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«That government is best which governs least».
Pubblicato nell’ormai lontano 1849, il breve saggio “La disobbedienza civile” di Henry David Thoreau (1817-1862) offre una lettura molto piacevole e interessante, il cui contenuto si rivela di sorprendente attualità e adattabilità a ogni luogo, sebbene esso si riferisca espressamente in più punti al contesto polico-sociale statunitense dell'epoca.
Richiamando, nell'incipit, un motto rimasto celebre, il filosofo e scrittore americano imposta un ragionamento che rischia forse di far storcere il naso ai benpensanti della politica, ma del quale si deve riconoscere la validità.
«Deve il cittadino rimettere la sua coscienza – anche per un solo istante, o in minimo grado – al legislatore? [...]»
L'uomo senza coscienza rischia di ridursi a un qualcosa che non sarebbe degno della sua intrinseca natura; rinunciare alla propria coscienza dinnanzi allo Stato in molti casi potrebbe significare accettare e appoggiare l'ingiustizia, rendendosi pertanto complici di un sistema tendente ad opprimere la popolazione nel suo insieme o, come la Storia c'insegna, particolari minoranze.
«[...] In ultima analisi, la ragione effettiva per cui a una maggioranza è concesso di governare, e per lungo tratto, mentre originariamente il potere è nelle mani del popolo, non sta nel fatto che la maggioranza sia nel giusto più verosimilmente della minoranza; neppure perché si reputi corretto che la minoranza ceda; il fatto è che la maggioranza è fisicamente più forte. Ma un governo in cui la maggioranza decida su tutto non può essere fondato sulla giustizia, nemmeno sulla giustizia relativa al discernimento umano. [...]»
«[...] ma se è di tal fatta che voi dovete essere agenti dell'ingiustizia verso altri, allora, dico, infrangete la legge. Fate in modo che la vostra vita sviluppi un contro attrito e arresti la macchina. [...]»
Antischiavista e antimilitarista, disposto a entrare in un carcere pur di non cedere di fronte a ciò che reputa ingiusta richiesta dall’alto e restare così fedele ai suoi principî, Thoreau quando invita a non rispettare la legge – si badi bene – rifugge da ogni violenza e non esorta certo a far cadere la tirannia a suon di fucilate. La personale guerra che l'autore dichiara allo Stato non prende nemmeno in considerazione tale metodo, mentre lo Stato stesso si rivela armato soltanto di forza fisica e coercizione, non certo di onestà. Come egli afferma, occorre solo adottare un modus vivendi che “arresti la macchina”.
Innegabilmente, questo volumetto di Thoreau, nonostante la sua brevità, grazie a una scrittura coinvolgente ed entusiasmante si presta ancora oggi ad aprire un ampio dibattito e a fornire innumerevoli spunti di riflessione sulla materia in questione; non a caso, è stato ben citato dal critico Goffedo Fofi nel suo "Elogio della disobbedienza civile" (nottetempo, 2015) .
Davvero degna di nota, infine, la pagina conclusiva del saggio, dove ci si sofferma su temi quali democrazia, diritti umani e progresso politico passante attraverso il rispetto del singolo: «[...] Ma la democrazia, come la conosciamo, è davvero l'ultimo, insuperabile perfezionamento nel governo? […] Mai ci sarà uno Stato davvero libero e illuminato, finché lo Stato non riconoscerà il singolo come potere superiore e indipendente, da cui deriva ogni suo potere e autorità, e lo tratterà di conseguenza. Mi piace immaginare uno Stato talmente avanzato da riuscire a essere giusto con tutti gli uomini, e a trattare il singolo con il rispetto dovuto a un vicino; che non reputi incompatibile con la sua autorità che alcuni vivano in disparte […]. Uno Stato che producesse frutti di sorta, e ne tollerasse il distacco una volta maturi, preparerebbe l'avvento di uno Stato ancora più perfetto e glorioso, che pure ho immaginato, senza vederlo finora in alcun dove.»
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