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Quante croci nella neve!
Sulla nostra tragica partecipazione alla Campagna di Russia, nel corso della seconda guerra mondiale, hanno scritto in molti, soprattutto sul suo drammatico epilogo, quasi tutte testimonianze dirette di chi là c’era e che riuscì fortunosamente a mettersi in salvo. Ma di come ebbe inizio, di come si svolse e finì, e del seguito della stessa per quanto concerne i nostri soldati prigionieri dei russi, non vi sono molte opere e quindi L’armata scomparsa di Arrigo Petacco é da considerarsi un saggio storico indispensabile per comprendere tante cose.
Il libro, articolato organicamente in diversi capitoli, per lo più temporali, ha il notevole pregio di evidenziare da subito la scelleratezza di Mussolini che, benché consapevole della nostra impreparazione, non esitò a gettare allo sbaraglio migliaia di uomini, confidando nelle capacità militari dei tedeschi, i quali all’inizio non accolsero favorevolmente la nostra offerta di partecipare all’impresa, ma poi, viste le insistenze del duce, Hitler dovette cedere. Mancavamo di tutto: il fucile era il vecchio Carcano-Manlicher del 1891, l’artiglieria risaliva alla prima guerra mondiale, i carri armati erano semplicemente ridicoli, i mezzi di trasporto erano pochi e per lo più superati, il vestiario e le scarpe erano del tutto inadatte al clima, insomma fu inviata un’armata Brancaleone, in cui non pochi si distinsero per coraggio e abnegazione, ma tali caratteristiche furono del tutto insufficienti per colmare un divario che si può definire senz’altro enorme..
Quello che contraddistingue soprattutto la campagna di Russia fu la tragica ritirata, in cui non solo si verificarono numerosi casi di congelamento, ma che si concluse con una vera e propria strage della nostra armata. In pochi riuscirono a tornare in Italia, molti di più restarono sulla neve, anche fra quelli presi prigionieri e avviati ai campi di prigionia in Siberia. Lì, nei gulag, il freddo, il vitto insufficiente, il tifo petecchiale fecero il resto al punto che, a guerra finita, ritornarono in ben pochi, più o meno uno su dieci. E c’è da considerare che gli italiani furono trattati meglio dei tedeschi, in quanto non colpevoli di odiose violenze!
Alla fine viene quasi naturale porsi una domanda, sorretta più da speranza che da logica: fra quelli non ritornati, può essere che non pochi siano rimasti là di loro spontanea volontà? Forse è il ricordo del film I girasoli, con Marcello Mastroianni e Sofia Loren che influenza questa idea, ma secondo la razionalità la probabilità che qualche disperso sia di fatto in vita e in Russia è molto limitata, se non altro perché per diversi anni dopo la fine della guerra nel Paradiso sovietico l’esistenza era molto difficile e il tenore di vita ben inferiore a quello italiano, quest’ultimo se pur condizionato dalle distruzioni della guerra.
Da leggere, quindi, per non dimenticare.
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