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Caporetto. Una battaglia e un enigma
 
Caporetto. Una battaglia e un enigma 2017-09-07 13:15:24 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    07 Settembre, 2017
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Caporetto e Caporettismo

Considerato che Mario Silvestri non è uno storico di professione questo suo libro (Caporetto: una battaglia e un enigma) assume maggior valore, perché l’autore vi ha profuso la passione dell’autodidatta, ma restando vincolato, giustamente, alle ferree regole alla base di ogni ricerca che, andando a ritroso, cerca di avvicinarsi il più possibile alla verità. Di questa disfatta, di cui tanti hanno scritto e che nei testi scolastici viene presentata come un dramma senza precedenti nella storia italiana, Silvestri ci fornisce un resoconto a volte fin troppo capillare, quasi ora per ora di quelle tragiche giornate che videro un grande esercito in un’iniziale disordinata ritirata. Peraltro, non mancano le premesse, ciò che prima avvenne, in funzione soprattutto di cercare di comprendere i motivi per i quali un attacco congiunto dei tedeschi e degli austriaci, che avrebbe dovuto avere soprattutto funzioni di alleggerimento della nostra pressione sul fronte orientale, per poco non finì per trasformarsi in una vittoria del tutto insperata. Incapacità del comandante in capo, cioè di Cadorna? Pochezza dei comandanti divisionali? Stanchezza e sfiducia delle nostre truppe? Non è improbabile che concorsero insieme queste circostanze, ma ciò che stupisce in tutta la vicenda è che lo stesso soldato sconfitto, ribelle alla disciplina, logorato dalla guerra, a ritirata ultimata dietro la sponda
del Piave e sul massiccio del Grappa si trasformò, come per incanto, in un milite deciso, disposto anche al supremo sacrificio pur di difendere la propria patria. A essere sinceri al brillante arresto dell’offensiva austro-tedesca contribuì non poco anche una diversa metodologia tattica imposta più dalle circostanze che non da una tradizione, e cioè la possibilità di scelte autonome sul campo, svincolate quindi dalle lungaggini degli ordini, che partendo dal comando centrale raggiungevano dopo non poche ore le unità combattenti. I nostri, pressati, si ritiravano, ma poi, appena possibile, andavano al contrattacco, praticando così quella difesa elastica dei tedeschi che aveva vanificato tanti attacchi dei nostri alleati sul fronte occidentale. Ma Silvestri non si limita a discutere solo di Caporetto, perché giunge a formulare l’ipotesi che quella nostra disastrosa disfatta sia sintomo di un male che ci affligge da prima e anche dopo di allora. Secondo l’autore l’Italia caporetta è, innanzi tutto, l’Italia priva del senso delle proporzioni, con la carenza dei relativi freni inibitori che prepara il terreno alle Caporetto storiche e cita alcuni esempi. La sconfitta di Adua fu una Caporetto antedatata, frutto di una politica inseguitrice di obbiettivi contraddittori e se ad Adua avessimo vinto la situazione sarebbe rimasta la stessa, cioè l’Italia sarebbe restata quel che era, un paese depresso in corso di lentissimo progresso industriale. Caporettissimo fu Benito Mussolini, perché, pur predicando per tanto tempo la violenza internazionale e pur perseguendo una politica estera aggressiva, trascurò le forze armate, ridotte a poca cosa, quando invece la politica di potenza adottata richiedeva il contrario. Non mancano strali anche per i controsensi dell’Italia attuale, per quelle spese folli e ingiustificate di cui prima o poi si dovrà render conto, probabilmente quando il paese sarà oggetto di una Caporetto finanziaria ed economica. Può darsi che Silvestri abbia ragione, ma io non sono del tutto d’accordo. Certo, la nostra politica è tutto e il contrario di tutto, però la tragedia di Caporetto secondo me fu provocata da un comandante in capo che aveva tenuto troppo sulla corda i suoi uomini, considerati alla stregua di carne da macello, da un’impreparazione di un esercito alla difesa , essendo stato impegnato sempre prima in manovre offensive, dalla stanchezza e dal disagio morale di truppe troppo impegnate, da comandanti divisionali per lo più burocrati e privi di fantasia, e anche da alcune circostanze sfortunate, che sono sempre presenti in qualsiasi evento. Il motivo poi per cui questa massa di sbandati e sfiduciati, una volta arroccati sulla sponda sinistra del Piave e sul Grappa, ha combattuto con la massima determinazione, come anche riscontrato dal nemico, sta anche e forse soprattutto nel fatto che ora non si trattava più di conquistare territori, ma di difendere la propria casa; inoltre fra individui che avevano sperimentato un’angosciosa ritirata si era venuto a cementare uno spirito di comunione che per la prima volta li aveva fatti sentire fratelli, figli di quella stessa madre che ora difendevano con unghie e con denti.
Da leggere, perché è un libro molto interessante.

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