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La sera andavamo in via Veneto
 
La sera andavamo in via Veneto 2009-07-10 16:35:22 prupitto
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prupitto Opinione inserita da prupitto    10 Luglio, 2009
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La sera andavamo in via Veneto

E' certo arduo negare che il saggio scalfariano-pur essendo ampiamente biografico in quanto' finalizzato a ricostruire la genesi dell'Espresso e di Repubblica-costituisca un documento prezioso sia per ricostruire le vicende italiane degli anni cinquanta e settanta sia per comprendere chiaramente il contesto ideologico ed economico all'interno del quale maturarono le esperienze giornalistiche scalfariane.Uno dei primi elementi che emerge con chiarezza, e' la difesa ad oltranza del lavoro giornalistico compiuto da Cederna-con la quale nasce il giornalismo di costume,ironico e fustigativo- e da Ottone grazie al quale il Corsera venne svecchiato conducendo alla emarginazione la componente conservatrice montanelliana.Ed ' proprio a tale proposito che Scalfari,pur individuando in Montanelli l'araldo del conservatorismo della borghesia lombarda medio-alta, ne ridimensiona in modo consistente il ruolo e il contributo al giornalismo e alla cultura italiana.Sul fronte della politica estera e interna,facendo proprie le istanze progressiste della cultura americana, entrambe le testate contribuirono a difendere l'opposizione alla guerra del Vietnam ,a sostenere gran parte del movimento sessantottino-pur criticandone gli eccessi-,a formulare un giudizio di radicale opposizione al terrorismo-senza tuttavia mancare di essere garantisti- e a denunciare senza mezzi termini sia la pericolosita' di De Lorenzo e del Piano Solo sia quella della P2.Sul fronte dell'intreccio cultura-politica,la collaborazione di intellettuali comunisti-quali Moravia e Mila ad esempio-e quella degli intellettuali socialisti,radicali e sessantottini contribuirono a caratterizzare ideologicamente entrambe le testate differenziandole profondamente dal Corsera. Per quanto concerne la realta' imprenditoriale e finanziaria italiana,i principali referenti furono Mattioli-grazie al quale la societa'e la cultura italiana superarono la loro intrinseca clericizzazione e sclerotizzazione-,Agnelli-signore rinascimentale,sovrano senza corona,uomo spericolato e pavido-,De Benedetti -imprenditore autonomo rispetto ai partiti,altamente credibile sui mercati internazionali,uomo furbo e candido insieme,decisionista e dotato di una enorme volonta' di potenza,-Caracciolo-amico carissimo e vero e proprio pilastro economico delle iniziative editoriali scalfariane-,la Montecatini,la Snia, la Pirelli e l' Iiri che con la loro pubblicita' contribuirono al decollo di Repubblica e dell'Espresso.Sul piano politico-a parte Riccardo Lombardi e l'area radicale-le valutazioni dell'autore sono assai critiche e ben lontane dai toni apologetici usati per il mondo della finanza e dell'industria.A parte De Mita-nei cui confronti Scalfari non lesina elogi in relazione alla sua capacita' di ridimensionare le correnti democristiane e di attuare una politica rigorosamente liberista-, e Pertini,gli altri leader politici vengono valutati in termini piuttosto critici:ad Andreotti viene attribuita una abilita' diabolica da cardinale settecentesco,a Moro un lessico inutilmente essoterico ,a Berlinguer-pur riconoscendone l'onesta' e l'integrita'-viene attribuito un eccesso utopico che gli avebbe impedito di comprendere la trasformazione profonda della classe operaria, a Craxi-al quale viene riservato il giudizio piu' negativo- attribuisce diverse gravi responsabilita'.In primo luogo,quella di utilizzare il consenso per il potere indebolendo pericolosamente la moralita' pubblica,in secondo luogo di aver trasformato il partito in una banda e infine di essersi servito di una parte della magistratura a fini politici.

GAGLIANO GIUSEPPE

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