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La verità è una chimera
Le bugie o le menzogne in tempo di guerra sono pane quotidiano e poi a conflitto terminato la storia viene scritta dai vincitori, ovviamente preoccupati di non ristabilire la verità; in relazione a ciò lo scopo che si è proposto l’autore con questo saggio è di dare ascolto alle istanze degli sconfitti, senza tuttavia arrivare a determinare con certezza quella che è la verità. Infatti Arrigo Petacco ha inteso soprattutto fare l’avvocato del diavolo, ponendo in luce incongruenze, comportamenti strani già ben noti, con il tentativo, a puro livello di ipotesi, di fornire una spiegazione. Rientra in queste fattispecie anche il silente fronte occidentale per buona parte del primo anno di guerra e che sembrò frutto di una tregua non sottoscritta. I motivi di questo comportamento da parte tedesca potevano forse risiedere nell’ipotesi di arrivare a un accordo con gli anglo-francesi per un’azione comune verso l’Unione Sovietica, nonostante il patto di non aggressione sottoscritto da Stalin con Hitler; si tratta tuttavia unicamente di un’ipotesi, come quella che vide la discesa in campo dell’Italia con l’alleato tedesco solo nel giugno del 1940, in virtù di quel patto d’acciaio dalle condizioni capestro che sarebbero state sottoscritte da Ciano in difformità degli ordini ricevuti da Mussolini, ipotesi che mi sembra del tutto azzardata vista la notevole avversione per i tedeschi del genero del Duce. Insomma, almeno nella prima parte del saggio, abbiamo solo chiacchiere e non poteva essere diversamente perché gli attori dell’epoca sono morti, documenti che chiariscano non si trovano e quindi nascono delle teorie, più o meno opinabili. Molto più interessante è la seconda parte in cui si parla non solo della famosa seduta del Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio 1943, a cui Mussolini, un Mussolini stanco e preoccupato avrebbero potuto opporsi, ma anche delle testimonianze di Edda Ciano che notoriamente era in intimità con suo padre, nel senso che con lei si apriva, e che potrebbero spiegare tante cose, come tentano di fare, ma non lo fanno.
Infatti il Duce, a proposito della guerra d’Etiopia, da cui sarebbero nati tutti i suoi problemi con l’opposizione di paesi colonialisti come la Francia e l’Inghilterra, avrebbe preteso di dimostrare che fu costretto proprio da queste due potenze a gettarsi nelle braccia di Hitler, nell’impossibilità di lasciargli spazio. Più che un movente, sembrerebbe una scusa per giustificare un operato francamente scellerato che portò l’Italia alla guerra e alla rovina. Mi sembra invece più plausibile il fatto che Mussolini non avesse a che fare con il delitto Matteotti, visto che gli esecutori, tutti fascisti, probabilmente volevano dare solo una lezione al parlamentare socialista, ma poi la faccenda era sfuggita loro di mano.
C’è poi una terza parte in cui si parla di un Mussolini privato, sia di quando ancora non era il Duce, sia di quando lo era nel pieno esercizio delle sue funzioni; si passa così dal periodo scolastico, in cui già si ravvisava la capacità di oratore, alle gestioni dei rapporti con i parenti (sempre esosi, ma lui era stretto di manica) allorché comandava l’Italia. E c’è anche il Benito Mussolini della Repubblica di Salò, l’ombra di se stesso, un uomo che ogni tanto sogna di dar vita a uno stato effettivamente socialista, circondato dalle SS, ma anche da amici romagnoli, fra i quali quel Bombacci fondatore del partito comunista italiano. Sono illusioni, momenti di evasione, nel grigiore plumbeo di una decadenza inarrestabile e vedere l’uomo che ha comandato con il pugno di ferro l’Italia ridotto a una pura figura di rappresentanza, senza potere e senza avvenire, può muovere anche a pietà, ma non si deve dimenticare che lui, nella sua enorme vanità, pur realizzando anche cose buone, precipitò un paese e un popolo nell’orrore e nelle distruzioni di una guerra.
Da leggere.
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