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L’agonia dell’Essex
A metà del XIX secolo la tragedia della baleniera Essex di Nantucket e dei suoi marinai fu una delle notizie che più sconvolse l’opinione pubblica americana scuotendone la coscienza. I venti uomini di equipaggio, che avevano visto affondare la loro nave per l’attacco deliberato e reiterato di un capodoglio maschio, vagarono per oltre tre mesi nella vastità del Pacifico, su tre minuscole lance, sbatacchiate dagli elementi, con pochissimo cibo a bordo e senza alcuno strumento moderno che consentisse loro di fissare con precisione la rotta verso la salvezza. Alla fine i superstiti giunsero all’atroce decisione di utilizzare il corpo dei compagni morti come ultima disperata fonte di cibo, in alcuni casi, addirittura, “tirando a sorte” su chi avrebbe dovuto sacrificare la propria vita per cercare di salvare i compagni. L’odissea di questi uomini fu l’ispirazione che spinse Melville a scrivere Moby Dick.
Dopo aver letto il resoconto scritto da Owen Chase, il primo ufficiale della nave e uno degli otto sopravvissuti, ero incuriosito da questo libro scritto una ventina d’anni fa sulla base di una completa documentazione storica degli eventi. Da questo volume, tra l’altro, era stato tratto il toccante film diretto da Ron Howards il quale aveva dichiarato pure che la sua lettura lo aveva emozionato più profondamente del capolavoro di Melville.
Inizialmente ero convinto che si trattasse di una drammatizzazione romanzata degli eventi. Invece è un'accurata ricostruzione storica fatta con lo spirito del cronista che osserva e commenta dall’esterno non solo tutto il viaggio dell’Essex, ma pure la vita e la società di Nantucket, il piccolo centro portuale dal quale partirono la maggior parte delle baleniere americane e che, per qualche decennio, fu uno dei motori trainanti dell’intera economia statunitense.
La lettura, lungi dal risultare una fredda e pedante esposizione di fatti, riesce ad appassionare anche chi conosca già la vicenda. Le testimonianze rese dai vari superstiti vengono rilette criticamente e confrontate in modo da evidenziare le discrepanze e gli inevitabili soggettivismi di chi cercò di mettere in luce solo gli aspetti positivi nei propri comportamenti. Il libro fa rilevare pure i numerosi errori commessi, errori che contribuirono ad amplificare la tragedia e aumentare il numero delle vittime e la dimensione dell’orrore.
Interessante anche la parte iniziale del racconto, con la descrizione della vita a bordo delle baleniere, come sono interessanti le riflessioni sui comportamenti predatori che l’uomo del XIX secolo teneva nei confronti della Natura. Gli stessi uomini dell’Essex, al loro passaggio, contribuirono a spogliare l’isola di Charles (una delle Galapagos) da ogni forma di vita, e prima di naufragare, allungarono la scia di sangue tra i branchi di capodogli che le campagne di caccia stavano facendo in quegli anni. Tuttavia obiettivamente, non si possono giudicare le azioni di quegli uomini con il metro odierno. Per la maggior parte di essi la caccia alla balena era l’unico modo per sbarcare il lunario: un durissimo lavoro che li costringeva a estenuanti fatiche, a pericolosissimi viaggi in mari mai esplorati prima, e a restare lontani da casa e dalle famiglie per anni e anni.
In conclusione "Hearth of the sea" si rivela un ottimo libro da leggere e meditare.
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Mi rattrista dover aggiungere a questa recensione totalmente positiva una postilla, per l’angolo del pignolo. La traduzione in italiano mi ha profondamente deluso per la sua inadeguatezza e per il suo pressappochismo; zeppa com’è di svarioni e ingenuità davvero inaccettabili in un libro di questo livello. Giusto per chiarire, mi limito a ricordare alcuni degli errori più fastidiosi commessi.
Ordeal, in inglese, significa: prova, traversia, grande travaglio, calvario, tribolazione, patimento. Non è accettabile che venga sempre, insistentemente usato solo il termine “ordalia” che, nella nostra lingua, si riferisce unicamente al "giudizio di Dio" medievale. Alla quindicesima ripetizione si prova il desiderio di lanciare via il libro.
Il lato sinistro della nave (port, in inglese) si chiama, appunto “sinistra”; solo Salgari avrebbe scritto babordo.
I cuccioli delle balene (whale calf) si chiamano balenotte (o balenotti) e non certo balenottere che è il nome di una specie di cetacei (Finback whale, in inglese, che, a sua volta, non si deve tradurre “balena a pinna dorsale”). I capodogli, poi, hanno i denti e non i fanoni.
Il cassero (quarter-deck) è per definizione il castello di poppa di un vascello; parlare di cassero di poppa è un pleonasmo che può essere ammesso, quale spiegazione per chi non ha familiarità con il linguaggio marinaresco, ma solo per la prima volta che si fa riferimento a questa parte della nave.
Le fregate (frigate bird) si chiamano solo così e non falchi-fregate che è un ircocervo inesistente. mentre i tropicbirds in italiano sono detti fetonti, uccelli marini dalla caratteristica coda di rondine, comunissimi su tutti gli oceani, non dei generici “uccelli tropicali”.
Infine veramente inaccettabile che si usi più volte il termine soddisfava, in luogo del corretto soddisfaceva. Potrà essere una forma permessa nel linguaggio familiare, ma non certo in un libro storico ove lo stile dovrebbe essere formalmente ineccepibile.
Per concludere spiace notare la presenza di troppi refusi tipografici che infastidiscono la lettura.