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inchiesta su gesù
Ho letto già altri libri di augias,ma leggo anche i libri di Mons Gianfranco Ravasi.
Questo per dare un'idea;credo che in italia si dia troppa attenzione a chi ha il solo merito di apparire in tv.Poichè credo che ognuno dovrebbe rimanere nel suo "orticello";e rifacendomi ad una nota citazione "SUTOR NE ULTRA CREPIDAM!!!"voglio con questa dire che ognuno si deve occupare di ciò che è competente,cioè se augias fa il "gionalista "con tutto rispetto per chi fa questo lavoro,continuasse a farlo ,e lasciasse parlare di releigione e fede chi ne ha competenza e merito. Sconsiglio assolutamente la lettura di questo libro a chiunque; perchè chi non ha i mezzi per capire ,ne resterebbe scioccato,e chi sa difendersi da questi saccenti,non ha bisogno di leggerlo .Totok13
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Al buio i colori non esistono
E' il romanzo d'esordio dell'autore, che ha dimostrato nel tenere la scrittura, il piglio esperto dell'orchestratore. Il libro è scorrevole e beffardo, ironico e intenso al tempo stesso, con un finale originale e positivo. Grandelis mette a fuoco due aspetti della nostra società: da una parte la buona borghesia con i pro ed i contro di questo tipo di vita; dall’altro lato le periferie cittadine, con personaggi che ogni giorno sono costretti a lottare, per vivere e sopravvivere. Storie apparentemente distinte, con personaggi diversi, mondi diversi...con un unico filo conduttore che si svelerà soltanto nel finale.
I complimenti anche per la bella copertina, un delicato bassorilievo che riproduce un uomo nudo, ripiegato su se stesso, tributo a Mapplethorpe.
Buona lettura:)
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ALI DI BABBO
Milena Agus si ripete. La struttura di Ali di Babbo richiama - anche nei profumi – la vecchia Sardegna de Il Mal di Pietre: un profilo di donna con atipica condotta ed una adolescente che ne racconta le abitudini e vicissitudini con la grazia e delicatezza di chi con ingenuità coglie se non il senso delle cose (sarà poi rilevante?) almeno il vero movente. E così Madame vive apertamente la sua sessualità come mezzo per raggiungere l’amore e la nostra giovane voce narratrice ne svela la profondità umana al di là dei naturali giudizi morali. Cosi è se vi pare! E quel che pare è che anche questa volta Milena Agus riesce a farci volare (con le ali di babbo) e sorvolare sugli effetti della solitudine, condizione comune. Sfrutta come escamotage lo sfruttamento edilizio sull’Altra Sardegna ma è solo un espediente: la vera speculazione che turba l’autrice è il rifiuto della nostra società alla semplicità di esistere che è fatto di accoglienza e generosità mentale ... e di magia. Da leggere.
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IL MAL DI PIETRE
“Illusioni! grida il filosofo” recitava Foscolo. Il Mal di Pietre di Milena Agus gli fa eco con semplicità e delicatezza. Meglio morir d’amore che non amare del tutto. E se la realtà non aiuta, è lecito che subentri la fantasia.
In una Sardegna volutamente anacronistica, una nipote ripercorre la vita della nonna sulla base di percezioni e confidenze intimiste – talvolta intuite, talvolta rivelate. Ne emerge un passato di emarginazione per la particolare inclinazione alla passione ed alla ricerca quasi patologica dell’amore. Non è casuale che la struttura del romanzo richiami “Va dove ti porta il cuore” ma c’è un’amabile variante: la redenzione dalla colpa di “follia per amore” si respira in ogni pagina e non solo nell’epilogo. Il risultato è un delicato saggio sulla natura della passione e sulla necessità dell’idea (o dell’ideale?) dell’amore per esistere (e resistere).
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terribilmente autentico
La zona cieca è quello che di noi non possiamo cogliere, ma che gli altri vedono benissimo. E Lidia e Lorenzo, i protagonisti di questo meraviglioso romanzo, lo scoprono proprio mentre vivono una relazione sentimentale che, per quanto singolare, si sovrappone facilmente a complessi variegati di emozioni che tutti noi, in momenti e secondo modalità diverse, possiamo aver vissuto. Lidia e Lorenzo si amano, si feriscono, si cercano, si guariscono, si abbandonano e si tradiscono. Corrono paralleli sui binari di un sentimento che crea proprio mentre sembra distruggere, che lega proprio mentre sembra allontanare. Si incontreranno mai in un punto finito? Lo stile è superbo. La struttura narrativa coinvolgente. Delicato e profondo. Terribilmente autentico. Da leggere. Assolutamente.
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La caccia. Io e i criminali di guerra
Carla del Ponte, dimostra di tenere più alla fama che alla sua personalità... la cosa bestiale è che si è fatta aiutare da un "ghostwriter" per produrre questo caso editoriale, che non ha nessun valore, tranne quello di metterci in guardia dell'incombente la fine di ogni etica professionale, a nome della fama mediatica e del profitto finanziario
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Caos calmo
Un pò schiacciato dal gran parlare che se ne fa, anche grazie al film (non lo ho visto, e non ne posso dire, ma sta andando bene), ho preso Caos calmo di Sandro Veronesi (in ritardo di due-tre anni, certo)
Ero stanco la sera che lo ho aperto per iniziarlo. E anche un pò prevenuto (a volte, sulle cose di cui si parla parecchio, mi succede).
Bè, le prime cinquanta pagine sono filate via in un attimo, e questo mi avviene raramente.
La storia di un uomo cui capita un evento traumatico come la morte della compagna, tra pochi giorni moglie. Il giorno in cui si sarebbero dovuti sposare, c'è il suo funerale. L'evento porta il protagonista a riflettere sulla vita, sui rapporti con gli altri, con la sua bambina soprattutto.
Di queste prime cinquanta pagine l'inizio è folgorante, con il salvataggio di una sconosciuta dall'affogamento e trovo bellissima la scena in cui descrive l'uscita da scuola dei bambini.
Non sono certo io che devo far scoprire Sandro Veronesi, che è un grande autore, ma se a qualcuno fosse sfuggito il libro, come a me, mi sento di consigliarlo.
Per chi ama scrivere, mi piace citare questa sua frase:
“ La ragione per cui scrivo la conosco.
Scrivo perché mi è necessario, è una cosa mia, una funzione ormai obbligatoria del mio cervello e del mio corpo, come dormire, come sognare.
La ragione per cui scrivo quello che scrivo, invece, di volta in volta mi è ignota: ma arrivare ad affermare questo, per me, è stata una conquista. ” ( Sandro Veronesi )
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L'autopompa fantasma
Sjowall e Wahloo sono stati due indiscussi maestri del poliziesco. Moglie e marito, scrivevano in coppia, un capitolo a testa, a mano e sempre di notte.
Hanno realizzato il decalogo sul commissario svedese Martin Beck, come un "romanzo sul crimine" in dieci parti. Con la scusa, o l'intento, di analizzare la società del benessere, e di guardare alla criminalità in rapporto alle dottrine politiche o ideologiche della società. Sono dieci romanzi scritti tra gli anni '60 e '70 (Wahloo è morto nel 1975), che Sellerio sta ripubblicando interamente in Italia.
L'autopompa fantasma è stato autopompa fantasmapubblicato originariamente nel 1969, ed è il quinto della serie. E' un romanzo scritto in modo assolutamente moderno, che si fa leggere senza alcuna difficoltà. Ci sono scene potenti (come quella dell'incendio) ed una attenzione particolare alle relazioni tra le persone, all'individuo come parte di un gruppo, alla criminalità come espressione della società su un piano negativo. E' triste constatare come oggi, da noi, l'attenzione alla criminalità da parte del pubblico, sia sotto molti aspetti, indirizzata verso aspetti vouyeristici e spettacolartelevisivi (vedi cogne, erba e altri e ad es. Porta a porta), piuttosto che verso l'analisi, ed il tentativo di comprensione dei motivi dei gesti criminali.
In questo ottimo romanzo non ci sono effetti speciali, non c'è voglia di stupire, o di colpire, o di disgustare con scene forti. C'è una tensione narrativa "classica", interesse umano per i personaggi e realismo dei caratteri e degli scenari sociali. I due autori scolpiscono, psicologicamente e somaticamente i personaggi.
E' un gran bel libro.
Moderno e classico al tempo stesso, e scritto con passione e grande, grandissima preparazione tecnica.
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Il guaritore di maiali
Il libro segue una duplice articolazione. A Genova sono in azione due diversi assassini che si accaniscono su vittime differenti: nella zona del porto vengono ritrovati corpi straziati di donne, mentre nel convento dei carmelitani scalzi di Sant'Anna sono i maiali a costituire il bersaglio di un ignoto killer. Sarà Pimain (Il guaritore di maiali), un ex soldato che gira di villaggio in villaggio, per prendersi cura di questi animali, a sobbarcarsi il compito di individuare l'assassino di donne e quello di maiali. Un'indagine complessa e pericolosa che rafforzerà il suo giudizio negativo sugli uomini. L'autore dimostra originalità nella narrazione e bravura nella ricostruzione storica. Un giallo particolare, ambientato nella Genova del XVI secolo, con colpi di scena continui e una trama decisamente avvincente fino all'ultima pagina...
Buona lettura:)
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Il lamento dell'usignolo
La storia mi ha tenuta incollata fino a quando non ho finito di leggerla. La trama e l’intreccio sono ben costruiti, e l'autrice ha reso la storia avvincente con mille colpi di scena. Ci sono stati due momenti, verso la fine del libro, dove mi sono emozionata; il primo alla morte di Darithia, perché mi ha dato l’impressione di essere l’unico momento di vera umanità di Zagart; e l’altro quando la trisavola di Lara pronuncia la frase nella quale non pensava di ospitare a casa sua re e principi, perché è l’unico membro della famiglia di Lara rimasto in vita che riesce a vedere benedetta, all’interno di una storia piena di violenze, la sua discendenza.
Devo fare, però, alcuni appunti. Nella parte iniziale del libro, durante la prima fuga di Lara, si svela un dono che lei ha, quella della “la ragazza mentale”, al quale Lara non fa più ricorso lungo tutto il libro, mentre avrebbe potuto utilizzarlo anche durante i momenti più duri/difficili della sua storia.
Inoltre, Zagart, sempre attento e accorto, aspetta che gli venga ripetuto da Wingam tre volte prima di capire che gli sono nati altri figli da Lara; sinceramente, ho avuto l’impressione che in questo frangente ci facesse un po’ la figura dello stupido, cosa che non si addice a uno spietato sanguinario come lui.
Devo ammettere che è la prima storia che leggo dove viene descritta con normalità la sindrone di Stoccolma; questo può piacere o non piacere, certo che vedere la vittima affezionarsi al suo carnefice, e cedergli di fronte a qualsiasi tipo di richiesta lungo tutto il libro in virtù di un’antica promessa (se no che fantasy sarebbe?) mi è risultato, soprattutto all’inizio, pesante.
Comunque, per essere un libro d’esordio è sicuramente un lavoro notevole e quando saranno pronte le altre storie del ciclo di Davidia penso che leggerò volentieri.
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Incompleto
Ho letto questo libro in due pomeriggi consecutivi. E' un romanzo breve, che si legge con facilità. Lo stile, molto semplice, aiuta nel compito.
La storia è forse troppo banale, e i personaggi sono decisamente poco caratterizzati. Ciò che rimane del libro sono i contenuti, molto profondi. L'unico consiglio che mi sento di poter dare a chi intendesse leggere il libro, e di cercare di andare a fondo, legger oltre le righe, al di là delle pagine, e cercare di calarsi nell'ambiente.
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Un'indagine tra rovi e memoria
E’ un giallo e, al contempo, un viaggio nel tempo e negli scheletri di un passato che è meglio dimenticare e lasciar ricoprire dai rovi e dalla vitalba il nuovo romanzo di Marino Magliani, Quella notte a Dolcedo. Al suo protagonista Magliani fa condurre un lavoro da archeologo della memoria: con il pennellino ripulisce i cocci del passato, li seleziona, controlla se in qualche modo possano essere collegati a formare qualcosa di più grande. Il punto di partenza è una lapide che, tra le terrazze a secco ormai abbandonate, è il ricordo scomodo, rimosso, di una famiglia assassinata.
Perché quella strage nazista non fu un semplice atto di rappresaglia; e quella bimba nascosta in un rovo non era soltanto una sopravvissuta.
Nessuno è quello che sembra, nel 1944, a Dolcedo, sui monti affacciati al mare del Ponente Ligure. Solo una cosa è reale: la morte di una famiglia di fornai, nascosti in un pozzo e traditi da qualcuno.
Anche 45 anni più tardi, a Dolcedo, nessuno sarà quello che sembra: né il vecchio Hans Lotle, ex soldato dell’esercito regolare, la Wermacht, e poi cameriere, che ha lasciato Berlino Est a caccia di una verità che il tempo sembra aver reso irraggiungibile; né Lori, giovane ligure sbandata e autolesionista legata al suo paese da un rapporto di amore e di repulsione; né la variopinta colonia di tedeschi che, nel tempo, si è insediata in quelle valli che i loro genitori non erano riusciti a conquistare con fucili e granate.
Impegnato nel suo lavoro di archeologo della memoria, Hans non si accorge che il presente incalza: si abbattono i muretti per far posto alle piscine, e si abbatte il Muro di Berlino per far posto a una nuova generazione di (vecchi) squali. Ma è durante un improvvisato valzer tra ulivi, rovi, silenzi e chiar di luna che le due facce della verità si sfiorano e si lasciano. Senza spiegazioni. Come spesso accade nella vita. Nel lettore resta quella struggente nostalgia che nasce dall’incontro tra chi è tormentato perché non sa la verità e chi sa la verità ma non per questo ha la pace. Anzi, tende a farsi capro espiatorio delle malvagità altrui.
La scrittura di Marino Magliani è intrisa di colori, suoni, memorie della Liguria con tappe nella livida Berlino, nell’opprimente burocratismo di quei servizi segreti della Ddr anni ‘80. Pagina dopo pagina il giallo sembra incunearsi in uno di quei carrugi sempre più stretti e bui, dai quali pare impossibile uscire, ma che poi, imprevedibilmente, si aprono verso colline e ulivi. Da abile narratore, Magliani dimostra di tenere sempre sotto controllo il suo romanzo. Niente concessioni a misteri esoterici, fantomatici tesori o azioni spericolate. Il soldato Hans, catturato da quelle stesse colline, dai quei paesaggi mozzafiato che 45 anni prima gli avevano dato ancora più filo da torcere dei partigiani, riuscirà a portare a termine la sua missione. E, un po’ come avviene per il soldato di Mediterraneo innamorato della prostituta e per lei pronto a disertare, anche Hans finirà per sentirsi parte di un nuovo mondo: in cui vivere, facendosi dimenticare.
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Il collare di fuoco
Il grande Valerio Evangelisti ci porta alla scoperta della lotta per l'indipendenza del Messico in un romanzo appassionante. Nonostante la durezza delle lotte e degli intrighi descritti, il testo risulta delicato e affascinante per la completa mancanza di volgarità nel quale avrebbe potuto facilmente scadere e che l'autore ha abilmente evitato.
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Il banchiere dei poveri
Uno dei pochi premi Nobel per la pace dati a chi si occupa seriamente di risolvere il problema della povertà. Interessantissimo il capitolo dove spiega le difficoltà di esportare il suo modello nei paesi ricchi, in particolare in Europa, dove leggi e controlli impediscono di fatto di aiutare chi è economicamente in difficoltà. Una sberla in faccia all'opulento occidente e a chi si maschera dietro i falsi moralismi di aiutare il prossimo.
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La signora in verde
"Appena prese l'osso dalle mani della bimba, che era seduta per terra e lo masticava, si accorse che era umano." Con questo incipit travolgente, l'autore scrive un giallo appassionante, sentimentale, durissimo, da cui riuscirà a venire a capo lasciando l'amaro in bocca al lettore dove nell'ultima pagina, e solo nell'ultima pagina, scoprirà di essersi dimenticato di una cosa molto importante. Il più bel giallo che abbia mai letto in vita mia.
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I compagni sconosciuti
Adatto a chi si sente solo; c'è dentro la gioia di un attimo di compagnia, prima dell'addio definitivo. E' scritto in italiano dialettale e tedesco/polacco/russo.
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Prima di sparire
Ogni volta che leggo un libro di Covacich, somatizzo.
Prendiamo A PERDIFIATO (che è collegato a quest'ultimo appena uscito): romanzo del 2003, dalla vitalità abbagliante, una crisi coniugale raccontata attraverso la storia di una gara di maratona, passando per difficili adozioni, vicende di doping, l'ex-mezzo campione Dario Rensich che fa l'allenatore della squadra femminile di atletica ungherese, la giovane atleta Agotha...
Ricorderò sempre il dolore ai polpacci di quando divoravo le pagine finali, mentre i protagonisti partecipano alla massacrante maratona di Trieste: io me ne stavo comodamente stravaccato in poltrona ma una parte di me correva a perdifiato assieme a loro. Chiusi il libro in un bagno di sudore e scrissi subito un'email a Covacich che non conoscevo di persona, per raccontargli il mio entusiasmo per il suo romanzo.
Poi ho letto i racconti di ANOMALIE (che critici banalissimi e dai riflessi pavloviani incasellarono nella corrente del "cannibali"), la deliziosa guida TRIESTE SOTTOSOPRA, i romanzi L'AMORE CONTRO e FIONA, altri libri ancora e gli articoli (in particolare sull'Espresso) che fanno l'autopsia alla realtà senza ammazzarne il corpo.
E ora questo PRIMA DI SPARIRE.
Posso dire che ho pianto? E che un paio di volte mi veniva da vomitare (non per il disgusto di scene horror ma per l'intensità emotiva dei sentimenti)? E che a un certo punto ho dovuto fare esercizio di rilassamento?
E che alla fine avevo voglia di abbracciare Mauro, Anna e Susanna e dire a tutti e tre "vi voglio bene e spero con tutta l'anima che adesso vada meglio"?
Non mi metto a raccontare in dettaglio la storia: toglierei una parte del piacere della lettura. Solo qualche accenno: senza rete, senza il filtro dell'invenzione narrativa, Covacich racconta come distrusse il suo vero matrimonio, come conobbe Susanna di Roma e lasciò sua moglie Anna di Trieste.
E' difficile trovare un libro che con così tanta forza e onestà, così tanto atroce umorismo, così tanta elettricità, così tanta saggia demenza, così tanta disperata speranza, racconta l'amore.
Grande Mauro
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mmm...
Ho letto tutti i libri di guido cervo... devo dire che forse questo è il più noioso per le troppe descrizioni (sotto forma di lettere a casa da parte di un giovane della spedizione) e di una specie di "diario di bordo" del protagonista.... Il protagonista... chi è il protagonista? Ce ne sono troppi. Riconosco all'autore il fatto che essendo un'esplorazione totalmente inventata (anche se vero simile) non si sà qual'è il finale, come accade invece per "il centurione di Augusto" nel quale tutti già sanno come andrà la battaglia di teutoburgo. Considerando tutto "il centurione di Augusto" continua a rimanere il mio libro preferito... il più dinamico ed interesante scritto da Cervo. In alternativa all'Aquila sul Nilo, consiglio "L'Aquilifero" di M. Colombo
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Amara verità
Libro che si fa leggere tutto d'un fiato, perchè hai troppa curiosità, pensi "non ci potrà essere di peggio"... e invece scopri che il peggio c'è sempre. Saviano è molto bravo a scrivere di cronaca come se fosse un romanzo, ma purtroppo è tutto vero!
PS il voto basso che ho dato alla "piacevolezza" non è dovuto al libro, ma al fatto che quando lo finisci ti lascia l'amaro in bocca...e sono sicura che è quello che vuole l'autore.
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Per stomaci forti
L'autore, che vive sotto scorta e cambia spessissimo città da quando ha scritto il libro, non scrive ma racconta, in un impeccabile stile giornalistico, una realtà agghiacciante che vede coinvolti tutti i settori: dall'imprenditoria, all'alta moda, dalla politica agli Istituti di credito e giù in fondo sino al più basso livello della camorra organizzata. Camorra che oggi usa altri metodi, entra a testa alta nell'alta finanza e nell'organizzazione imprenditoriale, anche e soprattutto all'estero.
Per stomaci forti.
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La quinta vittima
Sarà che ne avevo sentito tanto parlare come " il caso" dell'anno nel suo genere, ma ne sono rimasta abbastanza delusa. Il titolo è già di per sè rivelatore, per cui ho trovato il finale abbastanza scontato.
Peccato perchè l'idea del serial Killer che attinge dal bacino di internet per trovare le vittime non era male!Comunque si lascia leggere ed ha uno stile molto fluido.
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Mah...
Fanatismo religioso allo stato puro. Ragionamenti incapaci di stare in piedi, stimoli intellettuali zero. Ridicolo rasentato più volte e sensazione d'imbarazzo dalla prima all'ultima pagina per una docente universitaria che ragiona come un bimbo delle elementari. Consigliato a chi voglia ulteriormente chiudere gli occhi di fronte alla realtà e rifugiarsi in un più rassicurante oscurantismo, prima dell'avvento di una nuova era di caccia alle streghe.
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"Eroi normali"
“Tutti i genitori hanno dei segreti per i loro figli. Ma pare che mio padre ne avesse di più”. Inizia così il libro di Turow, una storia di guerra e mistero, ma anche un romanzo di grande profondità, incentrato sul rapporto tra genitori e figli. Stewart Dubinsky scoprirà un memoriale scritto dal padre che, porterà alla luce verità sorprendenti su suo padre e il legame che lo univa ad un ufficiale non allineato (Martin), con un passato di combattente nella guerra civile spagnola; sul ruolo che aveva avuto in tutto questo Gita, l'affascinante e imprevedibile compagna di Martin. Verità che spiegano il silenzio osservato dal padre, ostinatamente, per una vita intera. Dalle pagine di questo memoriale emergono con violenza i terribili eventi della Seconda Guerra Mondiale e le scelte drammatiche che hanno sconvolto l'esistenza di tutti i protagonisti di questa vicenda, gli "eroi normali".
Buona lettura:)
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bello appassionante quanto amaro e tragico
Uno stile scorrevole, bel libro. Tratta argomenti così tragici e pieni di violenza con una certa oievità, tanto da permetterti di andare avanti ed accettare un finale a lieto fine...ma oltre il lieto fine quando sfogli l'ultima pagina ti rimane un peso sul petto ed un pensiero va a chi soffre ogni giorno certe atrocità. bello. ho visto anche il film, ben fatto anche se il libro come spesso accade è sempre superiore.
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Finale a sorpresa
E' un romanzo che coinvolgerebbe chiunque e che viene letto tutto d'un fiato. Appena si inizia non si riesce più a smettere di leggere. Il linguaggio è molto scorrevole e il racconto, estremamente coinvolgente, mette in evidenza aspetti e realtà della Russia comunista alle quali nessuno generalmente pensa. La storia riserva un finale a sorpresa stupefacente. Lo stile è perfetto. E' sicuramente il libro più bello che ho letto negli ultimi anni.
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Kafka non è un Giovane Holden
Kafka sulla Spiaggia è un libro sulla memoria e sul quesito universale e comune a tutti. La saggezza e l’equilibrio sono realmente fondati sulla memoria e sull’esperienza? Il ricordo di un dolore, di un amor perduto, di un abbandono sono fardelli insostenibili che influenzano la nostra vita condizionandone gli eventi o solo il bagaglio che ci permetterà di interpretare i percorsi del nostro futuro con serenità?
Tutto in questo romanzo richiama metaforicamente la memoria ... la biblioteca Komura, il bosco impenetrabile, il quadro senza attribuzione temporale; e tutto richiama la vita e la morte delle cose come dei ricordi. Kafka è un adolescente che cerca la sua “memoria” sia come futuro ancora da vivere sia come eredità di un passato doloroso; Nakata è un vecchio che ha perso la memoria; la Signora Saeki aspetta la morte come “liberazione” dalla memoria.
Chi leggerà questo libro non potrà esimersi dal fare lo stesso percorso nella propria.
Sarà un percorso doloroso; dietro di noi c’è il passato, la giovinezza, il piacere ma anche il dolore della perdita. Lo farete tutti questo viaggio – anche per la parte più onirica - e amerete Kafka sulla Spiaggia anche per questo.
Unica nota di demerito: troppe citazioni che se da una parte fungono da stimolo dall’altra risultano troppo virtuose e talvolta forzate.
Per chi fosse caduto nel tranello: Kafka non è un Giovane Holden.
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La stagione che cambia la vita
L'estate del 1975 segna lo spartiacque nella vita dei protagonisti e la loro vita dopo gli eventi straordinari di quella estate non sarà più la stessa. Francesco Carofiglio dipinge con maestria e delicatezza l'affresco dell'adolescenza, senza mai cadere nel tranello del sentimentalismo, ma raccontando la sofferenza, l'entusiasmo, la vita che cambia, la paura e il coraggio di quattro ragazzi in bilico sul mondo. E' forse il libro più bello degli ultimi anni. Fiore
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bellissimo
E' un libro bello che parla del dolore e del nulla che precede qualsiasi scelta importante. Come quella di separarsi dopo tanti anni. E dell'impossibilità di sfuggire ad un amore nuovo. Contiene una sorta di verità: solo un nuovo grande amore ne scaccia uno vecchio. L'amore stagiona.
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Primizie del deserto
Bellissimo libro, con alcune liriche mozzafiato come quella di pag. 49 (senza titolo) dedicata alla nonna, o Essere uomo, Urlo d'una mosca, le poesie di pag. 44,47 e 48 e ancora Rami del mare, quella che, secondo me, rappresenta il messaggio centrale di tutto il testo. Delicate e intense, queste poesie riappacificano il cuore con la natura, perchè aiutano a scoprire che nel deserto possono nascere delle primizie.
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Dracula
Il più bell'horror che abbia mai letto in vita mia. Un classico che non si smette mai di leggere e rileggere, in tutte le edizioni in cui è stato pubblicato, dalle più eleganti, alle più semplici.
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Shalimar il clown
La letteratura di Rushdie è complessa, non per niente è stata definita una letteratura anglo-indiana. Per ciascuno dei personaggi presentati, l'autore racconta tutta la loro storia, partendo dalle origini, appesantendo il romanzo ma, contemporaneamente, facendolo diventare il suo miglior pregio. E' come un Mahabaratha moderno, adatto a un pubblico maturo, consapevole che sta per leggere un libro importante.
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L'altra poesia di Hikmet
Nazim Hikmet è un poeta indubbiamente conosciuto in occidente per le sue stupende liriche d’amore, che ancor oggi mostrano una freschezza e una vitalità veramente sorprendenti.
Quello che meno si conosce di questo grande autore turco è il suo impegno rivoluzionario e la sua arte poetica connessa.
Ha provveduto alla bisogna Giacomo D’Angelo con un breve saggio (64 pagine) intitolato Cantastorie della rivoluzione, con il preciso fine di denunciare il silenzio critico calato in Italia su questo grande artista.
Ha così scritto una biografia dettagliata sulla sua vita avventurosa, sulla sua passione politica che lo costringerà all’esilio nella Russia sovietica, dove morirà per un attacco cardiaco.
In questa sorta di rivisitazione viene evidenziato il carattere politico dell’altra sua poesia, tanto per intenderci quella che da noi è meno nota.
La vicenda storica di Hikmet viene poi collegata a quelle di altri due poeti che ebbero rapporti con lui in qualità di traduttori e che stranamente sembrano essere caduti nell’oblio, Joyce Lussu e Velso Mucci.
E’ una lettura agevole, anche se devo dire che D’Angelo ha calcato un po’ troppo la mano sullo spirito rivoluzionario, quasi a sostenere la tesi che la trascuratezza dei critici e degli editori per la poesia di Hikmet debba dipendere esclusivamente dal suo credo marxista e dalla sua indole sovversiva, circostanza di cui francamente dubito; infatti, non si spiegherebbe allora perché continuino a essere pubblicate le sue splendide liriche d’amore.
D’altra parte il compito dei critici è quello di approfondire quei lavori del passato che abbiano ancora una valenza e francamente quelle poche poesie di impegno politico e rivoluzionario che ho avuto l’opportunità di leggere mi sono sembrate anacronistiche, perfino anomale come forma di protesta, del tutto superate dai tempi e dagli eventi.
Al contrario le sue liriche d’amore restano tuttora valide, vitali, riescono ancora a incantare e a stupire.
Nel complesso, comunque, il saggio ha il particolare pregio di svelarci aspetti della vita e dell’arte di Hikmet senz’altro poco noti e pertanto rappresenta un utile elemento di integrazione cognitiva per chiunque si appresti a esaminare con spirito critico la sua opera poetica.
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Affabulatore visionario
Il titolo di questo libro è curioso e smodatamente lungo, ma alla fine resta impresso nella memoria, quasi come una filastrocca. Così come, resteranno impressi, alcuni personaggi indimenticabili: Carmine Addario, il tycoon lucano Graziantonio Dell’Arco e l'americanissima Chatryn Wally Triny.
Cappelli è un affabulatore visionario, capace di aprire epicicli narrativi, fondendo e confondendo le storie, aggiungendo e sottraendo personaggi in maniera vorticosa. Ma nulla è lasciato al caso, tutti gli intrecci narrativi saranno condotti in porto in modo mirabile. Il romanzo si avvale di una scrittura colta e perfida (spesso inframmezzata da frasi in dialetto), il tutto pervaso da genialità creativa e una buona dose di ironia.
Altrettanto belli, dello stesso autore, sono i romanzi "Parenti lontani" e "Il primo". Buona lettura:)
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Il canto dell'anima
Più di una volta mi sono chiesto se Antonio Messina sia più narratore o poeta, o se sia entrambi. Mi si potrà dire che queste capacità di verseggiare o di scrivere in prosa non sono poi così infrequenti, perché la storia della letteratura presenta non pochi nomi, come per esempio Gabriele D’Annunzio e Hermann Hesse.
Tuttavia, nel caso dell’autore padovano, ma di origini siciliane, la questione è un po’ diversa e più analizzo i fatti e le risultanze, più prendo in considerazione l’ipotesi che Antonio Messina sia un caso a sé, perché come narratore è in bilico sullo spartiacque fra poesia e prosa, ma soprattutto è un uomo che conduce la propria vita animato da quel sacro furore che è proprio della poesia.
Costretto suo malgrado a coesistere con un mondo a cui non appartiene, a verificare ogni giorno le lacerazioni e i contrasti di un’umanità che sembra implodere sempre di più, Messina si rifugia nel suo io fatto di poesia, di sogni in cui l’essenza di ognuno di noi, lo spirito, è il dominus della situazione, una vita idealizzata, ma teoricamente possibile.
Non a caso ha così scritto prima La memoria dell’acqua, dove è possente l’anelito a un’esistenza a misura di essere umano, raggiungibile solo con la presenza, in perfetto equilibrio, di istinto, armonia e sogno. Questo concetto non è poi avversato o ribaltato nel successivo Le vele di Astrabat, ma semmai ha un altro sviluppo in cui l’avversione per l’egoismo, fonte di ogni male, traspare chiaramente fra le righe.
E ora, a rinsaldare la mia opinione, c’è questa silloge, il cui titolo, Dissolvenze, già appare foriero del contenuto.
Ma prima di parlare dell’ultima fatica di Messina mi corre l’obbligo di un cenno alla copertina, un’autentica opera d’arte.
Quel volto di donna in estasiata attesa, incorniciato da un copricapo istoriato, una sorta di elmo aggraziato, benché protettivo, mi fa sovvenire i personaggi femminili dei suoi libri di narrativa. E’ un essere non reale, una proiezione del sogno, il simbolo della creatività di Antonio Messina.
E “Dissolvenze”, una silloge di poesie d’amore, benché permeata da una forte passionalità, non tradisce una visione fantastica con un’idealizzazione dell’amore.
Prendimi in un volo basso,
con le mani protese,
nel giardino degli angeli,
tra foglie morte,
nell’oscillar di un vento arcano.
…..
Nell’attrazione si sviluppa forte e prevalente l’aspetto onirico, non è una dichiarazione d’amore, ma un anelito che si sviluppa più che dall’istinto materiale dal flusso cerebrale del sogno.
Tutto assume contorni irreali a disegnare un sentimento che va sempre oltre la ragione.
Non è che il mondo presente in queste liriche sia irreale, ma è una visione dello stesso da parte dell’autore che lo contempla a suo gradimento, un riflesso della realtà all’interno del suo animo come lui vorrebbe che fosse.
Si ripresenta quindi lo stesso filo conduttore della sua narrativa, una visione del mondo ideale, in cui i sentimenti, le emozioni, le commozioni hanno la più alta dignità e di fatto costituiscono i rapporti fra gli uomini, oggi invece freddi, spesso addirittura mancanti.
E’ magia la vita,
un sorriso svelato,
la sera che arriva,
due mani protese nel vento,
…….
E’ magia sì quel delineare un sentimento con immagini che sembrano sospese nel vuoto e nel tempo, in una costruzione dove il reale (la sera che arriva) si coniuga perfettamente con la visione di due mani che si librano nell’aria.
In Messina c’è tuttavia la dolorosa malinconia per un mondo così diverso dal suo, in cui l’uomo vaga come uno spettro, carnefice e vittima di se stesso.
…….
Hanno ucciso l’azzurro,
le notti di marzo,
il canto e la poesia,
sussurri e chiarori in un campo di tenebra.
Non è un urlo, non è un monito, ma è il rimpianto per dover esistere, per sopravvivere, in una dimensione irreale, per essere fisicamente presente in quel mondo a cui non gli è tuttavia concesso di partecipare con l’animo di chi crede ancora nel valore supremo dei sentimenti.
Tuttavia, non è una vita felice per chi deve rifugiarsi in un mondo tutto suo, perché è sempre presente il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere per tutta l’umanità e invece non è stato.
Luce in agonia
Lascerò al vento l’ultimo respiro
fluttuare sospeso fra stelle pendule,
che a celarsi corrono,
nel buio dipinte.
Volerà inerme l’ultimo grido d’amore,
nebbia dissolta in uno sbuffo d’argento,
nei cieli tersi s’acquieterà,
in silenzi infiniti.
Sono stanchi ormai gli ultimi occhi del cielo,
tenebra avanza, raggira le ultime case,
alto nel cielo l’ultimo bagliore divampa,
ma è stella lontana, luce in agonia.
E’ un commiato da poeta, un messaggio al presente perché abbia un futuro, l’ultimo sommesso grido di chi ha avuto due vite parallele.
Sembra già di udirlo a chi ha orecchie per ascoltare col cuore, a chi è disposto a operare per un mondo migliore.
Silloge indubbiamente ampia, dove le parole s’incastonano come gemme nell’albero della creatività, Dissolvenze è molto di più di una raccolta di poesie d’amore, è il canto dell’anima di Antonio Messina.
Indicazioni utili
Le vele di Astrabat, di Antonio Messina.

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I confini del tempo
Ogni volta che apro un libro di poesia è necessario che dimentichi che ne scrivo anch’io; ciò per spogliarmi di quella naturale tentazione di fare un raffronto, dal quale inconsciamente uscirei inevitabilmente vincitore.
Leggere le poesie di un altro autore deve prescindere dal fatto che debba sussistere una valutazione con la propria produzione, ci si deve spogliare della veste di poeta per accedere umilmente all’arte altrui, consapevoli che in tal modo ci si può immergere nelle emozioni e nei sentimenti che vengono espressi in versi.
Ciò premesso, ho per le mani una raccolta di sillogi di Pina Vicario dal titolo I confini del tempo; conosco Pina, non personalmente, ma come autrice, tanto che alcune - in verità poche - poesie fanno bella mostra sul mio sito Arteinsieme. Ha un suo stile personale che porta a un fluire dei versi quasi naturale, con la caratteristica di una immediatezza che consente di comprendere abbastanza facilmente il senso dell’opera.
In questa raccolta sono presenti sette sillogi tematiche oltre a un’ottava assai piccola (tre poesie non accomunate al punto che giustamente al contenitore è stato dato come titolo VARIA ET FRAGMENTA).
Il mondo poetico di Pina spazia quindi fra gli argomenti più disparati, in una sorta di impressioni che ha voluto manifestare per sé e per gli altri.
Il volume inizia con Le metamorfosi, con largo riferimento a quelle che avvengono in natura (semplicemente stupenda quella della foglia), ma anche a quelle dell’animo (Metamorfosi di un’idea). Si passa poi all’Album delle Brume, dove la natura e l’introspettiva risultano ancora sovrane.
Più raccolta, in sé, è la terza silloge (L’Essere) in cui la riflessione intima, pudica, si espande su temi meno terreni e più riferibili alla filosofia.
Nella quarta, Le Oscurità della Storia, riscontro una certa inclinazione a fatti e temi attuali, ovviamente visti poeticamente, come Nel Golfo Persico o nella struggente Morte di un bambino in guerra (Abbandono la mia vita/su questa terra contesa e vilipesa/dai potenti alchimisti/del fuoco!/…), oppure c’è una fonte di riflessione che porta a Il Tempo nella Storia (E’ confinato/nei forzieri ingannevoli/della memoria/il tempo della storia./…).
La quinta silloge si intitola I giorni e qui domina il tempo come in Ciclo vitale (Beffarda / l’aurora / sfuggì alla notte / amalgamando / il suo sfumato rosa / col chiarore del giorno. / Ma la notte / - in agguato - / righermì / al tramonto / i suoi colori.), dove nascita e rinascita del giorno sono dipinte con un cromatismo soffuso e dove le parole diventano immagini che parlano. C’è poi la poesia che dà il titolo all’intera raccolta, un testo breve, sintetico, ma un flash improvviso che squarcia il silenzio di una vita proprio ponendone i limiti ( La mia frontiera se / o TEMPO sconfinato! - / Mi disserri gli spazi / e li rinchiudi / passo su passo / respiro su respiro. ).
La sesta silloge si intitola Dediche e inizia con un’autentica perla, Per antichi sentieri (Pianeti azzurri / scaglie d’infinito / nuvole vaghe / in cerca di una zolla / -ruvida- / cui affidare il pianto / l’abituale pianto / dei sentieri antichi. /…), ma anche le altre poesie non sono da meno e i destinatari delle dediche o sono amici e conoscenti, oppure ignote, ma emblematiche figure, come il disertore sconosciuto de L’ultima visione (Il drappello arrancava / per balze, rupi / e viottoli d’ortiche. /…).
La settima fatica è un atto d’amore e d’onore ai Paesi, fra i quali non poteva mancare Firenze, una lirica dolente sul disfacimento di una città in un tempo non così lontano culla d’arte e di cultura. Ma un atto d’amore è anche per un luogo meno blasonato, ma ancora puro e intatto santuario della natura, a quella Marina di Cecina i cui i primi due versi definiscono in modo assoluto e completo il motivo della sua bellezza (Un lembo di spiaggia / vuota. /…).
I confini del tempo è un libro da cui la poesia prorompe in tutte le sue sfaccettature, è una raccolta in cui Pina Vicario ha profuso il suo impegno poetico relazionandosi continuamente con il suo io e i fatti, gli aspetti, le problematiche del mondo reale che interagisce con lei.
Emerge così la figura di una poetessa sensibile agli aspetti essenziali della vita e che senza tante perifrasi o arrampicate sugli specchi riesce a ritrasmettere ciò che, rielaborato, è stato fatto proprio dalla sua anima.
Non c’è freddezza in queste poesie, c’è invece tanto sentimento, tanta passione, tanto sdegno anche; c’è una persona viva, un essere che s’apre al mondo per dialogare, per trasmettere senza clamore la forza del suo sentire.
Il libro mi è piaciuto molto e perciò, più che consigliarne la lettura, la raccomando vivamente.
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L'anima e il suo destino
Difficile condensare in poche righe il senso e le emozioni di questo libro. Come sottolinea il card. Martini nell'introduzione del testo, anche io "penso di sentire parecchie discordanze su quanto tu concludi in diversi punti", ma il ragionamento onesto e sincero che l'autore pone sulle questioni affrontate creano automaticamente curiosità e discussione - e, in fondo, il bello dello scoprire Dio è proprio questo: essere curiosi e discutere su quell'amore che tanto desideriamo e che la Chiesa così confusamente cerca di trasmetterci. C'è una frase che, secondo me, riassume benissimo l'emozione che ho provato leggendo questo libro: "Ciò che realmente guida la lettura della Bibbia è la teologia che sta nella testa dell'interprete. Alla Bibbia si richiamano tutti: ortodossi, luterani, calvinisti, anglicani, valdesi, testimoni di Geova, battisti, avventisti del settimo giorno, metodisti, cattolici e molti altri ancora, senza che essa sia in grado di produrre unità. E così è stato sempre nella storia della Chiesa, dove non è sorta eresia senza i suoi solidi fondamenti biblici." (pag. 250)
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Stile leggero e soave
Il romanzo si svolge in un arco temporale compreso tra gli anni Cinquanta-Settanta. L'autore dipana le piccolezze della vita di provincia di operai e notabili, della piccola comunità di Bellano. Nel libro non è importante solo la descrizione dei luoghi, ma anche (e soprattutto) l'indagine psicologica dei personaggi, la capacità di metterne in evidenza vizi e virtù con un sguardo ironico e sornione, spregiudicato ma mai irrispettoso. Vitali riesce a descrivere con soavità e stile leggero anche argomenti "scabrosi", come l'omicidio, l'adulterio o l'ossessione amorosa, senza mai cedere a compiacimenti volgari. Buona lettura:)
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Il Vangelo di Tommaso
Esistono tante versioni dei Vangeli apocrifi, ed è difficile districarsi fra tutta l'offerta commerciale di opere qualitativamente scadenti e religiosamente nulle.
In passato avevo letto un'altra versione del Vangelo di Tommaso scritta e tradotta da un'archeologo - un libro terribile, scandaloso, fatto da chi di religione non capisce niente e si limita a fare una traduzione letterale dall'originale copto, invece di tradurre il senso della lingua e del testo.
Invece, questo volume della Appuntidiviaggio, è stato tradotto e scritto da un monaco ortodosso, studioso di testi apocrifi - quindi una persona competente, che restituisce dignità sia al testo originale copto, sia alla figura di Gesù come Figlio di Dio. Ogni Loghion è commentato da Jean-Yves Leloup in maniera superlativa, oserei dire mistica, per aiutare anche il lettore più profano ad avvicinarsi al senso di unità e di amore che proclama questo vangelo.
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Grazie
Libriccino ironico sulle storture/inutilità dei premi letterari. E' il lungo monologo di un premiato che diventa il premio stesso del Premio al quale è stato invitato. Irriverente, e perciò triste, racconto sulla stupidità dei premi letterari inventati per premiare gli amici e i conoscenti, che terminano la loro vita quando non ci sono più parenti, amici e conoscenti da premiare.
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Commento al Magnificat
E' un libro adatto a chi vuole conoscere personalmente il pensiero di Lutero su Maria, pensiero che non corrisponde all'attuale dottrina luterana, formulata dopo la morte del grande teologo riformatore.
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Secondo Qohelet
L'on. Violante riprende lo stile del libro sapienziale biblico e con lo stesso spirito lamentoso e arrabbiato di Qohelet nei confronti di Dio, va alla ricerca e chiede una fede più matura, libera da imposizioni di regole e vincoli che incatenano la coscienza alla cecità intellettuale nei confronti dell'Amore. E' un libro che reclama l'Amore di Dio di fronte a tutte le brutture che possono esserci nel mondo.
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Segnata dal destino
Questo, dopo La Magìa del Fuoco e L’eredità di Venanzio, è il terzo romanzo che leggo di questo bravo autore pesarese.
Gli uomini di Bluma ha un’ambientazione legata sempre alla terra, comune denominatore dei lavori di Rocchi, e l’epoca della vicenda è quella che va dagli ultimi mesi della seconda guerra mondiale agli anni del boom economico.
Come caratteristica dell’autore il romanzo si compone di due parti, una prima che costituisce di fatto il nucleo principale dell’intera storia e l’altra che è un suo sviluppo in epoca successiva.
Bluma è una giovane che cresce in un casolare, figlia di un povero padre malato di tisi, che è una tara familiare, e di una donna quasi misteriosa, un’armena che comprenderemo come sia capitata nel nostro paese.
Secondo me, questa prima parte è veramente splendida, ricca di inventiva, di colpi di scena, con una tensione anche da giallo (e questa volta ci scappano veramente i morti ammazzati), con personaggi disegnati con la consueta abilità che è nel dna letterario dell’autore.
Troviamo ritmo, colpi di scena, l’amore viscerale per la terra, insomma pagine che non solo sono piacevoli da leggere, ma che portano anche significati di notevole spessore, in cui la figura femminile, rappresentata da Lulugi, madre di Bluma, assurge a simbolo della fierezza delle donne che hanno subito e subiscono i soprusi degli uomini.
La seconda parte, che parla soprattutto di Bluma adulta, è invece più convenzionale, dai toni drammatici spesso accesi che, senza togliere nulla alla gradevolezza dell’opera, spengono però un po’ l’originalità dell’intera opera; soprattutto, si avverte un salto nell’evoluzione della trama non attento e curato come nelle due opere che ho citato sopra.
Resta comunque un romanzo di ottimo livello, piacevole da leggere e anche avvincente.
Per quanto ovvio, lo consiglio caldamente.
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L'eredità di Venanzio, di Valentino Rocchi.
Psicologia e salute
Il libro di Carlo A. Clerici e Chiara Ripamonti ha sicuramente il pregio di affrontare trasversalmente le varie sfaccettature dell’interfaccia della relazione medico - paziente.
Nello scorrere delle pagine ci si fa un quadro quanto mai esaustivo, anche da un punto di vista storico, di come il paziente si rapporti e si confronti con la malattia, in genere, e con la propria patologia, in particolare.
Gli autori si curano di non trascurare gli effetti che la patologia e la sua terapia hanno, non solo nei pazienti, ma anche, indirettamente, sui familiari. Il paziente vive una vita di relazioni affettive e sociali che necessariamente saranno colpite dall’entrata in scena della malattia, con tutti i suoi riscontri fisiopatologici e psicologici.
Nella trattazione si dedica, inoltre, ampio spazio al trattamento dei pazienti minorenni e alla cura dell’adolescente, nonché alla costruzione dell’alleanza terapeutica. Si fa molta attenzione al ruolo della famiglia, vista come utilissima risorsa, qualora si intraprenda un percorso terapeutico che vede il paziente e i familiari co-responsabili insieme all’equipe del progetto di cura e del suo processo.
A cappello, si dedica una cura particolare al vissuto dell’operatore e al ruolo della formazione, fino a pochi anni fa molto lacunosa, rispetto alle dinamiche di cura con pazienti gravi e con quelli capaci di poca compliance. L’operatore deve spesso scontrarsi, specialmente con pazienti gravi, con l’ineluttabilità della morte che mette a dura prova l’onnipotenza che sottende ad alcune scelte di professione con forti spinte altruistiche.
Si analizzano in dettaglio il ruolo dell’individualità dell’operatore, sia esso medico o infermiere, e quello dell’ambiente lavorativo. In un’ottica di intervento, ma anche di prevenzione. Un dettagliato e ben pensato indice permette la consultazione celere degli argomenti di interesse; un’accurata e ricca bibliografia fornisce utili spunti riflessivi e di lettura. La completezza ricercata e la chiarezza di stesura, rendono questo manuale di agile lettura prezioso per gli addetti ai lavori, ma anche per i giovani studenti, che si affacciano a una professione di aiuto.
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un cavaliere e il suo re
Ancora una volta Cornwell è riuscito a farci vivere un avventura bellissima , la storia di Hutred è avvincente , anche se forse nel primo libro (l'ultimo re )è stato più descrittivo lo consiglio vivamente perchè è una lettura molto scorrevole dove si alternano momenti di tensione per le battaglie a momenti di ironia ,bravo Cornwell ,ora non ci resta che aspettare il terzo libro della storia dei Sassoni e speriamo che ce lo regali presto !
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Commento
Le prime pagine sono piacevoli al limite del divertente. Il sorriso resta per lunghi tratti e la piacevolezza resta anche nella lettura di piccole "vivisezioni" di attimi, emozioni, e situazioni viste con il continuo contrasto tra le culture occidentali e giapponese. Molto interessante la rappresentazione dell'amore Koj e del ventaglio di emozioni che compone la relazione amorosa. Un libro da leggere e dal quale nasce qualche buono spunto di profonda riflessione sui sentimenti, e la maniera di viverli interpretandoli in maniera diversa a seconda delle culture, pur nella leggerezza del sorriso che lo scritto lascia.
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La ricerca di un equilibrio
Il cerchio imperfetto è un romanzo dolente, intriso dello stesso intenso angosciante dolore di cui è preda la protagonista, Francesca, pittrice di grande talento, famosa per i suoi ritratti che riescono mostrare l’intima essenza dei soggetti.
Questa donna, ancor giovane e piacente, cerca di cancellare il ricordo di un’infanzia infelice e, soprattutto, la disgrazia di avere un figlio ricoverato in un istituto specializzato, perché autistico e con sintomi schizofrenici.
La sua famiglia - quella che era riuscita a costruire con il matrimonio - non esiste più, perché il marito, uno scienziato, non sopportando più il carico di dolore per un figlio irrimediabilmente perso, è andato a vivere negli Stati Uniti, pur mantenendo saltuari contatti con la moglie.
L’intima essenza di Francesca è estremamente instabile e la donna è soggetta ad attacchi di panico, perché per lei il cerchio della vita è come se si fosse spezzato, senza prospettive, senza futuro, ma anche senza presente e con un passato che vorrebbe dimenticare.
Gli unici autentici contatti con il mondo che la circonda sono rappresentati dalle sue amiche, a cui tuttavia non ha mai confessato il motivo del suo dolore; però, anche loro portano dentro altre indicibili sofferenze.
Si potrebbero definire più che amiche compagne di sventura, tutte come lei alla continua ricerca di un equilibrio che le porti ad accettare la loro esistenza, condizione indispensabile per ricucire lo strappo nel cerchio della vita.
Sono relazioni di tacita connivenza con la rabbia, la fragilità, la paura, ma anche con il coraggio di individui solo all’apparenza nella normalità, ma che hanno scavato un solco nella vita, dentro il quale si dibattono per cercare di uscirne.
C’è una reciproca tolleranza, un rispetto fra persone consapevoli del loro stato, memori che il dolore dell’una è anche quello dell’altra, pur se con motivi diversi.
L’abilità di Sabrina Campolongo nel delineare l’aspetto psicologico mi ha veramente sorpreso, perché riesce a far entrare il lettore gradualmente nella mente dei suoi protagonisti. E’ un lavoro di cesello senza forzature e pagina dopo pagina vi sembrerà di essere con Francesca, avrete l’impressione di scorgere nei suoi occhi il suo muto dolore, sarete i suoi amici tanto che soffrirete con lei e nel finale assaporerete lo squarcio di sole nel buio che fino ad allora aveva tutto avvolto.
No, non temete: l’autrice non è caduta nell’errore di raccontarvi una vicenda di così intensa sofferenza per poi propinarvi un lieto finale del tipo “ e tutti vissero felici e contenti”. C’è una schiarita , ma i fatti restano, quello che cambia è la consapevolezza che esistono, è la speranza che nonostante tutto si possa ancora avere una vita. Il cerchio resta imperfetto, ma nello strappo che l’ha spezzato i capi si sono riavvicinati.
E così posso chiudere il libro pensando a Francesca con un sorriso, una creatura fragile che sembrava persa e che ora si riaffaccia alla vita.
E’ un libro molto bello, che lascia una serena malinconia, e perciò non posso che raccomandarne vivamente la lettura.
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L'ho letto così
La Solitudine dei numeri primi
Paolo Giordano
Suscita antipatia da subito l’ingombrante figura del padre di Alice, la protagonista del racconto; l’uomo cerca nella figlia il riscatto delle proprie frustrazioni, sottoponendola, ancora bambina, ad un estenuante allenamento sciistico tanto intenso quanto sgradito alla piccola che rimane vittima di un incidente di cui porterà i segni a vita.
L’oppressivo genitore mi ha fatto tornare in mente un episodio visto recentemente in televisione, di un padre, allenatore della propria figlia nuotatrice, che ha tentato di malmenarla al termine di una deludente prestazione sportiva. Il tutto davanti a migliaia di attoniti spettatori che seguivano i campionati di nuoto sul posto e in televisione.
Proseguendo nella lettura conosciamo l’altro protagonista, Mattia, vittima dell’incapacità dei genitori di coalizzarsi nell’affrontare i problemi quando piombano con tutta la loro forza devastante sulla normale quotidianità di una vita tranquillamente preordinata.
Dimentichi dell’esigenza di consentire, comunque, al bambino una sana crescita, i genitori di Mattia lo caricano di responsabilità sovradimensionate alla maturità della sua fase evolutiva, tanto da farlo rimanere schiacciato sotto il peso delle conseguenze di un errore di valutazione tipico della sua età.
La singolarità di queste esperienze pregresse renderà i due protagonisti simili ai numeri primi gemelli, finendo per creare problemi anche ai numeri naturali che hanno la malaugurata sorte di trovarsi inseriti tra di essi, rimanendo vittime delle loro inconsce, sottili perversioni.
Nell’evoluzione delle rispettive esistenze i due protagonisti devono relazionarsi, loro malgrado, con altri personaggi ben caratterizzati : Denis, l’amico omosessuale; Viola, bella e impossibile; la falange compatta e spietata delle quattro compagne; Soledad, la governante complice; i genitori, ansiogeni e ansiosi; e poi ancora Nadia, innamorata di Mattia, e Fabio che sposerà Alice .
Il bagaglio di problemi che tutti loro portano in dotazione è tipico del mondo
attuale: anoressia, bulimia, omosessualità, bullismo, solitudine. Problemi che affondano le radici nel fertile humus delle conflittualità famigliari irrisolte, dei lutti non elaborati, delle aspettative disattese.
L’incapacità di imprimere una svolta positiva al loro percorso di vita deriva dall’anaffettività di Mattia e dall’insicurezza di Alice, e dal loro imprevedibile agire, governato dai fantasmi del traumatico vissuto degli anni giovanili.
Sorprendente il finale che sembra suggerito dalla maturità esperenziale di una persona adulta e non da un giovane scrittore; costituisce il giusto approdo dei protagonisti ad una indipendenza fisica ed emotiva a cui dovrebbero tendere tutti gli esseri umani, ma che si conquista solo dopo aver percorso gli itinerari delle assurdità e delle contraddizioni di questo mondo.
Le ultime quattro parole a chiusura del racconto dissipano quel sottile velo di tristezza che ha avvolto la storia, svelando una Alice ormai affrancata dal dolore, che si appresta ad affrontare la vita con un approccio ottimista e con una piena consapevolezza di sé.
Narrato con scrittura secca, priva di sbavature, il racconto sembra risentire della formazione scientifica del giovane scrittore, laureato in fisica, che spesso coglie spunti per evidenziare il suo bagaglio culturale. Lo fa nel titolare i capitoli (Principio di Archimede, Messa a fuoco…), nel riportare le osservazioni di Mattia sempre attente al dettaglio fisico-matematico: tensione superficiale del liquido, direzione degli assi cartesiani, complicate sequenze numeriche. Viene analizzata con freddezza anche una magica aurora sul Mare del Nord, studiata nelle componenti date dalle spinte centrifughe e centripete, dalle forze sbilanciate, dalla meccanica.
Coerente e consequenziale, il racconto viaggia sui binari della razionalità senza deragliare nel becero sentimentalismo.
Tecnicamente ineccepibile nella costruzione della storia e dei personaggi che vengono sezionati con il distacco emotivo di un anatomopatologo la narrazione risente, comunque, dell’assenza di quel pathos che coinvolge il lettore impegnandolo emotivamente.
Decisamente apprezzabile che l’autore abbia ignorato l’inflazionata consuetudine giovanilistica di far ricorso a testi o titoli di canzoni per esprimere sensazioni o sentimenti. Si nota, però, qualche “ Uaooo…” di troppo; giusto per ricordarci che a scrivere è un giovane di 26 anni, laureato in fisica, con dottorato di ricerca, al suo primo romanzo.
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LO SENTO QUASI MIO
Concordo con chi prima di me ha detto che in realtà tutti alla fine ci aspettiamo qualcosa..
Questo libro mi ha coinvolta a tal punto da sentirlo quasi mio, da provare fastidio nel leggere i commenti negativi ed esso rivolti.
Adoro il modo in cui è scritto, senza badar molto alla forma, bensì al contenuto.
Ci sono 3 frasi che custodirò nel cuore.
Frasi che appena lette mi hanno lasciata a bocca aperta.
Ma le parole non bastano per descriverlo, nn gli danno il giusto valore: leggetelo.
Bello, davvero bello.
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un libro da non perdere
Per la prima volta pubblicato in Italia un saggio così completo sull'arte contemporanea. Altrove, in Europa, il dibattito sull'arte contemporanea era già in corso da anni. Ora, con questo saggio qualcosa inizia a muoversi anche nel nostro Paese. Vivamente consigliato a chi vuole comprendere l'arte e tutte le forme espressive del nostro tempo: pubblicità, moda, design.... E' incredibile come l'autore riesca ad abbracciare tutta la gamma dei fenomeni che caratterizzano l'epoca contemporanea. Anche il turismo è un fenomeno "estetico" che spiega qualcosa dell'arte contemporanea. La pubblicità diventa sempre più arte, e l'arte si avvicina sempre di più alla pubblicità. L'arte contemporanea coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita, come un profumo che invade tutto il nostro mondo, come un fumo e un gas (l'arte allo stato gassoso). L'arte è ovunque, fino a non essere da nessuna parte. Ecco il trionfo dell'estetica: l'esigenza di adeguarsi alla bellezza a tutti i costi. E in questo mondo indifferenziato, la moda è l'unica a scandire il tempo. Buona lettura. Dopo questo libro sarete molto più ricchi!!!
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