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Joe Petrosino
 
Joe Petrosino 2017-01-19 09:03:00 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    19 Gennaio, 2017
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Un uomo che amava la giustizia

Era un uomo giusto che valeva la pena di conoscere, sono addolorato per la perdita del mio amico Joe (Theodore Roosevelt ai funerali)

La mafia si è macchiata nel tempo di orrendi delitti, giungendo a eliminare uomini delle Forze dell’Ordine (per esempio il capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano) e della magistratura, come i sostituti procuratori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma è indubbio che il nome di Joe Petrosino sia ormai entrato nella leggenda, conosciuto da noi e, soprattutto, negli Stati Uniti. Infatti, se non fu la prima vittima fra i poliziotti, fu però anche quello che, operando a New York, si impose con ferrea volontà di sradicare quell’associazione a delinquere che nel tempo prese il nome di Cosa Nostra e che attecchì in America grazie all’immigrazione di mafiosi italiani. Fra questi, senz’altro di spicco per aver saputo strutturare e organizzare questa congrega criminale fu Vito Cascio Ferro.
La biografia che ha scritto Arrigo Petacco cerca di uscire dal mito vero e proprio, per soffermarsi sui fatti, ma è indubbio che la personalità di questo poliziotto di origine campana, giunto con la famiglia negli Stati Uniti quando ancora era un ragazzo, è una di quelle che non può che destare ammirazione. In un’epoca in cui nel Nuovo Mondo gli italiani non erano benvisti, trovarne uno che appassionò milioni di americani resta un caso unico, anche perché è il tipico uomo che si fa da sé. Da netturbino a poliziotto, da graduato a tenente comandante della squadra italiana, attraverso una serie di successi dovuti al metodo seguito e alla totale dedizione, appaiono evidenti i motivi di così tanta fama. Era un onesto e con la vocazione di eliminare i disonesti, era uno capace di organizzare, dando l’esempio, era insomma l’uomo giusto per l’incarico che gli era stato conferito: combattere il crimine organizzato. Se gli si può attribuire un difetto, che è difficile da trovare, uno, particolarmente pericoloso, si manifestò nell’ultima missione di cui era stato incaricato. Arrivato in segreto in Italia per creare appunto un servizio segreto volto a identificare i mafiosi prima che si imbarcassero per l’America, la sua dedizione fu tale che continuò nell’impresa benché, a seguito di incaute dichiarazioni del capo della polizia di New York, la sua presenza nella nostra nazione fosse diventata notoria; quel che è peggio, però, è che nonostante questo grave handicap, lui finì per fidarsi di qualcuno, qualcuno che incontrò in una piazza buia e che lo uccise. Quel qualcuno – ma lo si apprenderà dopo molti anni – era nientemeno che Vito Cascio Ferro.
Resta, però, un chiaro esempio di uomo di legge, sempre accorto, tranne che nell’ultimo giorno della sua vita, e che riuscì a mettere in luce il collegamento in Italia fra mafia e polizia, nonché fra mafia e potere politico. Non si può sapere se sarebbe riuscito nell’impresa, ma c’è più di un dubbio, vista la fine fatta da chi, indagando su questa associazione criminale, stava per avvicinarsi al suo vertice.
Da leggere, senz’altro.

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