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Stazione di Treblinka
Ho letto “L’inferno di Treblinka” in occasione del Giorno della Memoria. Il libro è in realtà il reportage scritto da Vasilij Grossman che era al seguito dell’Armata Rossa come corrispondente di guerra; nei primi giorni di settembre del 1944 i russi entrarono in quello che fu forse il più atroce, il più crudele dei campi di concentramento che i nazisti costruirono in Polonia. E’ un racconto molto dettagliato su come funzionasse il campo, sulle figure degli aguzzini (SS e Wachmanner) e, man mano che procedevo nella lettura pensavo che, per quanto si possa conoscere, è impensabile per la mente umana riuscire a concepire quello che è stato; è forse per questo che, complici alcuni film ed alcuni libri, abbiamo una visione un po’ edulcorata di che cosa fosse un campo di sterminio, e non di concentramento, poiché di STERMINIO si tratta nel caso di Treblinka. Qui sono arrivati e subito mandati a morte milioni di uomini (Grossman fa un calcolo per difetto basandosi su testimonianze oculari) in circostanze e modi orrendi, con sofferenze prima morali (venivano di fatto colpiti nei sentimenti più umani e annientati) poi fisiche (tanto che un colpo di pistola era una grazia). Già da questo reportage si intuisce il grande scrittore che Grossman diventerà, alcuni passaggi sono veramente illuminanti “...l’uomo ucciso dalla bestia conserva comunque fino all’ultimo suo respiro forza d’animo, mente lucida, cuore ardente. Mentre la bestia trionfante che lo uccide resta comunque una bestia”.
Altri passi potrebbero essere stati scritti oggi talmente sono attuali “Oggi come oggi ogni singolo uomo è tenuto....a rispondere con tutta la forza del cuore e della mente a una domanda: che cosa ha generato il razzismo? Che cosa bisogna fare affinchè il nazismo, il fascismo, l’hitlerismo non abbiano a risorgere né al di qua né al di là dell’oceano mai e poi mai, in secula seculorum?”. Non vi è nulla di umano in questo racconto, questo libro di poche pagine è come un pugno nello stomaco, ci mette di fronte alla realtà terribile di una fabbrica della morte poiché tutto funzionava proprio come una catena di montaggio. Ma forse il pensiero più agghiacciante che Grossman rileva nei discorsi e nei comportamenti delle SS tedesche è che “ Erano tutti profondamente e sinceramente convinti di fare una cosa giusta e necessaria”
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@Emilio "Vita e destino" ce l'ho in lista da leggere e credo proprio che presto lo affronterò, soprattutto dopo aver letto questo libro che nonostante sia un lungo articolo giornalistico è scritto veramente bene. Non ho trovato la tua recensione ma mi fido del tuo giudizio :)
Resto tuttavia perplesso sull'ultimo pensiero di Grossman: sono convinto che in molti degli aguzzini le uccisioni erano ormai diventate un fatto "burocratico" più che ideologico.
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