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Tortura
Quando, tempo fa, venni a conoscenza dell’esistenza di questo libro, non immaginavo che avrei avuto occasione di reperirlo e leggerlo tanto presto. Ne trovai un accenno tra le note de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, all’interno del capitolo XXXI per la precisione, mentre nella narrazione dilagava la peste.
Ed è proprio da questo capitolo che prende le mosse il libro di Sciascia, un ottimo saggio-racconto che riconsegna alla Storia una piccola e anonima vicenda destinata altrimenti, al pari di chissà quante altre, a restare sepolta nell’oblio. La piccola storia in questione è quella di Caterina Medici, “strega professa” dalle demoniache frequentazioni secondo chi la giudicò e condannò, ma più che avvezza a pratiche magiche e ad amplessi con Belzebù la donna era rassegnata a fare il bucato, strigliare i pavimenti e tenere aperta la porta della propria camera da letto per chiunque avesse voluto godere della sua intima compagnia, dal momento che la sua condizione di domestica sembrava autorizzare padroni e servi ad approfittare di lei.
Mentre al Manzoni bastò chiamarla semplicemente “povera infelice sventurata”, senza per nulla dilungarsi sul suo caso, a costei Sciascia ridà nome e dignità, ricostruendone, sulla base degli atti del processo istruito a suo carico, la triste e sfortunata vicenda umana terminata anzitempo su un patibolo in quel di Milano. Il 4 marzo del 1617, esattamente a distanza di un mese dalla fine del processo, Caterina venne strangolata e messa al rogo, dopo essere stata esposta al pubblico ludibrio e generosamente dilaniata con una tenaglia rovente a bordo di un carro che percorreva le vie e i quartieri principali della città. Inutile dubitare della partecipazione della folla milanese (e forse anche di quella della provincia) al terribile e diabolico (quello sì!) spettacolo; del resto, è presumibile che fosse intenzione delle autorità politiche dare un forte monito in materia di stregoneria professionistica e, nel contempo, non distaccarsi dal saggio dettato di romana memoria del “panem et circenses” (oggi si continua a non farci mancare almeno i secondi).
Sono rimasta colpita dall’accento posto sulla questione della tortura, argomento che mi porta ad accostare questo libro a un’altra nota pubblicazione del Manzoni ovvero “Storia della colonna infame”: streghe da una parte e untori dall’altra, tutti presunti e creati ad arte più che reali, creature forgiate dal pregiudizio, dall’oscurantismo e dall’ignoranza dei tempi; ma anche dagli stessi trattamenti coercitivi (e la mente umana sì che ne ha partoriti fin dalla notte dei tempi) che inducevano persino i più resistenti ai dolori del corpo a confessare crimini inverosimili mai commessi e chiamare in causa complici mai avuti. Possibile che di questo difetto della tortura nessuno fra coloro che la prescrivevano con tanto zelo, manco si fosse trattato di una medicina, fosse consapevole? Essa veniva davvero considerata un mezzo infallibile per scoprire la verità nient’altro che la verità?
Senza dimenticare che la tortura non è un vecchio e sbiadito ricordo del passato ed esiste purtroppo ancora oggi, per rispondere a tale quesito niente di meglio delle stesse parole dell’autore…
Ma “la tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, ma è un invito ad accusarsi reo ugualmente il reo che l’innocente; onde è un mezzo per confondere la verità, non mai per iscoprirla”: e questo i giudici lo sapevano anche allora, si sapeva anche da prima che Pietro Verri scrivesse le sue Osservazioni sulla tortura, si è saputo da sempre. Nella mente e nel cuore, in ogni tempo e in ogni luogo, ogni uomo che avesse mente e cuore l’ha saputo: e non pochi tentarono di comunicarlo, di avvertirne coloro che scarsa mente e poco cuore avevano.
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