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Tra lettere, sgabelli e riarmo
L’autore procede per istantanee, brevi paragrafi, a volte poche righe, su personaggi ed eventi del 1913, l’anno che precede il primo conflitto mondiale. Da germanista, il suo sguardo è attratto in particolare dalla cultura tedesca. Chi cerca riferimenti alla cultura italiana, dovrà accontentarsi di sporadici accenni a De Chirico e D’Annunzio (quest’ultimo in negativo).
Al centro di questa galassia c’è Freud, di cui si colgono più le inquietudini professionali e i difetti personali che i contenuti della sua rivoluzionaria ricerca: vive male gli attacchi che Jung rivolge alla sua teoria sulla libidine, teme di essere messo in minoranza nell’imminente congresso della Società psicoanalitica, fa la figura del medico venale quando pretende di essere pagato dalla vedova di Mahler per aver passeggiato con il defunto musicista. Anche passeggiando si può psicanalizzare…
Ed ecco Schnitzler, l’autore di Doppio sogno, che sembra un alter ego letterario del dottor Sigmund, tanto che questi ha una certa ritrosia ad incontrarlo, come se temesse di guardarsi allo specchio. Tutto da studiare con la lente di Freud il rapporto tra Kafka e Felice Bauer, quella fluviale produzione di lettere con cui l’autore della Metamorfosi dichiara a Felice di volerla sposare ma contemporaneamente enuncia i motivi per cui non le converrebbe farlo. Di qui la lettera al padre, meno celebre ma non meno significativa dell’altra, che in realtà è indirizzata al suocero e ripropone gli stessi contenuti contraddittori, lo stesso volere e non volere, lo stesso proporsi e sperare in un rifiuto.
E’ la volta di Kokoschka, folle d’amore e di gelosia per Alma vedova Mahler, che gli promette che lo sposerà quando avrà dipinto un vero, grande capolavoro. E il capolavoro arriva, è La sposa del vento, tra le più grandi prove dell’espressionismo tedesco, ma Alma è già sposa di un altro ed è sfuggita alla passione morbosa, distruttiva e autodistruttiva, del grande artista.
Intanto le avanguardie si inseguono, finché, in questo fervido 1913, non si aprono le porte della modernità con la Ruota di bicicletta di Duchamp, una ruota di bicicletta fissata ad uno sgabello, e con il Quadrato nero di Malevic.
Dunque gli artisti e gli intellettuali del tempo sembrano più presagire la catastrofe che sta per arrivare con la loro attività febbrile, il continuo rinnovarsi della loro arte, le loro ansie, le fobie, i complessi e le lacerazioni radicati nel profondo della loro psiche, che non averne una chiara e razionale percezione.
I segni dell’imminente disastro si riscontrano in altre vicende che Illies lascia cadere tra le sue istantanee, ma che sono assai più rivelatrici: il riarmo su tutti i fronti, l’elevazione degli effettivi dell’esercito tedesco da 117.000 a 661.000, la caccia ai disertori in Austria –Ungheria. Tra i renitenti alla leva c’è Hitler, che soggiorna in una pensione di Monaco, dipinge acquerelli fuori moda, s’infervora quando si parla di politica e professa sin d’ora il suo odio per le minoranze etniche, compresi gli ebrei. Forse lui e Stalin si sono incontrati a Schonbrunn, ma per il momento non sono loro i protagonisti. Si stanno preparando. Ed infine, piccolo colpo di genio. Sul finire, l’autore riporta due poesie pubblicate in quello scorcio conclusivo dell’anno. La prima è sul Natale in una grande città. Termina con una frase di Schnitzler :”Tutti noi recitiamo. Bravo è chi lo sa”. La seconda porta il titolo di San Silvestro ed è un auspicio :”Della guerra mondiale la melodia/ funesta risuoni sempre più lontana./ Sfumi anch’essa in armonia/ come il rintocco di una campana”. Il 1913 sta ormai per finire e il presentimento di ciò che avverrà si esprime attraverso un ingenuo augurio di pace. Pochi mesi ancora e a parlare saranno le armi.
Racconto-saggio ben scritto, non privo di eleganza e di ironia, che sicuramente arricchisce il lettore medio di conoscenze e lo aiuta a mettere in correlazione temporale fatti ed episodi distinti, realizzando un interessante quadro d’insieme.
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