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Ferite come medaglie
La mia mania di scegliere, o farmi scegliere dai libri, girovagando tra gli scaffali mi ha portato ad innamorarmi di questo titolo: Mi sa che fuori è primavera. L’ho detto a me stessa prima ancora di sapere di cosa la De Gregorio volesse parlarmi in questo dialogo a tu per tu…e così ho afferrato il libro e l’ho portato con me, a casa.
L’ho guardato per due giorni prima di decidere di leggere il sunto sul retro, solo allora mi sono trovata davanti ad una storia vera, sentita ai Tg anni prima e poi riposta in un angolo della memoria. Ho avuto il timore di trovarmi innanzi una storia pesante, cupa, che mi mostrasse tutt’altro che la primavera…mi sono fatta coraggio e ho iniziato la lettura.
Ho letteralmente divorato questo testo, che non riesco a categorizzare tra romanzo, inchiesta, saggio…direi vita! E’ una narrazione a due voci, quella della De Gregorio e quella di Irina Lucidi, madre di Alessia e Livia Schepp, rapite dal padre nel 2011 e mai più ritrovate. Non è una cronostoria, non del tutto almeno, è la storia di una discesa nel vortice più buio che la vita può riservare ad una madre, e la risalita verso la luce. Una risalita guidata dall’amore, nonostante i sensi di colpa, il giudizio della gente, la disperazione, i vuoti.
“Dimenticare è impossibile, ma vivere si deve perché la vita ha deciso così: il dolore da solo non uccide. L’assenza di un amore si ripara con altro amore.”
Così Irina ci porta nel suo intimo, attraverso lettere alle persone care e alle istituzioni, a chi l’ha sostenuta e a chi invece non ha fatto altro che ignorare le sue richieste di giustizia, di aiuto, di chiarezza in una vicenda che di chiaro non ha niente. Si parla di indagini non fatte, di indizi non cercati, di testimoni non ascoltati, di burocrazia inutile, e si parla di sentimenti, di coincidenze, di date, di eventi che ritornano e si ripresentano nella storia di una famiglia finché “Todo quadra”. Si parla soprattutto di amore, un amore silenzioso (quello di Luis) che riesce a riparare le ferite, lasciandole in evidenza, perché con il dolore, come con “l’elefante rosa” che sta sempre in mezzo, bisogna convivere, senza dimenticare, perché se siamo ciò che siamo è per la strada che abbiamo percorso. d’altra parte “la vita è molto semplice. Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi. (…) E’ il tempo la nostra prigione. Il troppo presto, il troppo tardi, il troppo breve e troppo poco.”
La narrazione riflette spesso il flusso interiore di Irina come negli elenchi che redige: cose che mi irritano, cose che mi piacciono, cose che non devo dimenticare, e si alterna con i pensieri della De Gregorio, che raccoglie, appunta, interiorizza, dialoga e ci apre un mondo interiore che le pagine di cronache non possono far trasparire.
“Aiutami a dire quello che non si può dire, chiedi. Sarebbe questo il risultato strabiliante. Riuscire a dire a voce alta e occhi asciutti cose che non si possono dire perché nessuno ha un posto dove metterle, non vuole proprio tenerle in mano, bruciano.”
Ma con un amico che ti prende per mano, come un amore che ti riaccende il cuore, ci riaffacciamo sempre alla vita perché alla fine “fuori è primavera.”
P.s. Riporto ciò che trovo nel libro “Concita e Irina sarebbero felici se questo libro riuscisse a sostenere e far camminare a lungo il lavoro prezioso di Missing Children Switzerland.
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