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Il significato di una lotta
E’ indubbiamente interessante questo diario partigiano scritto una settantina di anni fa, perché rievoca senza enfasi e senza retorica un periodo della vita dell’autore (dall’autunno del 1944 fino a quasi alla Liberazione) in cui passa da cacciatore di ribelli della divisione Monte Rosa a partigiano, e non è un voltagabbana, bensì è frutto di una decisione di cui Del Boca prenderà piena consapevolezza nei mesi dolorosi in cui dovrà misurarsi con la ferocia dei nazisti. La decisione di cambiare casacca avviene all’inizio più che altro perché ci si accorge che il fascismo non solo non ha più nulla da dare, ma che tende a togliere sempre di più in un’agonia cupa e opprimente. La scelta non è facile, poiché é fra il certo e l’incerto, ma il certo fascista é talmente nauseante che si preferisce fare un passaggio di parte, con tutti i rischi del caso (la diserzione in tempo di guerra é punita con la morte); così, più che una decisione ponderata, è frutto di una fuga da un mondo che sta morendo, nella speranza che i ribelli possano dare uno stimolo per continuare a vivere e a sperare. Se non è stato facile scegliere, ancor più difficili saranno i mesi con i partigiani, stretti nella morsa di un grande rastrellamento. Combattimenti, compagni morti, la paura per la propria sorte, il freddo inclemente e la fame assillante sono descritti in modo encomiabile per senso della misura e per la capacità di trovare in questo orrore, ogni tanto, una nota di poesia, con paesaggi nella nebbia e nella neve e personaggi semplici, umili, ma indimenticabili. E proprio le privazioni e la paura finiscono per fortificare l’autore, poco a poco gli donano la consapevolezza dell’esattezza della scelta operata, perché fra questi soldati senza divisa trova un ragione per rischiare la propri vita non inutilmente, ma per un ideale di giustizia e di libertà. Le lunghe marce per sfuggire al rastrellamento, i contatti umani con le popolazioni, i terreni impervi su cui é difficile procedere, specialmente di notte quando ci si orienta solo con le stelle, a patto che il cielo non sia coperto, donano un tono epico alla narrazione, ma scevro da facili entusiasmi e da scialbe retoriche. Si va, si combatte, si muore, é una lotta per la sopravvivenza e nei rari momenti di calma, con i crampi nello stomaco per la fame, si ragiona sulla propria condizione, si cerca di dare una risposta ai tanti perché e lui trova il motivo di questo suo essere ribelle, che non ha all’origine il concetto vago di patria, ma ben altro. Scrive infatti Del Boca: "Io non combatto per la mia patria, combatto per mia madre, per rivedere il suo viso." E non è mammismo, ma è quel porto sicuro a cui cercare di approdare nei momenti più bui, quando tutto sembra perso, quando si sopravvive più per istinto che per volontà.
Benchè viziato da una prolissità e ripetitività dei concetti, Nella notte ci guidano le stelle é un libro che affronta il tema della Resistenza in modo onesto e imparziale, merce rara in un argomento del genere, e che forse più di altre opere può servire a comprendere che cosa essa sia stata veramente.
Insomma, la lettura, più che consigliata, é da me particolarmente caldeggiata.
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Federica
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