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Un sogno fatto insieme
Il rischio che prima o poi si presenta nel caso di un mito - e la Resistenza può essere considerata un mito - è che nel trascorrere nel tempo ci sia chi vuole sgretolarne le immagine, per non parlare di molti più altri che, senza arrivare a ciò, pur tuttavia nutrono dubbi su ciò che è accaduto e che viene tramandato. Senza tenere conto dell’atteggiamento negazionista dei seguaci dei vinti di quell’epoca il problema reale è che i più quasi sempre ignorano che cosa sia stata la resistenza, oppure ne hanno una visione ristretta di carattere politico. Credo che se uno vuole comprendere il significato di quel grande movimento che interessò l’Italia più o meno dal settembre del 1943 all’aprile del 1945 dovrebbe leggersi questo interessante saggio di Giovanni De Luna, noto storico salernitano. L’autore parte da un diario, quello di Leletta d’Isola (1926 – 1993), figlia del barone Vittorio Oreglia d’Isola e della contessa Caterina Malingri; la ragazza, con i genitori, altri, parenti, amici e domestici viveva nel Palas avito a Vilar, una frazione di Bagnolo Piemonte. Acuta osservatrice riportava su questo testimone giornaliero le impressioni e le riflessioni che nascevano in un periodo particolarmente travagliato per l’Italia, nato col l’armistizio dell’8 settembre 1943, periodo complesso e confuso tanto che la pagina del 30 settembre riporta questa dicitura: “Il nucleo del chaos è l’Italia”. Nelle valli piemontesi la resistenza sorse per prima per diversi motivi, ma soprattutto perché lì era confluita dalla Francia un’intera armata e anche perché meno difficile che in pianura si presentava una difesa dalle incursioni delle truppe nazifasciste. Al Palas arrivarono così gli embrioni di quello che diventerà la Resistenza e in particolare una figura che poco a poco diventerà leggendaria, il comandante delle Brigate Garibaldi Nicola Barbato, nome di battaglia, giacché in effetti si chiamava Pompeo Colajanni. In quella dimora vennero a trovarsi contemporaneamente monarchici, repubblicani del Partito d’Azione, comunisti, cattolici, correnti che, pur ovviamente con proprie idee, riuscirono a cementare un’unione volta al supremo sforzo non solo di liberare l’Italia dal giogo nazista e dalla dittatura fascista, ma vennero anche a gettare le basi ideali per un Italia nuova, un accordo che sarebbe parso in altri momenti impossibile. Come poté avvenire un tale miracolo? Accadde perché quei combattenti per la libertà riuscirono a mettere da parte in quei giorni gli anacronistici confini ideologici e di classe che li dividevano, e ciò per un comune scopo; avevano capito che il male era il passato, gli anni bui della dittatura e delle guerre, e il male veniva perpetuato dai nazisti e dai fascisti, mentre il bene si sarebbe trovato nel futuro da costruire insieme. Fu un sogno, quindi, perché già dopo il 25 aprile, senza più il male in contrapposizione venne a perdere evidenza e forza anche il bene.
La Resistenza quindi fu per la prima e forse unica volta un sogno fatto insieme, per cui si combatté e si morì anche, una magia oserei dire di cui nel tempo si è perso il significato, lasciando anzi spazio a pericolose e becere tendenze revisioniste. Certo, non furono tutte rose e fiori, ci furono anche atti esecrabili, ma nel suo insieme la Resistenza è quanto di meglio si sia fatto dopo l’Unità d’Italia. Lo stile di De Luna è gradevole, senza inutili appesantimenti, e la narrazione procede con linearità, poi però, verso la fine, l’autore si lascia prendere dall’entusiasmo e s’incrina un po’ l’obiettività ammirata in precedenza; niente di grave, anche se si avverte chiaramente che lo storico, pur basandosi su fatti e dati concreti, si lascia prendere volentieri la mano.
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