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Ecco il Medioevo visto da chi lo ha vissuto
Donne, madonne, mercanti e cavalieri è uno strano saggio storico, così diverso da quelli a cui ha abituato Alessandro Barbero, il cui talento e la cui competenza sono fuori discussione. Per comprendere meglio ciò che intendo dire mi avvalgo di un passo della sua introduzione all’opera in cui viene specificata la finalità della stessa; infatti Barbero scrive “Chi erano, come pensavano, come vedevano il mondo uomini e donne del Medioevo?”. Il compito che si è assunto lo storico torinese, cioè mostrarci come era la società dell’epoca, appare assai arduo, perché le fonti sono purtroppo limitate e i mezzi per la conoscenza sono quasi inesistenti; al riguardo, ricordo che la stampa all’epoca non c’era ancora e che quindi non esistevano i giornali, ma anche i libri erano pochi e con diffusione limitata, visto che dovevano essere scritti a mano, così come le loro copie, e che la carta come la conosciamo noi era ben diversa e costosa, insomma si ricorreva alla pergamena. Eppure, qualcuno ha lasciato ai posteri un’opera illuminante di cui si è avvalso Barbero per il suo lavoro e laddove questa non c’era , perché è appunto questo il caso di Giovanna d’Arco, analfabeta, ha attinto le indispensabili notizie dagli atti del processo a cui fu sottoposta. Aggiungo, inoltre, onde dimostrare ulteriormente le difficoltà incontrate, che gli scritti basilari non sono finalizzati a descrivere quanto si era proposto lo storico torinese, ma nei loro contenuti è necessario trovare ciò che interessa e proporlo all’attuale lettore, secondo un preciso filo logico che non venga mai meno allo scopo prefissato, magari arricchendolo di annotazioni, sovente velate di ironia, anche per rendere più agile e gradevole la lettura.
I personaggi, che inconsciamente ci descrivono il mondo medievale, sono tre uomini e tre donne, una giusta par condicio, soprattutto in un periodo storico che vedeva il massimo assoggettamento della femmina al maschio. Alcuni di questi soggetti sono famosi, altri meno, ma in ogni caso le notizie che ci forniscono sono tali da poter farci comprendere come era il mondo in cui vissero, un mondo in cui la religione aveva un aspetto predominante, con un Dio con la barba, cioè cattivo e vendicativo, tale da incutere terrore ai fedeli più sprovveduti, che erano la maggior parte. Inoltre, del resto come oggi, anche se in misura totalmente anelastica all’epoca, la società era rigorosamente classista, con i servi della gleba e i signori, cioè i cavalieri; in mezzo, sempre più importante, c’era una borghesia di medici, professori, artigiani, commercianti e banchieri che aveva l’aspirazione, consapevole dell’importanza delle sue funzioni, di decidere il destino di città, di sostituire nell’amministrazione dei comuni i nobili che, ovviamente, facevano di tutto per conservarla.
Ne esce il quadro di un medioevo non statico, ma che va progressivamente ad accentuare quel dinamismo che poi porterà all’età d’oro del rinascimento. È lecito chiedersi perché questi protagonisti hanno scritto le loro opere, in un periodo storico in cui ben pochi leggevano, ma credo che la spiegazione sia innata in ogni uomo: lasciare traccia di sé, cercare in tal modo di assicurare un surrogato di vita dopo la morte. A questi personaggi (frà Salimbene da Parma,
Dino Compagni, Jean de Joinville, Caterina da Siena, Christine de Pizan e Giovanna d’Arco) va riconosciuto il merito di essere riusciti a parlarci di un mondo ormai passato; ad Alessandro Barbero va il nostro plauso per essere riuscito a realizzare lo scopo di questo saggio, realizzando un’opera di grande interesse e di piacevole lettura.
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