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Un uomo perbene
Se avete l’ardire di chiedere a un gruppo di studenti chi sia Emilio Lussu, non meravigliatevi se vedrete dei volti con espressioni stupite, o peggio ancora sfuggenti, tipiche di chi non è in grado di dare una risposta. Al più, se si è particolarmente fortunati, può darsi che qualcuno, pescando nella memoria, risponda che si tratta dell’autore di Un anno sull’altopiano, un libro contro la guerra, ma anche in questo caso non potrete mai avere un ritratto, almeno abbozzato, di quest’uomo.
Sì, è certamente l’autore di Un anno sull’altopiano, romanzo assai riuscito tanto da poter essere accostato a Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque, opere entrambe che si pongono in un atteggiamento critico e costruttivo del fenomeno della guerra in generale, pur partendo dalle diverse esperienze degli autori. A differenza del narratore tedesco Lussu è un protagonista di un secolo, quello trascorso, in cui ha potuto manifestare tutte le sue indubbie qualità di uomo e di politico, sempre in prima persona, sia quando da acceso interventista partecipa alla Grande Guerra, chiaro esempio per i soldati a lui sottoposti, sempre primo nell’affrontare il nemico, sempre ultimo nel retrocedere, tanto da meritarsi, oltre a promozioni sul campo, anche ben quattro medaglie al valore. La guerra, gli scontri, le carneficine forgiano l’uomo Lussu, gli fanno comprendere il senso immane di quella tragedia, indirizzano la sua vita alla difesa delle classi più deboli ed è ciò che farà nel ritorno alla sua Sardegna, organizzando i contadini e i pastori nel Partito Sardo d’Azione, che aveva per emblema i quattro mori. Sono gli anni in cui sorge e impera il fascismo, che trova nello scrittore sardo un fiero e valido oppositore. Lui non si tira mai indietro, affronta di petto i facinorosi e, per legittima difesa, ne uccide uno. Viene prosciolto dal Tribunale, ma i fascisti non sono d’accordo e lo mandano cinque anni al confino, a Lipari, da cui riesce a fuggire rocambolescamente con Rosselli e Nitti. Inizia così il lungo pellegrinaggio da esule all’estero, tanto che rientrerà in Italia solo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e si dedicherà anima e corpo alla nuova Italia, a quella che nascerà con la Repubblica e la costituzione, diventando anche ministro, per il Partito Socialista, nei primi governi; uomo di sinistra, ma autonomo da ogni condizionamento esterno uscirà poi dal partito nel 1964, aderendo al Psiup, per ritirarsi definitivamente dalla vita politica nel 1968.
Coerente, mai estremizzante, libertario, Lussu è uno di quei rari uomini che si possono definire “perbene”, ma è anche un acuto osservatore del suo tempo, con quella sua particolare capacità di analizzare fenomeni di grande ampiezza, pur dal suo punto di vista particolare. E allora non è un caso se ha scritto Un anno sull’altopiano, e poi Marcia su Roma e dintorni, sull’avvento del fascismo, e infine La catena, sul consolidamento del regime. A leggere questi libri si apprende parecchio su uno dei periodi più bui della nostra storia e una sua biografia appare quindi, oltre che opportuna, soprattutto doverosa; a ciò ha provveduto, con un’opera di notevole pregio, Giuseppe Fiori, sardo pure lui e ideologicamente vicino a Lussu. L’ambiente, la giovinezza, gli studi, la guerra, il fascismo, la resistenza, la nascita della repubblica, il dopo sono gli argomenti di queste pagine che, nel fornirci un quadro puntuale della storia del nostro paese, tratteggiano in modo esemplare la figura di un uomo che seppe essere tale in ogni frangente, nei momenti di fortuna e in quelli più neri, sempre coerente, mai domo, con lo sguardo proteso oltre gli avvenimenti contingenti, capace di vedere quella nuova Italia che sulle alture dell’altopiano di Asiago, fra scontri e carneficine, aveva cominciato ad abbozzare.
Da leggere, mi sembra ovvio.
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