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Il profumo del peccato
Molto interessante questa accurata ricostruzione, sulla base della documentazione storica, della vita di suor Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva, meglio nota come la Signora o, semplicemente, la Monaca di Monza. Una figura, la sua, che ha fatto gridare allo scandalo e discutere a lungo, al di là del proprio tempo, senz’altro una delle più celebri tra quelle femminili della Storia, anche grazie alla rappresentazione che ne diede Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi”; quest’ultimo, tuttavia, inserendola negli anni della carestia e della peste (intorno al 1630) in realtà la posticipa, mentre all’epoca la sua peccaminosa vicenda s’era già conclusa.
Nata nel 1575 da una casata d’antica e prestigiosissima nobiltà spagnola che, tra l’altro, aveva ottenuto il feudo di Monza, la de Leyva fu forzata a farsi monaca dal padre, il quale se la tolse dai piedi defraudandola abilmente della ricca eredità che le aveva lasciato la madre morta anzitempo quando lei era ancora piccolissima. Si fa presto, oggi, a dire che avrebbe potuto opporsi, rifiutarsi di prendere i voti, ma in casi come quelli, in cui i calcolati interessi del clan familiare venivano prima dei desideri e delle aspirazioni dei suoi singoli membri, era praticamente impossibile non dire sì a quanto veniva deciso dall’alto, specie se si era donne e per di più giovanissime: “[…]; lo ripeté, e fu monaca per sempre.” (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. X)
Forse, come si lascia intendere anche nel libro, fu il desiderio di ribellarsi anzitutto all’autorità paterna che la spinse ad allacciare la relazione proibita con uno dei vicini del convento di clausura dov’ella aveva preso forzata residenza, tale Gian Paolo Osio, un pendaglio da forca come l’avrebbe probabilmente e non a torto definito Tex Willer, e della peggior specie. Circa dieci anni durerà la loro tresca di cui, a quanto pare, tutte le monache del convento, dalla superiora all’ultima delle novizie, erano al corrente e nella quale verranno coinvolte attivamente (in ogni senso) altre monache: suor Ottavia, suor Benedetta, suor Silvia e persino una certa suor Candida – solo di nome, naturalmente – già amante del sacerdote titolare della chiesa attigua al monastero delle care sorelle.
Già, perché bisogna sapere – e questa è la cosa più sconvolgente – che all’epoca i chiostri, sia maschili che femminili, erano per la gran parte tutt’altro che santi luoghi di ritiro spirituale, piuttosto ricettacolo di vizio e lussuria più sfrenata. Insomma, avrebbero potuto competere a testa alta con i pubblici bordelli in virtù dell’intensa attività sessuale che vi si svolgeva! Del resto, che cosa ci si poteva aspettare da persone, donne e uomini, costrette dalle famiglie a votarsi a Dio senza reale convinzione? Il Concilio di Trento della metà del XVI secolo aveva cercato di correre ai ripari per siffatta corruzione dei costumi, ma un conto è inasprire le pene, un altro è riuscire ad applicarle dal momento che era ben tesa e fitta una rete di connivenza difficilmente estirpabile poiché tutti e tutte temevano gli scandali che avrebbero potuto nuocere ai rispettivi ordini religiosi.
La vicenda della Signora di Monza e Gian Paolo Osio fu però qualcosa che andava al di là del pur comprensibile mancato rispetto del voto di castità monacale: in breve tempo divenne infatti un mix pericoloso di sesso, promiscuità (anche due delle sopraccitate colleghe della de Leyva finirono nel letto dello scapestrato giovane, o meglio fu lui a finire nei loro… camerata unica…), sangue e intrighi delittuosi. Pertanto, quando ci scappò il morto, anzi i morti, poiché furono più d’uno, il bubbone purulento non poté che esplodere. E nel peggiore dei modi… Il triste epilogo è noto.
Mi ha molto sorpresa però la conclusione a cui giunge l’autore, alla quale francamente non avrei mai pensato: chi fra i due, oltre a metterci la carne, ci mise anche il cuore, e tanto, fu Gian Paolo, il quale dopo le prime volte, ottenuto ciò che voleva, avrebbe potuto non rimetter più piede in quel convento; donne, non monache, ne aveva quante ne voleva al di fuori. Invece, non seppe rinunciare a lei che considerava a tutti gli effetti la sua donna e che amava sinceramente, anche attraverso la bambina che nacque dalla loro relazione. La Signora, dal canto suo, più che vittima (come cercherà di apparire agli occhi dei vicari criminali che la interrogheranno dopo l’arresto), fu parte attiva e consenziente, coinvolta più dal piacere dei sensi e del proibito che dal sentimento allo stato puro.
Comunque, al di là di tutto, resta il ricordo di una povera vita infelice a cui non può non essere rivolto un profondo senso di compassione, non certo di condanna.
«Il profumo del peccato è delizioso, anche, anzi soprattutto, se a emanarlo è chi non dovrebbe mai commetterlo. Il vizio, del resto, ha sempre sedotto gli uomini più di quanto la virtù li abbia edificati.»
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Commenti
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Di Gervaso ho letto soltanto questo lavoro, nient'altro, ma l'ho trovato davvero di buona qualità; vedo che circolano anche altre buone recensioni, pure qui su QLibri. Non credo sia solo un caso.
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Questo libro fece un po' scalpore perché l'autore mise in copertina la fotografia della moglie travestita da monaca. Ciò contribuì a smorzare il mio interesse per il libro.