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La Storia non finisce mai di sorprendere.
Paolo Mieli, scrittore, saggista, opinionista, autore di numerose opere tra cui “Le verità nascoste” del 2015 e “Lampi sulla storia” del 2018, si cimenta in questo ultimo libro nel riesame di eventi storici di ogni epoca cercando di evidenziare, anche alla luce di una vastissima bibliografia, errori di interpretazione e verità nascoste. Il volume si divide in tre parti: nella prima (“Sul banco degli imputati”) l’autore si propone di rivedere la storia di alcuni personaggi di cui è stata tramandata un’immagine non positiva, nella seconda ( “Le arringhe dell’accusa”) mette in luce le colpe più o meno giustificate di alcuni protagonisti della Storia, nella terza (“La parola alla difesa”) si propone di evidenziare una verità storica riguardante alcuni fatti o personaggi sui quali il giudizio della Storia non appare suffragato da certezze inoppugnabili.
Numerosi sono i personaggi e gli eventi storici citati, dalla leggenda di Enea in fuga da Troia assediata a vicende più attuali riguardanti personaggi del risorgimento, del fascismo e della lotta partigiana. Alcuni capitoli del libro meritano di essere citati, perché le vicende dei protagonisti, più di altre, sono state e sono oggetto di evidenti interpretazioni errate o addirittura di volute falsificazioni.
Ad esempio, nella prima parte, Mieli sostiene che Fidel Castro non ha solo connotazioni negative: è accertato che frequentò con profitto, da buon cattolico, scuole di gesuiti, e che era ostile, oltre che agli Stati Uniti, anche alla Unione Sovietica ed alla Cina di Mao. Per non citare poi, le sue simpatie per vari Papi, da Wojtila a (addirittura !) Ratzinger, sostenendo che “la politica è una costola della religione”.
Nel capitolo su Napoleone, l’autore ricorda che l’imperatore, esiliato all’isola di Sant’Elena, non fu , come si crede, dimenticato: divenne invece leggenda e punto di riferimento per quanti lottavano per la libertà e l’indipendenza dei popoli.
Anche Caterina II di Russia, autoritaria, contraria all’abolizione della servitù della gleba, ostile alla rivoluzione francese, ebbe i suoi lati positivi, governando con saggezza ed invitando in Russia i filosofi dell’Illuminismo (Voltaire e Diderot), anche se, afferma Mieli, di questo “assolutismo illuminato” di illuminato restò in seguito ben poco.
Un altro esempio di personaggio storicamente mal connotato è quello di Ruggero II, il normanno, che nel 1130 fu nominato dall’antipapa Anacleto II re di Sicilia: qui Mieli ricorda che proprio in quell’anno nacque il Regno dell’Italia meridionale che durò (con Napoli) per ben sette secoli, fino al 1860.
Sempre nella prima parte, interessanti i capitoli riguardanti Gesù , su cui troppe e simili sono le vicende raccontate senza distacco riflessivo e con dubbia obiettività, su Catlina, la cui storia ha subito troppe falsificazioni anche per la demonizzazione che ne fece ai tempi Cicerone, e su Enea, considerato un eroe da Virgilio nel suo poema, ma accusato da Mecenate di Xanto di aver addirittura tradito e consegnato Troia agli Achei.
Molto interessante è anche la seconda parte del saggio, “Le arringhe dell’accusa”, incentrata soprattutto su eventi dei secoli più vicini a noi.
Mieli pone in risalto, in un capitolo, il trattamento che subirono i prigionieri italiani nei campi USA alla fine della seconda guerra mondiale. Accusati di essere oltre che fascisti anche voltagabbana, subirono per lunghi mesi la fame e maltrattamenti, al contrario dei prigionieri tedeschi, giudicati più ordinati e disciplinati.
Un altro capitolo denuncia le incertezze di Vittorio Emanuele III, che, dopo manovre e complotti per eliminare Mussolini, non seppe agire con fermezza e pagò i suoi tentennamenti con l’esilio alla fine della guerra.
Merita di essere citato anche il capitolo sul brigantaggio meridionale: iniziato con lotte di paese e vendette personali, divenne nel corso degli anni una guerra vera e propria contro una potenza straniera (i piemontesi? i Savoia?) che depauperava il Sud. Da notare, scrive Mieli, che nelle file dei briganti confluirono anche molti garibaldini delusi.
Nella terza parte (“Parola alla difesa”) il capitolo più interessante riguarda il leader comunista Palmiro Togliatti. Ideologicamente ben inquadrato, non si creda, afferma Mieli, che fosse esclusivamente agli ordini di Mosca. Simpatizzò più con la Democrazia Cristiana di De Gasperi ( i due erano uniti da stima reciproca) che con i socialisti e fu più vicino agli ambienti cattolici rispetto ad Enrico Berlinguer.
In un altro capitolo, l’autore porta alla ribalta i misconosciuti “partigiani autonomi” di Alfredo Di Dio, che interpretarono la lotta partigiana come esclusiva lotta al nazifascismo, e non come mezzo di rottura dell’ordine sociale. Formarono la banda Osoppo, e, non essendo legati al Partito Comunista, caddero presto nell’oblio.
Mieli prende poi, in un altro capitolo, le difese di Vittorio Emanuele II, che esitò molto senza proprie colpe prima di conquistare Roma: la battaglia ebbe pochissimi morti, anche perché Papa Pio IX volle che si combattesse il minimo possibile. Solo nel 1871 il re occupò il Quirinale, e solamente nel 2010 ci fu la pacificazione definitiva tra Stato e Chiesa, con l’incontro tra il presidente Napolitano e il cardinal Bertone, rappresentante di Benedetto XVI.
Dpo aver difeso, in uno degli ultimi capitoli, il famoso brigante Gasparone, liberato nel 1870 dopo ben 45 anni di prigione e divenuto simbolo dei “tempi nuovi” (ben altre, sottolinea l’autore, erano le magagne ed i vizi romani di quei tempi, con corruzione diffusa e oscuri intrighi), Mieli torna all’antico e, nel penultimo capitolo del libro, prende le difese dei pretoriani, le ben note guardie degli imperatori romani. Furono un po’ tutto, guardaspalle, agenti segreti, spie, sciolti solo nel 300 d.C. da Scipione l’Africano: agivano per lo più nell’ombra, come informatori o addirittura sicari, proteggendo via via nel tempo i vari imperatori e raggiungendo l’apice della loro potenza verso la fine del terzo secolo.
Se si può muovere una critica all’opera di Mieli, i vari capitoli non seguono un ordine cronologico ma sono esposti saltando spesso dall’antico al moderno. Ma non ritengo sia una pecca grave, non trattandosi di un manuale di storia ma di considerazioni personali su argomenti di storia disparati. Argomenti e personaggi assai numerosi quelli trattati via via da Mieli nei capitoli del libro, in tutto 30, distribuiti nelle tre parti in cui il libro stesso si divide. Il lavoro dell’autore è stato, come sempre, imponente, accurato e ben documentato: lo dimostra anche la vasta bibliografia, ben 156 voci. Nelle pagine di conclusione, si riafferma in sostanza quello che è stato lo scopo della certosina ricerca di Mieli: nella Storia nulla è definitivo, nuove scoperte possono mutare i giudizi, annullare o spostare eventuali colpe.
L’opera di Mieli, pur densa di particolari minuziosi e poco noti, si legge con grande interesse, anche perché vengono riportati alla luce, pagina dopo pagina, eventi storici, forse dimenticati, raccontati sotto angoli visuali diversi talora sorprendenti.
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