Dettagli Recensione
Un grande documento, una narrativa non memorabile.
Il romanzo-documento di Harden racconta la storia di Shin Dong-Hyuk, attualmente l'unico Nord-Coreano ad essere nato in un campo di concentramento sotto il regime di Jim II Sung ad essere riuscito nel tentativo di fuggire.
Dal punto di vista umano l'opera è un vero pugno nello stomaco: pur senza essere mai truce, senza indugiare nelle sofferenze e torture inflitte al protagonista oltre la mera necessità di documentazione, i soprusi ed abusi a cui sono sottoposti i prigionieri sono inumani. L'analogia con i campi di sterminio della Germania nazista è istantaneo, ma in Corea tali campi sopravvivono da 50 anni in un regime mondiale che possiamo definire di pace. Gli stessi campi li potete vedere anche voi su Google Maps.
Ciò fa riflettere.
Dal punto di vista letterario Harden invece pecca a mio avviso di precisione, vuoi per l'ovvia mancanza di fonti, vuoi per una certa leggerezza nell'allineare gli episodi conseguenti alla fuga di Shin. Paradossalmente, proprio quando il protagonista arriva negli Stati Uniti, e quindi sarebbe possibile un resoconto più accorto, il racconto perde unità ed inanella una serie di fatti in modo apparentemente disordinato: prima si racconta di come Shin tenga conferenze presso Google e poi si ritrovi emarginato perchè non riesce a comunicare. E' solo al mondo ma poco dopo persone lo assumono a lavorare a Los Angeles. Ha paura di qualsiasi cosa ma si narra di come compia incursioni solitarie in Corea del Nord tornando sui suoi passi al tempo della grande fuga. Infine compra addirittura una casa in Corea del Sud mentre fino a poco prima viveva di stenti. Mi è parso un finale assai frettoloso, non scatta l'immedesimazione con il fuggitivo a parte rari casi.
Per correttezza va detto comunque che lo scenario atroce offerto dai campi nord coreani è realmente scevro da qualsiasi sentimento di pietà o redenzione.
Il testo resta consigliatissimo, se non altro come documento contemporaneo. Siamo lontani però dai grandi saggi americani o anche dai diari di prigionia celebri (uno su tutti, il diario della cara Anna Frank), sia per lo stile che per la capacità di suscitare empatia ed emozioni.
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Resta sempre un argomento interessante, vista anche la poca concorrenza.