Dettagli Recensione
L'importanza della memoria
Settantacinque anni sono passati dalla liberazione del campo di Auschwitz e cogliendo il monito di Primo Levi di conoscere per non dimenticare ma soprattutto per evitare di commettere gli stessi errori, mi sono avventurata in questa opera, in questo saggio che l’autore ha scritto quarant'anni dopo di "Se questo è un uomo".
Un’analisi lucida, attenta e spietata che il chimico deportato e scampato alla morte, a cui è condannata la popolazione dei campi di concentramento, riesce a rendere con uno stile sobrio, pacato e allo stesso tempo profondo. Levi cerca di rispondere alle domande che noi, persone vissute dopo il sterminio, ci poniamo e poniamo ai sopravvissuti. Con una razionalità e una sincerità che spesso lascia interdetti e spaventa, Primo Levi racconta della difficoltà dei reduci a ricordare i peggiori momenti della loro vita, dove la vergogna si lega al senso di colpa, dove la vittima finisce per essere irrimediabilmente corrotta. Infatti uno dei punti che Levi affronta nella sua disamina sull'argomento coinvolge proprio questo aspetto e più di tutti sconvolge, ci lascia sospesi e ci fa riflettere sulla natura umana e sul male che è possibile fare, ma soprattutto sul male che si instilla dentro alle vittime, rendendo impossibile per loro un riscatto, una pace dopo la tempesta.
Levi riesce a rispondere, attraverso quest’opera, a domande scomode che tutti noi ci siamo posti mentre studiavamo questo periodo storico o che avremmo voluto rivolgere alle persone scampate allo sterminio. Egli passa in rassegna della materia scottante ma su cui noi difficilmente potremmo muoverci senza una guida-testimone di quei fatti. Racconta dell’impossibilità umana nel giudicare le azioni commesse da una parte dell’umanità che ha preso parte a questo delicato e terribile momento, quella parte di uomini e donne, che si sono piegati al potere e si sono lasciati trascinare dalla parte del carnefice. Egli ci parla dell’importanza della comunicazione e del disagio provato dai prigionieri deportati da varie parti d’Europa, costretti a convivere senza la possibilità di comprendersi; dell’arma a doppio taglio che può essere la formazione scolastica e la cultura in un contesto disumanizzato dove tutto si riduce a un rapporto padrone-bestia; della difficoltà nel gestire i ricordi e nel capire quanto fragile sia la memoria che modifica i fatti per reagire a traumi che preferisce dimenticare.
Credo che questo libro, pesante da certi punti di vista, cinico e più che mai realista, sia il modo migliore, visti i tempi attuali, per addentrarsi all'interno di un mondo ormai per noi lontano, per scoprire fino a dove può spingersi la pazzia di un popolo, fino a dove può arrivare la spietatezza e la crudeltà umana. È un’opera spietata, infatti, ma che lascia spazio alla speranza, all'indulgenza anche se non al perdono, che lascia trapelare una luce di positività. Levi non condanna, non punta il dito contro nessuno in particolare, non si lascia ammaliare dalla vendetta, dalla possibilità di ripagare con la stessa moneta i torti subiti, ma ci invita alla comprensione e a sospendere il giudizio, laddove un uomo, un uomo che non ha conosciuto la morte e la cattiveria dei Lager, non può addentrarsi e di lasciare a chi di competenza il compito di emettere di sentenze. Levi invita alla riflessione, alla comprensione se è possibile e all'impegno perché ciò che è accaduto non accada di nuovo.
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Bella la tua recensione. Anch'io ho apprezzato molto questo libro , frutto della maturità dell'autore e delle sue riflessioni nel tempo.
Magnifici alcuni 'pezzi' , come quello sulla memoria.