Dettagli Recensione
Dov'è Treblinka?
Dov’è Treblinka?
Non c’è! È stato distrutto questo campo di lavoro e di sterminio dopo una furiosa attività di tredici mesi. Dopo 10.000 morti al giorno, 300.000 al mese, tre milioni in dieci mesi di effettiva attività, se si vuole essere oggettivi e includere le pause forzate dovute al mantenimento stesso dell’inferno. Treblinka fisicamente non c’è più, dopo la rivolta dei suoi detenuti, quelli condannati a viverci perché detentori di abilità manuali necessarie o di abilità professionali imprescindibili alla sussistenza del lager stesso, rivolta datata 2 agosto 1943 che portò alla fuga di pochi e alla distruzione per mano nazista di una testimonianza che si voleva rendere invisibile e mai esistita. Già Himmler, dopo la sconfitta della Battaglia di Stalingrado, provvide di suo ad affinare il negazionismo mentre l’opera era ancora in vita: con una visita fulminea decretò un netto miglioramento dell’operazione di sparizione dei cadaveri. Era ormai improbabile e fuori luogo farli sparire in fosse comuni la cui terra brulicava di insetti grassi e di continua restituzione fisica di prove dell’annientamento; occorreva ora progettare forni capaci di bruciare una quantità enorme di cadaveri fatti riemergere dal fondo della terra e continuare, col nuovo metodo, a smaltire i nuovi arrivi. Perché questo era Treblinka: una precisissima macchina della morte, a ruota continua, un congegno ad alta mortalità a rispecchiare la produttività delle migliori catene di montaggio. Non si risiedeva a Treblinka, non si pativa la fame, non si subiva estenuante lavoro, si arrivava e subito, attraversando meticolose fasi di preparazione, si moriva, subito, previo diabolico annientamento dell’essere umano che ancora respirando, facendo battere il suo cuore, pensando, avendo paura, provando orrore, subendo incredibili e subitanee violenze ante- mortem era lì in piedi a stiparsi verso le camere a gas. Il gas, prerogativa tutta sua, non era lo Zyklon B, no, qui si procedeva con il gas di scarico del carro armato, capace di far respirare a vuoto e di far morire come per strangolamento, o con l’assenza completa di ossigeno che veniva aspirato appositamente dalle camere, o ancora con immissioni di vapore. Taccio tutto l’altro orrore letto e procedo rendendo un infinito grazie a Grossman, lui nell’autunno del 1944 è lì e scrive il suo reportage mentre la terra sputa fuori ciò che la mente stenta ancora a credere: brandelli di vesti, tessuti col ricamo ucraino, capelli, pantaloni, scarpe, candelabri…il suo scritto apparso sulla rivista «Znamja» è letto al collegio d’accusa del processo di Norimberga. È fondato su decine di testimonianze di prima mano: i pochi superstiti, gli abitanti dei dintorni, le guardie. È pervaso da un sentimento di orrore e di incredulità ma soprattutto da quel monito a noi così familiare, lo stesso della poesia “Shemà” che precede “Se questo è un uomo”. È un monito a non dimenticare “quanto sia facile uno sterminio di massa”.
Indicazioni utili
Triangoli rossi
Commenti
4 risultati - visualizzati 1 - 4 |
Ordina
|
Complimenti , e grazie.
E buon 2019!
4 risultati - visualizzati 1 - 4 |