gli scheletrici resti di quanti non ce l’avevano fatta trovavano alfine una pace di cenere.
Pahor ci fa da guida in questa geografia dell’orrore, a rievocare l’esplicita metafora che essa rappresenta, un’autentica rivisitazione in termini crudamente realistici della topografia dell’inferno dantesco nella quale i terrazzamenti hanno il posto dei gironi, i deportati quello dei dannati, i secondini quello dei demoni, il forno la collocazione di Lucifero, nelle cui fauci anziché i traditori dei benefattori vengono divorati i resti di ciò che erano state le povere carni martoriate e innocenti, divenute alfine le ossa umiliate, come le definisce ora una pietosa iscrizione.
Il libro che, con imperdonabile ritardo della nostra editoria, è stato pubblicato in versione italiana da un editore di valenza nazionale (Necropoli, Fazi editore, traduzione di Ezio Martin, revisione del testo di Valerio Aiolli e prefazione di Claudio Magris, pp. 280, 16 Euro) è stato pubblicato in sloveno nel 1967 e viene proposto al pubblico italiano dopo che le traduzioni in francese, inglese, tedesco, spagnolo, catalano, finlandese, serbo-croato e persino esperanto hanno fatto conoscere l’opera di Pahor ai lettori di mezzo mondo. Tale fama internazionale ha collocato l’autore nella dimensione europea che gli spetta per aver attraversato quasi per intero un secolo della storia di questo continente, facendosene testimone e interprete rigoroso ed attento, consapevolmente partecipe e politicamente sempre impegnato, ancorato ai valori di humanitas che stanno alla base del suo agire personale, sociale e letterario.
Necropoli non è, a differenza di altri libri sul medesimo tema, la cronaca dell’internamento in un lager del suo protagonista. Al contrario, si tratta di un libro sul ritorno, che affronta ex post il nodo esistenziale di quella inumana detenzione, a rievocare la miriade di fatti che ne costellano la scia, rivissuti da una memoria che non riesce a staccarsene, condannata come sembra alla pena accessoria del senso di colpa per essere sopravvissuto alla mattanza, oltre a quella di un perpetuo ritorno sul luogo dove s’era consumato l’abominevole delitto. Delitto tutto di altri, s’intende, perché lì dentro i detenuti erano gli Abele e le guardie i Caino.
La rievocazione che Pahor compie per i suoi lettori, per se stesso, avviene con l’intermittente presenza del gruppo di turisti dal quale egli cerca di stare appartato, a sottolineare la diversità, quasi un occulto vizio originario, tra chi è stato in quei luoghi in compagnia della morte onnipresente e incombente e gli altri, quelli che vivono la loro normalità senza l’insostenibile soma dei ricordi acuminati del reduce.
Chi legge il libro può valersi della memoria lucida e inflessibile di chi lo ha scritto: un’evocazione senza compiacimento letterario alcuno, un incalzare di immagini che hanno la tremenda forza che deriva loro dal bianco/nero col quale sono rappresentate, come sequenze di un agghiacciante documentario che mette in scena senza commento sonoro e senza pause il popolo dei dannati, il freddo e la pioggia e la fame e le teste rasate di una moltitudine priva di individualità, di forze, di calore, di passato e di futuro, apparentemente anche di dignità.
Come ci ha detto Pahor in un’intervista del 2006, tale descrizione degli eventi e delle figure che popolano quello spazio di morte e di vergogna, con le sue caratteristiche di meticolosità e di assenza di ogni troppo facile indulgere al patetico, costituisce il tentativo di riprodurre nel testo quello che fu l’atteggiamento mentale del protagonista per resistere all’inaudita sopraffazione che gli era imposta. Occuparsi soltanto del contingente, della crosta di pane che in quel momento poteva nutrirlo, dello scalino che doveva badare a salire senza scivolare, del calore che doveva trattenere in fila nudo fuori della baracca delle docce, delle bende di carta che costituivano pressoché l’unico strumento del suo lavoro di infermiere. In quelle così estreme condizioni, il protagonista si era vietato di pensare a passato e futuro, privandosi così del conforto di ricordi e speranze, per dedicarsi soltanto al suo sopravvivere al presente.
È così che questo minuto signore transita, nella detenzione, dalla Resistenza nella quale si era impegnato nella lotta antifascista ad una resistenza con la minuscola, un non meno glorioso percorso individuale di intransigente opposizione, un quotidiano non arrendersi ubbidendo soltanto all’imperativo di sopravvivere rimanendo se stesso, senza nessun compromesso con la propria coscienza.
Anche se sottaciuta nelle pagine del suo libro più importante, un’indefettibile forza di volontà ha consentito a Pahor di uscire vivo da quell’inferno e, quel che più conta, di uscirne mondo dell’abiezione che aveva attraversato. Tale straordinaria determinazione a non soccombere, la sua capacità di resistenza, riguarderebbe soltanto lui stesso se non fosse stata confortata anche da un rigoroso senso morale che viene riportato, senza mai essere esplicitamente citato, nelle pagine di questo grande libro, che consente al lettore, chiusa l’ultima pagina, di rispondere affermativamente alla domanda incapsulata nel titolo di “Se questo è un uomo”, l’altro grande libro su analoga materia scritto da Primo Levi.
Sì, questo è un uomo! Il minuto signore dall’aria distinta che ripercorre le scale del suo inferno assurto a monumento nazionale di una tragedia che supera ogni confine si erge come un gigante a ricordare che anche nelle più estreme condizioni, al di sotto della soglia minima di dignità umana, quando tutto sembra perduto sono ancora percorribili le vie della pietà e della moralità. Quanto insomma ci rende uomini.
Nel lager Pahor non era capitato per errore né, com’è avvenuto per altri milioni di persone, perché fosse ebreo. La storia del suo antifascismo è tutt’uno con la storia della sua vita, dal momento che ancora bambino, all’indomani della Grande guerra, aveva visto prevalere le ragioni dell’odio e dell’intolleranza xenofoba che furono alla base dell’agire delle squadracce che a pochi metri da dove abitava, con l’incendio del Narodni Dom del quale il piccolo Pahor fu testimone diretto, inaugurarono una lunga e triste stagione di prevaricazioni e violenze. La negazione della lingua materna, quella della stessa sua identità di sloveno furono levatrici della vocazione antifascista che lo condusse al lager.
Negli anni che seguirono, sotto più felpate e mimetiche apparenze, l’indifferenza con la quale la cultura di lingua italiana a Trieste guardava a quanto avveniva in ambito sloveno perpetuò quella separatezza che le ha impedito ad esempio di riconoscere per decenni in Necropoli il più importante libro scritto a Trieste nella seconda metà del Novecento.
Conforta il fatto che da qualche tempo qualcosa si stia muovendo nella nostra società in direzione di un reciproco riconoscimento delle diverse anime e delle diverse nazionalità che coesistono da secoli su questo nostro territorio. Dall’ambito culturale e accademico di più alto livello, da Claudio Magris a Elvio Guagnini, a quello giornalistico dove molto ha contato l’opera del responsabile delle pagine culturali de Il Piccolo. Alessandro Mezzena Lona (ricordato dall’editore come ispiratore della felice scelta operata dalla casa editrice con la pubblicazione di Necropoli) alla bella recensione di Paolo Rumiz su Repubblica, la cultura triestina di lingua italiana ha rotto da tempo, opportunamente, con una visione angustamente relegata alla contemplazione di se stessa.
Tra le tante figure di deportati che compaiono in Necropoli, quella di un altro triestino di lingua italiana, Gabriele (si tratta, anche se il testo non lo dice, dell’eroe della Resistenza Foschiatti, che rappresentò il Partito d’Azione in seno al CLN), viene rievocata da Pahor per riesumare una conversazione nella quale l’italiano “faceva progetti democratici e parlava di future relazioni di buon vicinato nei nostri territori costieri”. Pahor ascoltava scettico e perplesso, incapace di intravedere un futuro quale quello che gli veniva prospettato dalle parole di Gabriele. “A lui però non feci cenno delle mie perplessità: ero comunque contento di aver ascoltato quelle sue parole, ma le misi da una parte, come per conservarle in vista di un tempo migliore, il tempo della vita, che fluiva lontano anni luce da questi ripiani”. Forse che adesso, col confine appena cancellato, in una diversa visione della vita comune in questa città straziata e pure bellissima è finalmente arrivato anche per Pahor, come per tutti noi, il momento di tirar fuori quelle parole di Gabriele e di ringraziare chi le aveva profeticamente pronunciate nella miseria di un campo di concentramento. E anche il minuto signore dall’aria distinta che le ha conservate per il nostro presente.
Walter Chiereghin
Pubblicata su Konrad , n. 134
Marzo 2008
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Cavalcare il tempo
“C’è un sogno che ricorre nelle notti piu’dure.C’è Stella che riavvolge l’alba,come fosse un tappeto,e la cancella ai miei occhi con il suo sorriso gentile. E c’è la voce di mio padre che mi dice di avere fiducia e di aspettarlo....
La storia di un uomo,che riesce a vivere la fine di ogni notte ,come un momento di estrema privatezza e profondità affinché ogni suo pensiero, possa acquisire morbida consapevolezza ed interiorizzazione, permeandosi di silenziosità e luci ancora soffuse, nell’incanto di un giorno che nasce. Un uomo,che per lavoro,legge ogni giorno,le storie di vite qualunque,storie di sogni,storie di illusioni,storie di piccoli eroi della vita quotidiana,storie che,solo per il fatto di essere state fermate nella scrittura,possono gridare prepotentemente la loro esistenza. E tra queste,Giovanni Astengo, il protagonista del libro, viene colpito dal diario della mamma di Andrea,un dolcissimo e amabile ragazzo Down,che anela ad una libertà e ad una autonomia che la sua situazione non gli consente. Perché Giovanni Astengo,è anche il padre di Stella,anch’essa nata con la Sindrome di Down,una fragile e sensibile creatura che incarna “ la vita umana ricondotta a essenza e purezza” e da lui amata incondizionatamente,cosi’ come è adorata da Lorenzo,il fratello maggiore,appassionato di Italo Calvino e di basket,un ragazzo cresciuto troppo in fretta, nella consapevolezza di una famiglia “diversa” e che spesso sogna di compartire col padre, il grande segreto della scoperta dell’alba. C’è una moglie assente,schiacciata da un peso insostenibile per lei,un peso inasprito da un’insufficiente dialogo e da una carente complicità con il marito e c’è un padre scomparso, tanti anni prima, senza alcun apparente motivazione. E infine,c’è una casa ormai abbandonata che ancora risuona di vite felici e un vecchio telefono nero in bachelite,dimenticato in una stanza polverosa. E sara’ questo strumento che consentirà al protagonista,di “cavalcare” il tempo, in un continuo ritorno al passato ed al presente,permettendogli di riappropriarsi,non solo della realtà trascorsa, ma di confluire in una prospettiva di futuro prossimo,nella coscienza che solo la scrittura e la condivisione della sua storia,potranno dargli la certezza di aver veramente vissuto.
Un romanzo breve,ma di intensi sentimenti,il cui incipit rappresenta la parte piu’coinvolgente, una prosa scorrevole e semplice che,nonostante non approfondisca i tanti grandi temi delicati che esprime,regala inattese ed intense emozioni.
La mamma di Andrea
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Accordi e disaccordi
Vincitore del “Premio Strega” 2007, questo romanzo di Ammaniti ha suscitato, così come è accaduto per altre sue opere, discordanti reazioni tra il pubblico, la critica e persino tra i suoi più affezionati lettori. Per i suoi detrattori le accuse sono di troppa crudezza, di furbizia commercial- letteraria, di luoghi comuni accompagnati da un’ ovvietà insultante ed addirittura di dispersione di un capitale letterario giudicato già di per sé esiguo. Chi lo sostiene invece, invoca la sua singolare capacità di catturare il lettore fino a fargli “ vivere” la storia, l’empatia viscerale trasmessa dai suoi personaggi, la profondità inapparente, le suggestive ambientazioni, la magica fluidità della sua scrittura. Tra questi ultimi il regista Gabriele Salvatores, definendo il libro come un thriller mozzafiato e al tempo stesso come la storia di un incondizionato e assoluto amore tra un padre ed un figlio, ha recuperato il suo sodalizio artistico con lo scrittore dando il via, con entusiasmo, alle riprese della trasposizione cinematografica del libro.La storia si svolge nell’arco di sei giorni a Varrano, un piccolo centro abitato del Nord-Est italiano, affondato in una estesa piana dove si stratificano diverse realtà e dove, tra abitazioni urbanamente degradate e capannoni industriali, serpeggiano tangenziali trafficate, villette e centri commerciali fulcro di sfrenato consumismo.Nello squallore di una periferia desolata si snoda la storia dei protagonisti. Qui troviamo Rino Zena, disoccupato, naziskin, dedito all’alcool ed alle risse ma animato da un grande amore verso il figlio che educa a modo suo, dopo l’abbandono della casa coniugale da parte della moglie quando il ragazzo era ancora in tenera età. Con lui, in un insieme di regole violente e di slanci affettivi che come risultato ultimo portano ad un legame solido ed indissolubile, sotto un poco accurato controllo dei Servizi Sociali, cresce Cristiano, tredicenne, alto e dinoccolato, travolto da una vita inadatta al suo corretto sviluppo, ma consapevole di poter contare solo sulla figura paterna per scorgere un accenno di certezza e sicurezza, presente e futura.Gli unici amici di cui padre e figlio dispongono sono Danilo Aprea, anch’egli abbandonato dalla moglie dopo la tragica perdita della figlioletta, un uomo distrutto dagli alcolici e dai sensi di colpa e Corrado Rumitz, detto Quattro Formaggi a causa della passione per l’omonima pizza, un sopravvissuto alla morte da fulmine che gli ha lasciato pesanti strascichi mentali. Quest’ultimo darà vita ad un controverso personaggio capace di suscitare nel lettore un turbine di sentimenti contrastanti che vanno dall’empatia alla pietà fino al disgusto e all’orrore.Intorno alle figure principali si muovono quelle comprimarie tra cui spiccano Beppe Trecca, un assistente sociale un po’ fuori norma, follemente invaghito della moglie del suo migliore amico e le due adolescenti Fabiana ed Esmeralda, compagne di scuola di Cristiano, ragazzine viziate e un po’ sbandate, provenienti da situazioni familiari differenti, realisticamente delineate. In una notte di pioggia battente e di apocalittici temporali, una notte in cui la pazzia del quotidiano cresce a dismisura espandendosi in pura follia fino alla potenza distruttiva di un tragico epilogo, le loro vite si intrecciano fino a confluire, insieme all’acqua ed al fango, nello schianto di un inferno senza ritorno.E per giustificare i propri atti, le proprie debolezze, gli errori commessi, ecco che, dimenticando la potenza del libero arbitrio, si invoca un Dio che possa prendere in mano esistenze diventate ingestibili a causa di eventi considerati volontà divina ( Dio, perché mi hai fatto questo?”), un Dio che possa anche essere consolatorio alla disperazione, un Dio capace di ribaltare le situazioni umane rimettendo a posto i pezzi scompigliati di quel grande puzzle che è la vita , sopraffatta dal caso e dalle scelte individuali. Con una prosa chiara ed efficace, condizionata da un vertiginoso ritmo che richiama un susseguirsi di immagini cinematografiche, televisive e fumettistiche, in un connubio di tragedia e commedia così conforme alla vita concretamente vissuta, le varie storie parallele che si attorcigliano incalzanti, catturano ed avvolgono il lettore in una frenetica corsa che lascia senza fiato e che non concede modo e volontà di fermarsi fino al raggiungimento del finale. E sarà proprio a questo punto che si aprirà, come da una porta dischiusa sul futuro, l’impercettibile bagliore di una fede invocata che, lacerando il buio, illuminerà di una tenue speranza i superstiti di un’assurda notte, accordando loro il privilegio di poter credere ancora.
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Il pittore merdazzèr
Secondo classificato alla quarta edizione del premio letterario “Tabula Fati” 2006, questo racconto conferma le capacità di narratrice di Fiorella Borin, autrice veneziana piuttosto nota e in possesso di una tecnica per niente trascurabile.
Ciò che stupisce in questo libro è la capacità - pur a fronte di una vicenda nel complesso non particolarmente originale - di avvincere il lettore con un ritmo incalzante, sostenuto da un’ironia che a tratti si trasforma in vero e proprio umorismo.
Non dirò nulla della trama per non togliere il gusto della lettura, ma mi preme sottolineare in questa sede come l’intento della scrittrice sia quello di mettere alla berlina certi faciloni, peraltro non rari, che ambiscono al prestigio pur non avendone le indispensabili capacità.
Per il resto è una piccola commedia degli equivoci ben sorretta dalla mano esperta della Borin che la conduce fino in fondo senza incorrere in cadute di stile o anche di dubbio gusto, considerato a che si riferisce il merdazzèr del titolo.
E’ una lettura, quindi, agevole e senz’altro divertente.
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La magìa del fuoco
E’ da diverso tempo che non leggevo un libro così, uno di quei testi che ti avvincono piano piano e che arrivati a un certo punto ti impongono di non sostare, ma di continuare per arrivare fino alla fine in un crescendo di tensione emotiva.
Non è né un noir, né un giallo, anche se c’è una certa vicenda di incendi che conferisce una leggera atmosfera di mistero; è invece un romanzo di sentimenti, di vita vissuta e di profonde riflessioni.
Ambientato fra le due guerre, è uno spaccato di vita contadina descritta con finezza e rara abilità, con una famiglia patriarcale, dove il primogenito è padre e padrone e in cui le leve del potere e del denaro sono predominanti.
In questo contesto spicca la figura di Benvenuto (per tutti Nuto), un bimbo nato zoppo e con uno straordinario talento naturale per la pittura e la scultura. La libertà innata dell’artista cambierà ataviche tradizioni e consuetudini e proietterà un mondo antico verso il nuovo.
Ma è anche una storia di sentimenti, di iniziazione alla vita sessuale raccontata con una mano leggera che è riuscita a nobilitare istinti e passioni con sfumature e dolcezza. La scabrosità, nonostante alcune situazioni, è del tutto inesistente e questa è una grande capacità dell’autore che non scivola mai, ma che anzi ci concede un erotismo raffinato, dove carnalità e amore si fondono in un unico pathos.
Seguire passo passo la vicenda di Nuto è come immergersi nella magia di un mondo quasi sconosciuto, ma reale, dove la capacità di osservare dello scrittore si traduce in pagine di notevole bellezza, alcune delle quali simili alla prosa poetica.
E questo accade grazie a uno stile sobrio, mai ridondante, dove l’autore, pur presente, riesce a celarsi perfettamente dietro i suoi personaggi, così che ne deriva una lettura agile, scorrevole e appunto assai gradevole.
Non c’è una parola di troppo, né una di meno, in un’armonia che rasenta la perfezione e che contribuisce non poco a infondere al lettore un senso di grande serenità.
Aggiungo che stupisce anche la capacità di descrivere l’arte pittorica e addirittura quella delle ceramiche, illustrata in modo mai greve, anzi direi avvincente.
Dulcis in fundo, il romanzo termina in modo logico, anche se non del tutto scontato, ma soprattutto come inconsciamente il lettore desidera che avvenga.
Definire questo libro un capolavoro mi sembrerebbe forse eccessivo, anche se vi si avvicina molto, ma comunque resta sempre un’opera di alta eccellenza, un autentico gioiello nel panorama letterario non solo italiano.
La lettura, quindi, non è solo consigliabile, ma veramente raccomandabile.
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che fatica!
Ho finito il libro perchè non lascio nulla a metà, ma è stata una vera fatica! L'autrice ha la sindrome della prima-della-classe, quando comincia con le dissertazioni filosofiche (spesso così trendy e antievoluzioniste) fa venire il latte alle ginocchia. Peccato per la favolosa copertina!
L'ambientazione allucinogena e alternativa finisce scivolando su una buccia di....mela!
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la quasi luna
bel libro di introspezione psicologica crudo e realistico nella descrizione della drammatica vita della protagonista: il contenimento delle emozioni represse, il perseguire una vita organizzata alla cura della madre dipendente e in passato egoista e indifferente perchè malata psichica non riconosciuta. poi l'esplosione della vita dopo la liberazione dalla schiavitù: il libro è coinvolgente ma angosciante e, alla fine, si tira un sospiro di sollievo.
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l'eleganza del riccio
E' estremamente coinvolgente, suscita una punta di invida sulle capacità della scrittrice di comunicare impressioni tanto brillanti quanto semplici e alla portata di ognuno. In una o più parti possiamo trovare qualche cosa che sta dentro di noi e che non abbiamo evidentemente mai verbalizzato o di cui non eravamo consapevoli. SI tratta di piccoli dettagli, o di piccoli ragionamenti e di dettagli che costituiscono il nostro essere. E' interessante e coinvolgente. E poi non è importante se lei racconta che una quadro di un famoso pittore sta nel bagno dei protagonisti, è il messaggio che vuole dare che è importnate, non la veridicità del fatto. Bisogna avere l'elasticità di comprendere quanto la scrittrice ci vuole dire. A questo punto si entra in sintonia....
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sbucciando la cipolla
Sarà anche un premio nobel, perchè in passato è riuscito a nascondere i suoi trascorsi, tuttavia ora non posso fare a meno di pensare che ha militato nelle SS. Mi aspettavo una confessione in piena regola, una sincera ammissione di colpa, invece l'argomento rimane solo marginale, dimentica ciò che avrebbe dovuto rirordare, si è costruito una verità non vergognosa prima che altri potessero farlo.
Con questa trovata editoriale è riuscito a vendere più copie di quanto avrebbe dovuto se non ci fosse stata l'idea della verità nascosta.
Libro pubblicità, nelle cui pagine ha fatto sfilare i suoi libri insieme al suo passato filtrato e non trasparente. Un giorno qualcuno scriverà di lui e solo quel giorno potremmo sapere ciò che lui ha osato appena accennare.
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Il tormento del poeta
Le catacombe dell’anima è un titolo quanto mai indovinato, perché tutta la silloge è permeata da una profonda malinconia, alimentata da un pessimismo trasparente che riverbera dal confronto fra l’io dell’autore e il mondo circostante.
E’ indubbio che lo scontro fra realtà esterna e aspirazione intima finisce con l’apparire stridente in tutta una serie di sfaccettature che Vaccino è riuscito a cogliere, per poi tradurle in versi.
C’è così l’orrore di Omicidio di stato (….Il sangue ha dipinto / di rosso quel prato: / lo Stato s’è spinto / a perpetrare reato; /…), la rassegnazione di Le voci dei morti (Le sento fra gli scrosci / d’acqua piovana / sulla terra molle / dei camposanti /…), l’indignazione per i profittatori dell’innocenza altrui di Un biglietto per il Paradiso (Agnes aveva un passaporto / e sulla bocca un bel sorriso: / un battello l’aspettava nel porto, / con un biglietto per il Paradiso. /….).
Non mancano riflessioni esistenziali come nell’eccellente Il buio o anche escursioni dialettali come in Masnà.
L’impressione che se ne ritrae è effettivamente quella di uno sconforto profondo, una macerazione di ideali in evidente contrasto con la realtà, insieme di elementi che condiziona e determina il percorso poetico dell’autore piemontese. Il suo è un mondo non solo ingiusto, ma anche senza speranza, una sorta di riflusso negativo di cui è spettatore e vittima contemporaneamente.
Uno status, quindi, che si riflette in ogni verso che finisce con l’apparire una confessione a se stesso, ma che attrae, pungola, per arrivare poi a compenetrare anche il lettore.
E’ originale poi il ricorso indifferente alla metrica e al verso libero, e addirittura al sonetto, una poliedricità che Vaccino sfrutta abilmente a seconda delle circostanze, magari alleggerendo lo svolgimento di più forte impatto, come in Un biglietto per il Paradiso, oppure qualificando maggiormente riflessioni di particolare complessità, come ne Il cieco.
Aggiungo, anche, che al di fuori di questa tematica, ma pur presente nella silloge c’è un acrostico e le iniziali di ogni verso finiscono con il comporre il nome e il cognome della destinataria di un sogno notturno, una brevissima parentesi d’amore, un raro momento di serenità.
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Preciso e informale
In 135 pagine vengono ripercorse le tappe del rapporto tra lo sport e il piccolo schermo, dai tempi pionieristici in mezzo alle due guerre fino ai giorni nostri. L'analisi dell'autore è rigorosa, quasi storiografica: sarebbe facile per un trenta-quarantenne lasciarsi andare alla nostalgia e rimpiangere una presunta età dell'oro, Frisoli non lo fa e lascia il giudizio finale al lettore. Un rigore storiografico che emerge dalla precisione nella citazione delle date e dei nomi – fatto tutt'altro che scontato in opere di questo tipo – oltre che nell'elenco delle fonti e degli approfondimenti. La sensazione che si ha leggendo il libro è quella di un quadro d'insieme che si va componendo pagina dopo pagina. Si va dagli anni'50, e da un prodotto fatto per un pubblico che guarda poco la TV e privilegia l'evento sportivo visto dal vivo, alla situazione dei giorni nostri, diametralmente opposta: l'attuale “fruitore” dello spettacolo sportivo è prevalentemente un telespettatore, che allo stadio ci va ma solo di tanto in tanto. In mezzo, aneddoti di ogni tipo, curiosità e vere e proprie perle tirate fuori dall'archivio della memoria. Dalla prima bestemmia in diretta TV di Enzo Maiorca al primo esperimento di “Tutto il calcio minuto per minuto” alla TV (Torneo di Viareggio 1976: alzi la mano chi lo sapeva), fino a un episodio emblematico del'atteggiamento delle società di calcio nei confronti della TV negli anni '70-'80. Aprile 1981, Inter-Real Madrid, semifinale di ritorno della Coppa Campioni, stadio esaurito da giorni, il presidente nerazzurro Fraizzoli nega la diretta per la Lombardia “per rispetto del pubblico pagante”. Nel complesso un libro veloce da leggere, ben scritto e con tanti riferimenti anche all'attualità. Consigliato a chi ama lo sport, soprattutto a chi ha sempre amato viverlo davanti al grande schermo.
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I colori della guerra
Una storia toccante,emozionante come poche,una storia di grande significato intimo che si snoda in un grande contesto storico attuale. La storia di un popolo,cosi’ duramente provato,il popolo Afgano, travolto da tragedie immani,una storia di vite annientate e offese,di dignità ferite,di infanzie oltraggiate e distrutte,un popolo a cui tutto viene strappato, dall’antico bagaglio culturale alla vita stessa,prima con l’invasione russa,poi col potere estremistico dei talebani e infine con il debole governo dell’Alleanza del Nord. La storia di un’amicizia vera,ricca di dedizione totale,la storia di una fratellanza allontanata dalle convenzioni e dai ceti sociali,la storia di un padre e un figlio e dell’eterno rapporto conflittuale generazionale,la storia di un uomo e della sua vita interiore,dei suoi sensi di colpa,delle sue ferite profonde che lo riportano a ripercorrere a ritroso la strada verso il passato,per poter finalmente accettare se stesso, conservando cosi’ la possibilità di guardare avanti e pur non perdendo il ricordo, ricostruirsi e riscattarsi nella sua essenzialità.
Una storia struggente, nella memoria della libertà di questa nazione lacerata, che un tempo era piena di suoni,profumi e colori, come il volo di aquiloni che si librava leggero e ardito sui cieli di Kabul, aquiloni che ora non volano piu’,lasciando il posto al colore grigio della guerra,alla polvere, al fango e al sangue versato inutilmente da migliaia e migliaia di innocenti. E come specchio di questa smisurata tragedia,ci rimane lo sguardo triste, color “assenza di speranza” di ogni bambino afgano che ci chiede di non ricoprirci di mantelli di indifferenza e apatia e soprattutto di non dimenticarlo.
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Ti prende e ti porta via...
Ischiano Scalo,un paesino dove il mare c’è ma non si vede,un paesino che si arroventa al sole dell’estate e che d’inverno viene battuto da gelidi venti,popolato da un’umanità intessuta di storie parallele che si intrecciano fino a confluire in un unico riflesso di quotidiana realtà,è lo scenario di questo romanzo dai toni crudi e duri ma nel contempo delicati e commoventi ed in ogni caso coinvolgenti di Niccolò Ammaniti. E l’anima di questo paese si muove intorno alle vicende dei personaggi,con tutto il suo carico di pensieri interpretativi,di consensi o rigetti,di sommesse sentenze foriere di perdoni o di collettive condanne. Qui,troviamo il piccolo Pietro,un ragazzino dalla strada già disegnata da una cupa predestinazione,contro la quale,sembra inutile persistere nel cercare di cambiare lo stato delle cose:un padre violento,una madre malata di nervi,un fratello di poco intendimento,una famiglia in cui regna sovrana una spiccata anaffettività. Un ragazzino pieno di sogni per lo piu’ non così irrealizzabili,come frequentare il liceo e studiare zoologia,unito da una inspiegabile legame a Gloria,la bella,ricca e viziata figlia di un direttore di banca,per la quale nutre indefiniti sentimenti amical-amorosi. La storia di Pietro, s’interseca con quella di Graziano Biglia,playboy ormai sfatto dal sesso,dalle droghe e dall’età,nonché dalle menzogne o meglio da realtà travisate per alimentare la sua autostima,pervaso da una voglia silente di una normalità che si presta ad essere presa a calci dalla realtà e di Flora, insegnante di Italiano,anonima vita di donna,schiacciata da pesi di cui nessuno conosce l’esistenza e l’entità,avvolta nel bozzolo oscuro di una metamorfosi che si intravvede ma che,nel momento in cui sta per attuarsi,regredisce al primissimo stadio. E con loro,tutto un brulicare di personaggi che danno colore e spessore al racconto:il gruppetto dei bulli della scuola,capeggiato da Pierini,novello Franti di De Amicis,il poliziotto depresso la cui mente aspira ad un modello immaginifico di Clint Eastwood,il bidello ossessionato dal preconcetto di una sardità delinquente perennemente in agguato,l’assillante figura della madre del Biglia che trasforma in cibo tutte le sue nevrosi.Una lettura che,alternando un’ironia ed un’umorismo dilagante ad una intensa melanconia e drammaticità,nel contesto di una storia ottimamente strutturata,cattura,trascina,tiene incollati alle pagine e “Ti prende e ti porta via”.
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amabili resti
Commovente e doloroso. Mi sembra originale l'idea di far "parlare" la piccola Susie dal cielo, dopo la sua morte. Attraverso i suoi occhi che guardano giù, sul mondo degli uomini, riviviamo la sua storia, la sua tragedia e la vita di coloro che in vita l'hanno amata. Un libro che sicuramente apre grandi spunti di riflessione toccando, come fa, temi scottanti e delicati quali la pedofilia, la vita dopo la morte, il dolore causato da un lutto così terribile. E il concetto di famiglia che in questo caso non regge all'onda distruttiva di una perdita così grave. A testimoniare che non sempre il dolore che accomuna le persone, avvicina. A volte, disgrega. E' facile amare questo libro, come è facile amare la piccola protagonista.
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Ho voglia di te
Ho scelto di leggere Moccia perchè essendo una prof attenta e partecipe al mondo
dei ragazzi ero curiosa di capire cosa di lui e dei suoi libri li entusiasmasse così tanto.
Ho quindi letto Moccia, tutto Moccia, e visto anche i film e credo d'aver capito. . . a parte Scamarcio e i suoi boccoli d'oro, ora inevitabilmente associato a Step la cui faccia da malandrino è incollato sul diario di ogni ragazzina, capisco che in questi libri c'è tutto quel che più piace ai ragazzi, che li fa sognare e li fa volare con la fantasia. Non è solo l'amore di Step e Babi o di Pollo e Pallina: è la girandola di emozioni, prime uscite, fughe, primi baci e" prima volta" a condire l'amore dei personaggi e a rendere non solo la storia ma l'intero "periodo" (la giovinezza, appunto!) indimenticabile! Con l'uscita dei film poi le immagini si sono fotografate nel cuore, con Tiziano Ferro a far da sfondo struggente ad ogni momento emotivamente“ forte“, il ponte e i suoi lucchetti pegni d'amore eterno (che vale più d'un sì in chiesa!!), le foto dei baci felici, la moto, simbolo di libertà e di ricordi e di un'amicizia spezzata, il tutto condito dalla leggerezza tipica di un'età in cui tutto sembra ancora possibile, in cui si accettano le sfide della vita con animo appassionato e non inquinato dall'esperienza . Quella fase l'ho superata da un po' ma ho sognato anch'io. Non saranno capolavori di letteratura, ma di certo i suoi libri sono uno specchio dei tempi, in cui poi anche noi adulti ci si può ritrovare.
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Ad occhi chiusi
Più che un legal-thriller è un romanzo, scritto quasi in punta di piedi. Con grande soavità Carofiglio ci fa entrare in una storia di violenze e soprusi, di famiglie potenti e di aule di tribunali, sullo sfondo di una città di mare che conosco bene perchè è la mia città. Personaggi reali, veri, con un passato che diventa talvolta presente drammatico, come per Enrico, il cui dramma personale è dramma "umano", descritto dall'autore con grande profondità, tanto che ci si sente quasi addosso la responsabilità della sua solitudine, del suo dolore. Grande Margherita,prototipo delle donne moderne, autonoma ma affidabile, intelligente e perciò discreta, mai scontata. Interessante anche il personaggio di Claudia, la "suora" dal passato misterioso, che sale a galla a tratti, lungo il libro, e che prende forma solo alla fine quando lei stessa rivelerà il suo segreto. Nel complesso, una bella storia, che si legge facilmente e che resta dentro.
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ti prendo e ti porto via
Ho comprato questo libro dopo aver letto "io non ho paura" dello stesso autore, che avevo già apprezzato molto non solo per la storia raccontata ma anche per il "modo" in cui è stata raccontata. E ancora una volta, sono stata rapita dalla scrittura precisa e tagliente di Ammaniti. Una storia cruda, personaggi arrabbiati, delusi, ragazzini trascurati, sembra un mondo di dolore e di amori perduti in partenza. E il finale è terribile, straziante, viene voglia di intervenire per bloccare tutto il meccanismo di distruzione messo su fin dalle prime pagine. Ammaniti usa una scrittura "forte" per questo microcosmo di personaggi diversi le cui vite si intrecciano e si fondono, a volte per caso, come accade nella vita.
Fili invisibili legano le persone conducendoli verso un destino ineluttabile. E' un libro che ho "sentito" molto, che ho letto con voracità... e adoro il titolo, così romantico, così poetico!
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il petalo cremisi e il bianco
Un romanzo d'ambientazione, la Londra dell'800 è magistralmente descritta e il lettore riesce grazie alla scrittura precisa e accurata di Faber, a viverla in ogni aspetto. Quanto alla protagonista, Sugar non suscita molta compassione... sì, è vero, la sua è una vita disgraziata e le si riconosce il merito di averci saputo fare. Ma in realtà, mi sembra una scaltra, che fino alla fine gira e sfrutta ogni cosa e persona a suo vantaggio. L'epilogo ne è la prova: si impossessa persino della bambina, la prende con sé come fosse cosa sua. Nel complesso un bel romanzo, corposo, e mai nelle sue 900 pagine, ampolloso.
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l'ombra del vento
E'una carezza in un libro. O forse è un libro che ha il sapore confortevole di una carezza. Una carezza leggera che però lascia un'impronta di calore, di tenerezza infinita. E' una storia di magia e di incanti, una storia che fa sognare, che avvolge come fosse vento caldo. Un vento che t'acchiappa il corpo e lo riscalda. Indimenticabile. A tratti struggente come solo le passioni più forti sanno essere. Storia d'amore, d'amicizia, di vendetta, di vita. C'è tutto questo nel libro di Zafon e c'è anche di più: la consapevolezza del tempo che passa e che ha il potere di sbiadire i contorni delle cose ma che non ha potere sulla forza delle passioni che restano, a dispetto d'ogni umana comprensione, invincibili nella loro inevitabilità. Ci si perde nelle pagine di questo libro e dopo, finita la lettura,ci si vorrebbe perdere ancora.
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Sangue delizioso
Una delizia in tutti i modi possibili. Vampiri (di cui uno coi capelli rossi), una storia d'amore bellissima, personaggi adorabili, uno stile incredibilmente piacevole che sa un po' di quei libri per ragazzi scritti bene che adori leggere anche solo per come sono scritti. Comunque il meno bello della serie, forse per la presenza ridotta di Edward nella storia.
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Mille splendidi soli
In "Mille splendidi soli" si vede un miglioramento rispetto al cacciatore di aquiloni, soprattutto per quanto riguarda lo stile: meno passi falsi e una scrittura lineare che costruisce un romanzo compatto sviluppando meglio la trama, più sostanziosa e interessante.
Il libro non aggiunge niente di nuovo a quel che è già risaputo sulle donne afghane e la situazione attuale, ma racconta comunque una bella storia ricca di personaggi interessanti e complessi.
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Il senso della vita
Il ritorno alle origini, a dove si è nati e si è cresciuti, è sempre una tappa indispensabile affinché attraverso il ricordo si abbia la certezza di essere vissuti e si possano gettare nuove basi per il futuro.
Andrea Villani, più conosciuto come autore di noir, ha un vincolo indissolubile con la sua terra, con quella parte della provincia di Parma che si snoda fra rilievi collinari e vera e propria pianura, vale a dire fra Salsomaggiore e il Po, un territorio fecondo punteggiato da piccoli borghi ognuno con la sua storia e la sua anima.
Ecco, l’autore con questo libro strutturato a cornice riesce a farvi sentire il respiro di una zona, lo spirito dei suoi abitanti, in una sorta di immaginario viaggio condotto, con la fidanzata, su un vecchio vespone.
Però, ha avuto nel prologo l’abilità di iniziare con un paesaggio diverso, ai tropici, proprio per acuire la differenza fra ciò che è bello solamente e ciò che ci piace perché lì sono le nostre radici.
Nel leggere queste pagine, scritte in modo semplice, immediato, viene spontaneo pensare a un grande cantore della provincia quale è stato Piero Chiara. Lo stile è indubbiamente diverso, l’ambientazione pure, ma si ritrovano elementi comuni nel descrivere luoghi e fatti con una naturalezza sconcertante, ma che avvince e lega indissolubilmente il lettore all’opera anche quando si arriva all’ultima pagina.
Ho parlato prima di una struttura a cornice, poiché in effetti si tratta di racconti uniti da un filo comune (il citato viaggio con il vespone); questa modalità di realizzazione contempla il vantaggio che ognuno dei capitoletti si chiude, come se fosse a se stante, pur restando nell’insieme legato agli altri.
Si può dire, senza timore di sbagliare, che ogni paese incontrato ha il suo racconto, magari una leggenda tramandata oralmente e che ora assurge agli onori della scrittura, oppure, in altri casi, fatti realmente accaduti, sviluppati con l’aggiunta di un po’ di fantasia.
In questo senso, sembrerebbe di conforto alla ipotesi di cui sopra un periodo che troviamo a pagina 29, laddove la fidanzata si dimostra un po’ scettica sulla veridicità di certi episodi narrati e lui risponde così:
”Voglio dire che qui comincia la terra dove il vero, quello più genuino, ce lo siamo sempre inventato.”
E si può in effetti credere a questa affermazione, leggendo la vicenda di Walter Braschi, oppure la storia paurosa di Bruno Iori.
Non si riesce però a discernere dove il vero diventa fantasia, dove l’estro creativo prevale sulla realtà in altri casi, come la vicenda, veramente splendida, dei due vecchi partigiani che partono da Fontanellato per andare a mangiare il culatello a Zibello, o anche nel ricordo di un’intervista ai figli di Giovannino Guareschi, dove l’emozione, sincera, si sovrappone ad altri eventi, si guarnisce di aneddoti.
Non mancano inoltre indovinati incisi, come quello che descrive che cos’è effettivamente la via Emilia, una chicca di prosa poetica assolutamente da non perdere.
Su tutto domina la genuina ironia di un emiliano che, riscoprendo la propria terra, vede dentro di sé, lo stesso sottile e arguto umorismo che troviamo all’imprevedibile finale del libro, quasi a voler confermare il pensiero di un grande della letteratura (Hermann Hesse), secondo il quale solo la risata immortale consente di vivere.
Per arrivare a questa conclusione, lo scrittore tedesco ha dovuto scrivere un romanzo come Il lupo della steppa, greve, sovente anche troppo.
Invece, Villani ce lo ha sciorinato come una canzone popolare, in un modo scorrevole tale che il libro si legge in un fiato.
Scusate se ho fatto questo accostamento, che potrà anche sembrare irriverente, ma altri non è che la verità. Però mi sorge un dubbio: non è che sia frutto della mia fantasia, in preda all’atmosfera di questo bellissimo libro?
Leggetelo e nulla vi sembrerà più vero di quello che inventerete.
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un altro Fabrizio
Scoperto da qualche mese. Ho letto una entusiastica recensione su una rivista musicale, mi ha incuriosito, e devo dire che non mi ha deluso.
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Si legge tutto di un fiato
Segnalo questo libro perché è un romanzo fresco, forte e che si legge tutto di un fiato.
Scritto in prima persona da un adolescente che porta dentro di sé un grosso peso, apre al lettore uno spaccato di vita molto realistico. Un mondo fatto di adolescenti con passioni vere, con sentimenti veri vissuti con l'ansia ed il senso di ineluttabilità tipici di quell'età.
Nello stile, l'autore a me ha ricordato Dostoevskij, non a caso citato prima del romanzo.
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cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni
Storia d’amore. Scordatevi fronzoli, canzonette, lacrime.
Qua si parla di amore forte, tenace, di un amore raro, che sa aspettare e nutrire la propria attesa-
C’è il protagonista che è finito in una di quelle storie adolescenziali che di solito popolano i nostri ricordi, ci fanno sorridere per la loro superficialità, innocenza, leggerezza ma nulla più. Invece per Florentino Ariza non è cosi, lui sa che Ferminia Daza è La Storia, lo sa per istinto e sa resistere ed aspettare la sua nuova occasione,negli anni, come un soldato in guerra. E ci sarà un lieto fine, che però non è forzato, ma giunge con leggerezza, quasi a compimento del cammino del protaginista, più simile alla morte che non al classico happy end.
Mentre lei si sposa e lui vive innumerevoli avventure carnali, amorose, o solamente mentali, scalate sociali ed economiche (non è la storia di un innamoratio alla deriva) noi riusciamo anche a lasciarci affascinare insolita atmoisfera dei caraibi.
Grazie Garcia Marquez per questo capolavoro.
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la corsa all'abisso- dominique fernandez
Rivive in un dualismo con la realtà michelangelo merisi detto il caravaggio una personalità tanto affascinante quanto misteriosa...ma al riguardo basta guardare i suoi quadri. Nonostante si conosca poco della sua vita, Fernandez ci dà luci e ombre del suo essere. Chissà quanto è reale...?
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