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La guerra dei poveri
 
La guerra dei poveri 2016-11-09 14:17:47 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    09 Novembre, 2016
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La riscoperta del semplice valore umano

Benvenuto (Nuto) Revelli é all’Accademia militare di Modena quando l’Italia entra nella seconda guerra mondiale; geometra, ha infatti scelto il mestiere delle armi, decisione frutto anche della costante militarizzazione dei giovani da parte del regime fascista. Ma le notizie che arrivano dapprima dal fronte francese e poi da quello greco sembrano in contrasto con la tanto sbandierata nostra potenza militare; infatti, se i comunicati sono frutto della propaganda, il tam tam del si dice fa capire che le stiamo prendendo e Revelli vuole sapere, vuole conoscere una verità che il regime si sforza di celare, e allora chiede di partire per il fronte russo, cosa che ottiene non senza fatica e da lì inizierà un’avventura di cui tratta ampiamente in questo suo libro intitolato La guerra dei poveri. In effetti, il nostro esercito non è quell’esempio di organizzazione e di potenza della martellante campagna fascista, anzi è una struttura povera di mezzi e quei pochi che ci sono risultano soggetti a continue ruberie nelle retrovie. Con tono distaccato e poche volte incline alla commozione il memoriale di Revelli é un atto di accusa implacabile , ma è anche un ricordo di dolore, di sofferenza, sia fisica che morale, in una ritirata in cui ben pochi riescono a conservare la loro dignità di uomini. É fortunato chi riesce a tornare, ma è un essere cambiato profondamente, che non crede più in un regime menzognero e menefreghista.
Non é finita, però, questa tragedia, perché ne subentra, con l’8 settembre 1943, un’altra, forse ancora più lancinante, con una guerra civile, che vede da una parte uomini che vanno maturando l’avversione verso il fascismo e dall’altra i tedeschi e i loro odiosi e subordinati alleati, gli uomini della Repubblica Sociale Italiana. Sono tante le pagine dedicate all’esperienza della resistenza, sovente rappresentate da ordini di combattimento, da relazioni sulla consistenza e le intenzioni delle forze nemiche e mai, dico mai, che vi siano accenni di autoesaltazione; Revelli, esperto in quanto militare, diventa il comandante della Brigata Carlo Rosselli, che verrà contrastata duramente dalle truppe nazifasciste con estenuanti rastrellamenti. Nessuno dei partigiani é un eroe alla Rambo, ma a suo modo ciascuno é un eroe, un eroe nel combattere contro forze soverchianti, nei disagi dei trasferimenti, nell’alimentazione scarsa e inadeguata, nell’armamento spesso insufficiente. Ci si sposta di valle in valle per sfuggire agli accerchiamenti, si vedono morire, come in Russia, tanti compagni, si soffre in silenzio e si va avanti. Una ferita in quelle condizioni può voler dire la morte certa e non è nemmeno possibile abbandonare un ferito alla pietà del nemico, che non conosce nemmeno il significato della parola pietà. Lo stesso Revelli, dopo che la brigata Rosselli si è trasferita in Francia a fianco degli alleati, mentre opera un collegamento in motocicletta insieme al leggendario Wolf (Walter Cundari, degnissima persona che ho avuto modo di conoscere personalmente) resta gravemente ferito al volto, tanto che ci vorranno ben otto operazioni per ricostruirlo, tutte in una Parigi da poco liberata dagli alleati, e sempre da poveri, con cibo scarso per risparmiare i soldi per la clinica. Verso la fine dell’aprile 1945 il ritorno in Italia, fra mille peripezie, giusto in tempo per partecipare alla liberazione di Cuneo. Ma i sogni di un paese nuovo vengono subito fugati dall’incontro con un nutrito gruppo di militi repubblichini, passati all’ultima ora fra i partigiani, tanto che il menefreghismo del passato regime finisce con l’apparire come un male endemico del nostro popolo e i fatti successivi, di cui il libro non parla, perché si ferma appunto alla liberazione di Cuneo, ne forniranno ampia prova.
Non è un romanzo, si avvicina di più al saggio storico, ma la presa di coscienza dell’ex fascista Nuto Revelli è descritta talmente bene che alla fine non si può che nutrire rispetto e ammirazione per quest’uomo. Hanno scritto bene di La guerra dei poveri Alessandro Galante Garrone (“E’ la guerra vista dal basso, la guerra sofferta...E’, prima di tutto, la tragedia dei poveri cristi gettati allo sbaraglio, beffati, traditi, e che pure, nello sfacelo immane, di un esercito e poi di uno Stato, riscoprono in sé le ragioni profonde della dignità del vivere, del semplice valore umano.”) e Giorgio Bocca (“Il libro è proprio questo: uno scrittore nato che trova, mentre si cammina e si combatte, un linguaggio per cose vere e tragiche quasi sconosciuto alla nostra letteratura….E’ il libro che avrei voluto scrivere.”).
Imperdibile.


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Sostanziosa recensione, Renzo!
Anche a ma il libro è piaciuto, ma non tanto quanto il poetico "Il sergente nella neve" e il pacato e grandioso "Centomila gavette di ghiaccio".
Qui Revelli pare non aver ancora sedimentato la comprensibile rabbia accumulata, per cui m'è parso un libro che necessitasse ancora di 'decantazione' . Resta comunque un documento storico importante.
Beh, Il sergente nella neve é stupendo, ma si avvicina di più al romanzo.
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