Dettagli Recensione
Una testimonianza da leggere e far leggere
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.”
Sarebbe per me impensabile proporvi una vera e propria recensione dei “Sommersi e i salvati”, come del resto di una qualunque opera di Primo Levi, testimone prezioso di una pagina tra le più buie della storia dell’umanità. Proverò pertanto, nella speranza di riuscirvi, a spingere ciascuno di voi a recuperare questo saggio, la cui lettura non può che lasciare un segno indelebile nell’animo di chiunque possa definirsi un essere umano.
Ed infatti, le violenze fisiche e morali di cui lo scrittore piemontese fu testimone e vittima durante la sua prigionia ad Auschwitz furono traumatiche al punto tale da spingerlo a dedicare l’intero primo capitolo di questo suo saggio al tema della “memoria dell’offesa”, rassicurando il lettore circa l’affidabilità dei propri ricordi, più volte setacciati e confrontati con le testimonianze di altri superstiti (“La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace.”).
Nel secondo capitolo, invece, l’autore spiega efficacemente come ad Auschwitz il confine tra vittime e carnefici fosse ben più sfumato di quanto si potrebbe pensare: “È una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, e alberga in sé quanto basta per confondere il nostro giudizio”. A tal proposito, l’esempio più agghiacciante che ci viene consegnato è quello dei Sonderkommando, le Squadre Speciali di ebrei che, in cambio di qualche piccolo privilegio, erano chiamati a gestire le camere a gas e i crematori ai quali loro stessi sarebbero stati, infine, destinati.
Coglie di sorpresa, poi, il terzo capitolo dell’opera, dedicato al tema della vergogna che avrebbero dovuto provare i Nazisti, e che invece finirono per provare i prigionieri.
Particolarmente intenso è il successivo segmento, il quarto, dal titolo “Comunicare”, nel quale Primo Levi si sofferma su un aspetto della vita nei campi di sterminio al quale spesso non pensiamo: alle urla, agli stenti, alle privazioni, alle indicibili violenze fisiche e morali subite, sommate lo stordimento legato al non capire dove vi trovate, al non sapere come comportarvi, e al perché state subendo quel che state subendo. È un orrore tanto grande da andare oltre la mia immaginazione.
Il quinto capitolo, “Violenza inutile”, è un vero e proprio pugno allo stomaco, e ci mette di fronte alla furia cieca del Nazismo, quella che i più si rifiutano di indagare e conoscere fino in fondo, consapevoli che farlo li costringerebbe a spingere il proprio sguardo nel pozzo senza fondo della follia umana.
“L’intellettuale ad Auschwitz” precede il settimo capitolo del saggio, dal titolo “Stereotipi”, in cui l’autore risponde alle domande più ricorrenti tra quelle che si è visto rivolgere nel corso degli anni, in occasione dei suoi numerosi incontri nelle scuole e con i lettori.
Chiude l’opera il capitolo “Lettere di tedeschi”, in cui Primo Levi condivide e commenta alcune lettere ricevute negli anni a seguito della pubblicazione in Germania di “Se questo è un uomo”, la sua opera più conosciuta, data alle stampe circa 40 anni prima dei “Sommersi e i salvati”.
Vi prego, recuperate questo saggio, leggetelo e fatelo leggere: è un documento storico di importanza e di attualità straordinarie.
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Commenti
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Io avevo letto solo "Se questo è un uomo", durante i primi anni di Liceo. Ho recuperato soltanto ora questo saggio, parte dei testi da studiare per un esame universitario.
È stata una lettura davvero "importante".
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Libro letto e riletto. Vari 'capitoli' sono di tale interesse che andrebbero ripresi, di tanto in tanto.