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A chi ribalta la storia
E’ come una malattia subdola, che dapprima manifesta scarsi sintomi, ma che poi prende forza ogni giorno che passa. Di che si tratta? Di un fenomeno che nel presente secolo intende dare un’interpretazione della storia del tutto distorta, di quel revisionismo che piace tanto a certe destre sicuramente illiberali e che, per esempio, si picca di definire la Resistenza un fatto del tutto trascurabile, una vera e propria invenzione dei comunisti. Ma la vulgata di nostalgici del fascismo non finisce qui e pretende di giustificare la nascita a suo tempo di questo movimento e di quello nazista come argine interposto fra la civiltà occidentale e il bolscevismo , così come giustifica il pronunciamento del generale Franco al fine di evitare l’incombente pericolo rosso. Insomma, la dittatura dei Soviet e il suo massimo rappresentante Giuseppe Stalin finiscono con il diventare la scusa per tutta una serie di fatti ed episodi dello scorso secolo, compresa quella tragedia che fu la seconda guerra mondiale. Sono trascorsi settantadue anni dal 25 aprile 1945 e appare logico che alcuni eventi, analizzati quando ancora esistevano emozioni recenti, possono e devono essere rivisti alla luce di criteri più distaccati, ma ciò non toglie che non possono essere completamente capovolti, come vorrebbero i revisionisti, gente che se in buona fede deve essere considerata superficiale e tutto sommato incapace di analisi coerenti, se in mala fede invece intenzionalmente bugiarda. Sicuro e certo è che la storia è sempre frutto di opinioni, che nel tempo possono essere riviste, ma riviste non vuol dire capovolte trasformando le vittime in carnefici, come pretenderebbero certi pseudo storici di estrema destra a proposito di eccidi compiuti dai partigiani, che senz’altro ci furono, per motivi spesso abietti, ma che non furono una decisione corale, bensì il frutto della violenza di pochi, al di fuori di una linea di condotta che sempre vide la ricerca, ove possibile, della giustizia, il che non impedì tuttavia, in un contesto di reciproche violenze e timori, l’uccisione sbrigativa di taluni elementi sospettati spie dei fascisti o dei tedeschi. Questi revisionisti si guarderanno sempre dallo spiegare i motivi per i quali la popolazione, nella sua stragrande maggioranza, appoggiava i partigiani e al riguardo le testimo9nianze di ex camicie tenere sono illuminanti: “Ci odiavano più dei tedeschi, perché eravamo con i tedeschi, perché quando si facevano i rastrellamenti i primi a subire la nostra presenza erano i contadini, i montanari, trattati non come italiani, ma come bestie.”. E anche la canzoncina che ogni tanto ritorna in ordine alle rappresaglie dei nazisti e dei fascisti, che recita quasi un motto (Se non ci fosse stati attentati dei partigiani, non ci sarebbero state rappresaglie) è una bugia bella e buona, inventata a posteriori per giustificare atti di cui gli esecutori ben sapevano la portata criminosa. Infatti, prima ancora che in Italia appaiano i partigiani, al Sud le truppe naziste compirono mostruosi eccidi della popolazione Del resto, in tutta l’Europa occupata, i massacri avvennero ben prima che sorgessero movimenti popolari di reazione.
Qualcuno potrebbe obiettare sulla imparzialità di Gianni Rocca, le cui idee marxiste lo portarono a iscriversi al PCI, da cui uscì, per protesta, all’indomani dei fatti di Ungheria. Questa è una preoccupazione infondata, perché l’autore, nell’analisi dei comportamenti di quel dittatore criminale che fu Stalin provvede sì a giustificarne alcuni, ma mai tralasciando la sua opinione altamente negativa di colui che fu uno dei massimi protagonisti del secolo scorso, che ebbe anche alcuni meriti, poca cosa rispetto ai misfatti compiuti.
Insomma questo è un libro che merita di essere letto, soprattutto dai revisionisti in buona fede, perché smonta in modo inequivocabile le loro argomentazioni; dubito, però, che potrebbe far cambiare la loro idea, perché sono impregnati di quel fanatismo che non vacilla mai, nemmeno di fronte a quella che può essere considerata dalla logica come la verità.