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Bonbon Robespierre
 
Bonbon Robespierre 2010-04-08 16:44:32 Aronne
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Opinione inserita da Aronne    08 Aprile, 2010

Una chiccheria

Sergio Luzzatto è uno dei più brillanti storici Italiani. Insegna Storia Moderna all’Università di Torino. Poco noto al grandissimo pubblico, ha conosciuto una certa notorietà con il suo libro su Padre Pio. Nel 2009 ha pubblicato Bonbon Robespierre. Un libro che è una chiccheria. Per dotti e raffinati intellettuali in cerca di quei pezzi di storia che sono rimasti scuciti dal punto croce della storiografia ufficiale. Pezzi storia che sono però incistati come la placenta all’utero che genera il susseguirsi di eventi che fanno il passato e la memoria dei popoli.
Bonbon è un vezzeggiativo. Così gli amici solevano chiamare Augustine Robespierre, fratello minore del più famoso Maximilien Robespierre. L’Incorruttibile, il capo indiscusso del Termidoro del Luglio 1794 a Parigi. Le vicende del giovane Robespierre non sono meno importanti di quelle del fratello più grande e potente. E, anzi, permettono di leggere la storia del periodo del Terrore sotto una prospettiva diversa. Da una sponda equidistante.
La Rivoluzione Francese, che può essere considerata il primo evento storico e politico di rilevanza globale, è stata raccontata attraverso le storie dei Marat, dei Danton, dei Robespierre (Maximilien). Come tutti le rivoluzioni, fu un periodo storico dominato dal caos e da una grande confusione sociale e politica. Venne versato tanto sangue. Degli aristocratici appartenenti all’ancien regime, ma anche della gente comune, dei borghesi, dei contadini, dei poveri. Di quel terzo stato, dei cui bisogni la Rivoluzione diceva di farsi interprete. Si versò anche sangue rivoluzionario. Il sangue, purtroppo, non ha distinzione cromatica. E dietro l’indistinguibilità del sangue, si nascosero i sanguinari esponenti dell’estabilishment rivoluzionario che, non appena furono padroni del potere, si arrogarono il diritto di vita e di morte su altri uomini. Senza garanzie, senza processi. Lasciando che fosse assente lo stato di diritto. Più ingiusti degli ingiusti che rovesciarono.
Augustine Robespierre fu un rivoluzionario poco burocratico. Rivoluzionario “dal basso”. Un giovane terrorista, uno che oggi in Italia sarebbe o direttore di qualche giornale o quanto meno editorialista. Un viveur che al dovere, all’applicazione totalizzante del Termidoro preferiva l’anticonformismo sovversivo, libertario, dissacratore e libertino. Rimase fuori, anche se non sempre per scelta attiva, dal furore cieco che pervase i leader della Convenzione, fu il più Girondino dei Montagnardi. Lontano quel tanto che bastava per comprendere che solo fermando la Rivoluzione si poteva salvarla. Un po’ come Romolo Augusto, l’ultimo imperatore romano dell’Impero Romano d’Occidente. Quelle figure le cui gesta sono quelle che non sono state fatte. Il cui merito principale consiste nel comprendere che la fase storica di cui sono stati protagonisti è al termine. E che per salvaguardarne il valore, la forza innovatrice e progressista, il posto nella memoria storica dei posteri è necessario contribuirne alla fine.
Robespierre Jeune si occupò del presidio delle Alpes Maritimes e del dipartimento di Haute-Saone. Qui, alla fine del 1794, dopo il terribile Termidoro, non si contarono che una manciata di morti ghigliottinati. Lo stesso non si poté dire di altri dipartimenti. Prendete la zona di Calais, nell’Artois, proprio nei pressi Arres città natale dei fratelli Robespierre. Qui imperversava quel prete spretato di Lebon. Un sanguinario notabile della rivoluzione. Uno dei più spietati. Nei suoi dipartimenti si contarono centinaia e centinaia di ghigliottinati. Dagli aristocratici ai contadini. Tutti potevano finire indiscriminatamente senza testa. Indiscriminatamente. A nulla valevano i tentativi di frenare tale furore assassino negli anni 1793 e 1794.
A nulla valsero le lettere di Buissart a Robespierre l’Incorruttibile che fingeva di non sapere, che sceglieva di non scegliere. Facendo il gioco dei suoi sanguinari luogotenenti che, lontani da Parigi, seminavano il terrore nelle periferie e nelle campagne. La ghigliottina, come il tendone di un circo, seguiva questi luogotenenti nei loro tour itineranti che seminavano morti lasciando una scia di sangue raffermo. Una nuvola nera sulla luce dei diritti e delle libertà che dalla rivoluzione, invece, ci si attendeva.
Quella scia di sangue raffermo non risparmiò neanche i due fratelli Robespierre che morirono assieme il 28 Luglio del 1794. La Rivoluzione ancora una volta aveva fatto perdere la testa anche ai suoi fautori.

Il libro che nelle librerie potete trovare sotto le biografie, terribile scelta libraria, non è per nulla una soporifera biografia. E’ un libro di storia scritto con molta raffinatezza. Racconta della vita di Augustine senza mai dedicare più di qualche capoverso all’enunciazione di fatti e/o eventi. Un quadro storico, politico e sociale che si sbozza a strati attraverso un discorso che malgrado i tanti annedoti, fatti e riferimenti, si mantiene organico ed unitario. Lo stile è accessibile, umile, al pari della storia che racconta. Ma al tempo stesso è chiccoso, sicuro e consapevole di dire e di ragionare su fatti che proprio nel loro essere secondari trovano la loro forza, la loro originalità, la loro capacità di dire qualcosa al presente. Un presente in cui si parla di clima di odio e di violenza, adoperando espressioni che sono storicamente inappropriate. Sproporzionate. Un presente dove la propaganda è sempre più costruita ad arte. Fatta di capitomboli e statuette volanti. Dove la ghigliottina è solo il triste epilogo di una trasmissione televisiva pre-serale.

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