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Spatz, la sorella di Sissi
Maria Sofia Amalia von Wittelsbach (Castello di Possenhofen, 4 ottobre 1841 – Monaco di Baviera 19 gennaio 1925) fu l’ultima regina del Regno delle Due Sicilie. Figlia del gaudente e liberale Massimiliano Giuseppe, fu sorella della più conosciuta Elisabetta, la famosa Sissi, consorte dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Non é che in famiglia avessero la mania dei soprannomi, ma il padre Massimiliano, che nutriva un particolare e intenso affetto per queste due figlie, entrambe alte, slanciate e assai belle, coniò per Elisabetta questo Sissi e per Maria Sofia “Spatz”, cioè passerotto. Nipoti entrambe di Massimiliano I, re di Baviera, erano dalla nascita destinate, per ovvie ragion di stato, a matrimoni importanti, e così se Sissi convolò a nozze con Francesco Giuseppe, a Spatz fu dato in sposo un altro Francesco, vale a dire Francesco di Borbone, erede al trono del Regno delle Due Sicilie. Quest’ultimo matrimonio non poteva che risultare malamente combinato, in quanto lo sposo, gracile, religioso al massimo grado, per un problema di fimosi non poteva congiungersi carnalmente con una donna, tanto che la prima notte di nozze, e le successive, almeno fino a quando diversi anni dopo non si fece operare, andò del tutto in bianco. Si aggiunga che l’uomo era del tutto imbelle, incapace di prendere una decisione, disposto ad accontentare tutti finendo con lo scontentare tutti. I caratteri dei due sposi erano completamente diversi, lui flaccido, sempre titubante, facile alle depressioni, lei vitale, risoluta e decisa. Divennero rispettivamente re e regina pochi mesi dopo il matrimonio alla morte di Ferdinando II, uomo apparentemente alla mano, ma inflessibile nelle repressioni dei moti popolari. Fu un regno breve, perché nel 1860 Garibaldi, con la spedizione dei mille, vi pose fine, e non tanto per le sue eccelse qualità di condottiero, quanto per l’incapacità dei generali borbonici che sovente era voluta, grazie alla diffusa corruzione di cui abilmente si servì Cavour. Se gli alti gradi erano così, non era altrettanto vero per la truppa, che si comportò in modo encomiabile, come testimoniato nel corso della battaglia del Volturno e dell’assedio di Gaeta, fortezza in cui si rifugiarono il re e la regina. Mai una dinastia perse il suo trono con così tanto coraggio; la resistenza fu trascinata da Maria Sofia, sempre in prima linea, e dal marito, che grazie all’esempio della moglie, sembrò diventare un altro uomo, deciso, disposto a tutto. La fine, però, era scontata e la coppia si arrese e si trasferì a Roma, dove soprattutto Maria Sofia alimentò quella guerriglia nelle zone meridionali che nei primi due anni era senz’altro legittimista, ma che poi divenne esclusivamente una serie di azioni brigantesche. Risultato infruttuoso questo tentativo di restaurazione, Maria Sofia non si diede però per vinta, anche se, più trascorreva il tempo, più era difficile pensare a un ritorno dei Borboni a Napoli. Persa ogni speranza, morto improvvisamente ad Arco il marito, da cui si era separata da diversi anni, non le restava che la vendetta nei confronti dei Savoia e da Parigi dove si era trasferita, vista l’incresciosa situazione italiana, con il debito pubblico colossale, la corruzione dilagante, l’esosità delle tasse che colpivano quasi esclusivamente la povera gente, le proteste pubbliche, del tutto pacifiche, con cui il popolo chiedeva un po’ di attenzione, soffocate con una violenza inaudita, tutto la indusse a pensare a un imminente ribaltone. Occorreva però un innesco perché la bomba esplodesse e fu trovato nell’omicidio del re Umberto I. Fu così che Maria Sofia, liberale sì come il padre, ma solo per benefici personali, e legittimista invece al massimo livello, entrò in contatto con gli anarchici, soprattutto con Enrico Malatesta. Come noto, il 29 luglio 1900 Umberto I fu assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, giunto apposta dall’America. Dire però che mandante di questo omicidio sia stata Maria Sofia é un po’ azzardato, perché la vicenda presenta dei lati oscuri, nel senso che chi avrebbe beneficiato del delitto non erano solo gli anarchici e lei, ma anche forze interne ad alto livello, come parrebbe essere dimostrato dalla morte di Bresci in cella, spacciata frettolosamente per suicido, quando un’attenta analisi invece farebbe supporre l’omicidio. Salito al trono il nuovo re Vittorio Emanuele III, presidente del consiglio fu nominato Giolitti e le cose cambiarono, decisamente in meglio. Persa ogni speranza Maria Sofia, ormai avanti con gli anni, ma ancora in buone condizioni fisiche, si ritirò, per così dire, a vita privata e la morte la colse all’improvviso, senza che abbia dovuto soffrire.
L’aspetto romantico della vita di Maria Sofia è messo ben in evidenza nella biografia scritta da Arrigo Petacco, un’opera piuttosto esauriente e assai gradevole da leggere, grazie allo stile snello e a una salutare punta di ironia.
Quindi il libro merita indubbiamente di essere letto.
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