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Sonderkommando Auschwitz
 
Sonderkommando Auschwitz 2018-04-16 16:50:45 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    16 Aprile, 2018
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Sonderkommando

«”Cosa vuol dire Sonderkommando?”
“Comando Speciale.”
“Speciale perché?”
“Perché lavoriamo nel Crematorio… dove la gente viene bruciata.» p. 70

I Sonderkommando erano delle unità speciali composte da deportati che, a seguito del superamento di una selezione, venivano destinati al lavoro all’interno dei forni crematori. Ciclicamente questi venivano sostituiti e brutalmente uccisi dalle SS onde evitare di lasciare testimoni di quelle atrocità a cui le stesse vittime erano chiamate ad assistere e partecipare. Questi individui, dalla costituzione fisica e psicologica abbastanza forte, vivevano in baracche separate rispetto a quelli degli altri prigioni e in condizioni di vita leggermente migliori rispetto alla fame e al freddo a cui siamo abituati immaginare le condizioni dei lager (della serie, una branda non condivisa a testa o la certezza di un tozzo di pane rispetto alle ristrettezze degli altri condannati, e tutto al fine di evitare “fughe di notizie”. Attorno alla loro figura vigeva un grande alone di mistero, nessuno sapeva di cosa si occupavano questi, nessuno doveva scoprirlo o apprenderne notizia in qualsiasi modo). È anche per questo motivo che spesso e volentieri i membri di questa unità sono stati criticati. Molti si sono chiesti perché non abbiano tentato una fuga, perché non abbiano tentato di ribellarsi, e in questo Shlomo, è magistrale nello spiegarsi: semplicemente perché non sarebbe servito a nulla. Chi si rifiutava veniva ucciso, se non ti rifiutavi eri comunque destinato a morte certa visto che trascorso un determinato lasso di tempo seguiva una nuova “selezione” con “eliminazione” del precedente comparto. Perché comunque, anche tentando di ribellarti il risultato non lo avresti ottenuto, saresti stato soltanto ucciso seduta stante e sostituito da un altro recluso. E anche di questo l’autore ci illustra i motivi in quello che è un intero capitolo dedicato ad un tentativo di sovversione del Sonderkommando e di tutti i crematori. Ribellione, inutile a dirsi, fallita. Continua così il dolore, la presa visione di un male costante e perpetuo che non aveva fine. Continua così il contatto inarrestabile con la morte. A cui si è costretti. Perché non basta il dolore della prigionia, perché non basta l’agonia della condizione in cui si è relegati, a questo va aggiunto anche l’obbligo di far parte di quel macabro disegno di eliminazione. Seppur non volendo. Seppur rifiutandosi. Seppur essendovi forzati. Significative le sue parole:

«Fino a quel momento mi ero in qualche modo vietato di pensare a cosa stava succedendo; bisognava fare quello che ci ordinavano come degli automi, senza riflettere, ma vedendo quel corpo bruciare mi ritrovai a pensare che i morti avevi forse più fortuna dei vivi: non erano più obbligati a subire questo inferno in terra, a vedere la crudeltà degli uomini» p. 79

Cosa dovevano fare quindi gli uomini del Sonderkommando? Semplice, dovevano accompagnare i deportati appena arrivati con i convogli nelle camere a gas, dovevano invitarli a spogliarsi, calmarli se necessario facendogli anche capire che rivoltandosi o far attendere i tedeschi avrebbe significato prenderne di santa ragione, anche a morte, e poi dovevano condurli in quella sorta di docce comuni da cui in realtà usciva il prezioso gas letale. Dopo seguiva la ricerca di denti d’oro, di beni preziosi di vario genere e il taglio di capelli, soprattutto le trecce, e che venivano utilizzati per oggetti da appartamento come pantofole o moquette. Concluse queste operazioni si procedeva con la cremazione o nei forni o nelle fosse a seconda del numero di “pezzi” disponibili al momento.
“Sonderkommando Auschwitz” è questo: un perfetto resoconto, veritiero e conciso, autentico e forte, di quelle atrocità che furono le protagoniste degli anni più bui della storia umana. E Shlomo Venezia, non ha mancato di rendere testimonianza di quanto accaduta. Egli era affetto dalla “malattia dei sopravvissuti” e per tutta la sua esistenza ha dovuto far fronte e far i conti con quel senso di colpa che l’esperienza nei campi gli ha comportato. Per far fronte a questo ha parlato nelle scuole, ha combattuto con ogni gioia che si affacciava nella sua realtà, ha mantenuto il silenzio ma ha lottato contro chi non voleva credere a quanto successo in quei luoghi di distruzione, ha scritto e scritto, ha lasciato una testimonianza essenziale e fondamentale affinché quanto già accaduto non riaccada. Perché come disse Primo Levi:

«È avvenuto quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto… Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dagli incantatori, da quelli che dicono belle parole non sostenute da buone ragioni»

Un libro che nasce dalla lunga intervista rilasciata dallo scrittore a Béatrice Prasquier e che è riportato nell’edizione italiana come un lungo racconto, senza i quesiti posti dalla donna. A completare il quadro non mancano vere e proprie foto dell’epoca nonché le immagini di David Olére a sua volta membro del Sonderkommando di Birkenau.
Uno spaccato, un’analisi analitica, che nulla cela e nulla nasconde, una diversa e più approfondita visione di uno dei temi più delicati di sempre, uno degli argomenti che soprattutto i più giovani dovrebbero acuire.

«Mi dà conforto sapere che non parlo nel vuoto, perché testimoniare rappresenta un enorme sacrificio. Riporta in vita una sofferenza lancinante che non mi lascia mai. Tutto va bene e, d’un tratto, mi sento disperato. Appena provo un po’ di gioia, qualche cosa mi si blocca dentro; la chiamo “la malattia dei sopravvissuti”. Non si tratta di tifo, tubercolosi o di altre malattie. La nostra è una malattia che ci rode dal di dentro e che distrugge ogni sentimento di felicità. Ce l’ho dal tempo della sofferenza nel campo e non mi lascia mai un momento di felicità o di spensieratezza, è uno stato d’animo che logora le mie forze continuamente.» p. 177

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Commenti

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Maria, complimenti! Una recensione davvero toccante!
Credo tu abbia espresso al meglio il contenuto di questo libro!
Ne avevo sentito parlare tempo fa e credo che sia anche all'interno della mia ormai sconfinata lista desideri; forse, proprio per via dell'argomento a dir poco drammatico, non ho ancora reperito il libro... Da un po' di tempo, inoltre, non riesco più a guardare film che trattino le violenze naziste... Sono diventata debole di cuore! :(
Molto interessante, Maria.
In risposta ad un precedente commento
Mian88
18 Aprile, 2018
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Ci credo Laura, ci credo. Il libro, nello specifico, è agghiacciante sotto diversi aspetti non solo per le atrocità a cui erano costretti e soggetti. Ho faticato anch'io a leggerlo nel senso che ho sofferto, ma ne è anche valsa la pena. Li leggo a postille proprio perché sono debole di cuore a mia volta... Sniff
In risposta ad un precedente commento
Mian88
18 Aprile, 2018
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Cara Laura, grazie di avermi letta! Ti consiglio la lettura anche se dura e non facile per contenuti e temi trattati. Non è il solito saggio o resoconto sulle atrocità naziste e questo lo rende ancora più vivido e forte.
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