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I sottili risvolti di un'umiliazione
Un uomo è inginocchiato sulla neve, scalzo, in abbigliamento misero, “molto piangendo e impetrando l'aiuto e il conforto della misericordia”. Dalla finestra del castello sovrastante c'è chi lo osserva, senza cedere alle suppliche dei presenti, che vorrebbero riammesso quel penitente alla grazia divina.
Il primo uomo è Enrico IV, l'imperatore spogliatosi di tutte le insegne regali per compiere quell'atto di umiliazione. Il secondo è il monaco Ildebrando di Soana, che ha assunto il nome di Gregorio VII pochi mesi prima, dopo essere stato nominato papa di Santa Romana Chiesa.
E' il gelido gennaio dell'anno 1077.
Ai piedi del castello della marchesa Matilde di Tuscia (nobile religiosissima e amica di vari pontefici), il braccio di ferro tra i due uomini più importanti d'Europa raggiunge il suo punto più alto e drammatico. Solo dopo tre giorni, il cedimento di papa Gregorio VII e l'apertura del portone del castello di Canossa segnano la riconciliazione tra potere temporale e spirituale. Una riconciliazione destinata a durare poco.
In questo libro – che prende il titolo dalla località dell'odierna Emilia Romagna nella quale si svolse la vicenda – il medievalista tedesco Stefan Weinfurter racconta un evento che fa parte dell'immaginario collettivo: “andare a Canossa” ha assunto al giorno d'oggi un preciso significato, equivalente all'esternazione di un profondo e umiliante atto di pentimento.
Ottima la ricostruzione storico-politica del libro: in più capitoli è disegnata la vicenda dell'Impero e del Papato, con riferimento agli illustri predecessori e successori di Gregorio VII ed Enrico IV. In tal modo, si comprende da quali cause scaturisca l'episodio di Canossa e a quali conseguenze porterà.
In particolare, la vicenda si inquadra nell'ambito della “lotta per le investiture” tra papa e imperatore, per chi dovesse nominare i vescovi: al tempo, infatti, questi ultimi non si limitavano alla “amministrazione delle anime” nella propria diocesi, ma erano tra i più importanti feudatari, muniti di molte proprietà e beni. Ciò aveva portato ad un aspro scontro tra le due autorità, sino all'imprigionamento di papi in carica e alla nomina dei cosiddetti “antipapi” (graditi all'imperatore, nella migliore delle ipotesi). Il nodo della questione era se l'Impero fosse al servizio della Chiesa nel difendere la sua missione di diffusione del credo, o se piuttosto non fosse il potere spirituale al servizio di quello temporale nel consentire la conquista e il mantenimento delle terre conosciute.
Con Gregorio VII – papa particolarmente rigoroso e maldisposto al compromesso – si arriva alla scomunica di Enrico IV di Sassonia. I principi tedeschi non attendono altro per rifiutare l'obbedienza all'imperatore ed insinuare che il trono sia illegittimamente occupato. La portata sovvertitrice della scomunica papale è enorme: quando Enrico IV lo capisce, non può far altro che riunire un ingente numero di uomini fidati, cavalli e vettovaglie e partire da Spira (odierna Germania) poco prima del Natale del 1076, per richiedere in modo “spettacolare” il perdono a Gregorio VII.
“Canossa” è esemplare nel far capire come tale episodio non sarà quello conclusivo nella lotta tra Impero e Papato, ma di sicuro quello decisivo per i personaggi coinvolti, che saranno travolti dalle sue conseguenze: Enrico IV solo temporaneamente rinuncerà ai suoi propositi, e subirà più avanti una seconda scomunica e la defenestrazione da parte del figlio (destinato a salire al trono con il nome di Enrico V, poi a sua volta travolto dall' “onda lunga” degli eventi di Canossa); Gregorio VII, a causa della sua condotta sin troppo rigida, verrà più tardi abbandonato dallo stesso clero e messo in salvo dai normanni dopo una nuova discesa (stavolta minacciosa) dell'imperatore in Italia, perdendo il titolo di “pontifex romanus” e finendo i suoi giorni in esilio a Salerno.
Notevole, dunque, questo libro, che considera i più avanzati studi sulla vicenda storica in discorso, e suggerisce l'idea che neanche i diretti protagonisti potessero comprenderne la portata sui secoli a venire.
“ (…) il 28 gennaio 1077 il re poteva finalmente essere affrancato dalla scomunica. Gregorio VII fece aprire la porta interna del castello ed Enrico IV, insieme a quelli del suo seguito che avevano perseverato con lui, poté entrare nella fortezza. Il re e il papa, così ci viene narrato, si sarebbero salutati in lacrime, e anche questo era un elemento rituale tutt'altro che inconsueto nella cornice di un atto di riconciliazione. Nella cappella del castello seguirono la benedizione e il bacio della pace. Fu quindi celebrata la messa ed Enrico IV solennizzò la propria riammissione nella Chiesa comunicandosi. Infine si tenne anche una cena di riconciliazione. Il mangiare e il bere insieme dovevano comprovare l'intenzione di entrambi di superare le discordie e di trattarsi, da allora in poi, in maniera amichevole e pacifica.”
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Commenti
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Beh, Laura, devo dire che neanche a me appassiona particolarmente la storia medioevale... finché, però, non inizio a leggerla.
Il buon Umberto Eco qualcosa ci capiva... ;)
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